Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

« Messaggio #85  »

 

Post n°86 pubblicato il 02 Luglio 2006 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

UNDERWORLD: A HUNDRED DAYS OFF (2002)

Milioni di parole. Milioni di paure. E un senso di impotenza che si erano lasciati nel cuore. Darren Emerson è uscito dal gruppo. Gli Underworld si ripresentarono orfani del guru da club. E ciò si percepì da subito. Perché A Hundred Days Off viaggia intorno una sua propria orbita ritmica ripetitiva, oziosa, ebbra, non più diretta discendente della techno di Detroit, ma figlia illegittima tanto dell’ambient di Brian Eno quanto delle eurocentriche visioni dei Kraftwerk. Il cantante Karl Hyde e il produttore Rick Smith ripartirono così da sonorità techno-ambient smorzate dalla vocalità sognante del primo , quasi a voler legittimare la nascita di una nuova era. Forse A Hundred Days Off risulta, ancora oggi, difficilmente digeribile a chi si era invaghito di loro a seguito della magistrale colonna sonora del fortunato Trainspotting. Forse sarà disprezzato da coloro che popolano le notti all’interno dei club, ma è dolce il profumo dei fiori appena schiusi per le numerose api in cerca di cibo. Un disco spiazzante. A seguito dell’ultimo (capo)lavoro in studio, il micidiale Beaucoup Fish (1999), a due anni dalla pubblicazione del fenomenale DVD live Everything, Everything (2000) – dimostrazione di quanto un gruppo elettronico possa valere dal vivo proprio quanto una rock band – ma soprattutto dopo il divorzio dal dj Darren Emerson, si temeva che Karl Hyde e Rick Smith non fossero stati in grado di tenere il passo di un sound che esplose nei primi anni dell’ultimo decennio del secolo scorso con quel capolavoro di techno e contaminazioni che fu il dirompente Dubnobasswithmyheadman (1993) e che ci ha poi accompagnato a lungo. Alla luce di questo loro terminale full-length, dunque, c’è ben poco da temere per il futuro del duo. A Hundred Days Off (2002) riprende gli stilemi espressivi di un suono melodico e trascinante alle cui vette non ci si avvicinava più così tanto da tempo, forse, ancor prima di quel “fulmine a ciel sereno” che fu il singolo aggressivo e trascinante Born Slippy (1995) il collante, da molti atteso, tra elettronica underground e pop-music. In ogni modo, è opportuno precisare che gran parte di ciò che rimane, ritmiche in primis, è ereditato da Darren Emerson, ma i due hanno dimostrato di esser comunque abili nel preservare vivo quel “beat emozionale” che tanto ha fatto sognare e, anzi, ne hanno accentuato, ove possibile, il carattere visionario. Prendere o lasciare? Immancabili tastiere, sincopate percussioni e deleteri ritornelli sono già elementi sufficienti per alzare al massimo il volume. Nel corso della scaletta, Rick Smith e Karl Hyde hanno davvero lasciato il segno, attraverso veri e propri momenti di sublimazione della dance, ma non sono del tutto assenti attimi di ottima elettronica, dimostrazione di tracce sufficientemente dotate di personalità. In ogni modo, Beaucup Fish (1999) era costruito e strutturato d’una musica senza tempo dotata di un'anima propria, mentre il disco in questione resta saldo a ciò che è definibile ed ascrivibile alla realtà, o meglio alla contemporaneità. Groove, techno, elettronica psichedelia ed un saccente e ipnotico utilizzo dello spirito pop fanno del sound Underworld un vero marchio di fabbrica, che si temeva andasse perso. Non è stato per nulla così. Atmosfere leggendarie e al tempo stesso emotive, ricerca di spazi in cui trovare ambienti sì sintetici, bensì con un carattere ed una concretezza rovente e vibrante che si staglia a metà strada tra la pura tecnologia sotto forma di suono e l’umana concezione del movimento e del linguaggio del corpo, ergo la danza. Vocoder e campionamenti sono definitivamente spariti e gli Underworld si sono ormai barricati su caleidoscopici fruscii ambientali, beat ricercati tra trance e techno minimale, orchestrazioni plastiche, “nuove ossessioni” ritmiche di spaziali breakbeat, che creano reticoli sonori la cui esecuzione è, a dir poco, incantevole per quanto sia in grado di derivare ermeticamente elegiaca e martellante. Raramente, poi, si era sentito un Karl Hyde così ispirato, così compositore, così artista: pezzi come Mo Move, Two Months Off, Sola Sistim, Trim, Dinosaur Adventure 3D e Luetin esistono proprio al fine di dimostrarlo. È, infatti, la voce,  più di ogni altra cosa, che sembra fondersi e diventare un tutt’uno con ciò che è musica, connotando un insieme di colori e riflessi luminosi in un crescendo che fa passare in secondo piano alcuni rallentamenti ritmici. Gli Underworld confermano fortemente la loro leadership e finiscono per essere come un fiume in piena: un flusso continuo che scorre veloce e inarrestabile. Sarà che questo è un combo supercollaudato che non ha perso smalto e lucidità, piuttosto, che ha raccolto un abbandono seppur doloroso come una nuova sfida, con animo rinnovato, sarà quel che sarà, ma sembra proprio che il duo sia l’epigono di una certa estatica ed estetica “avanguardia” che ha sempre trovato nella terra d’Albione, la buia Inghilterra, il luogo più fertile dove placidamente prosperare.

Tra artificio e realtà. La tracklist di questo disco ha in sé brani lunghi – una media di circa sette minuti l’uno – ed intensamente legati ad una circolarità sonica che tratteggia un ipotetico spazio dove idealmente si rinvengono e rinascono i generi più difformi e disparati, un parallelo mondo ove gli Underworld ne sono i personali platonici demiurghi. Non c’è niente di meglio che iniziare con Mo Move, costruita su un insieme di suoni globalmente “deep”, filtrati attraverso melodiche suggestioni eteree e “testuali”: « I dream that I’m chemical, I become chemical, ride into the ocean of chemical ». Two Months Off è il primo singolo estratto, nonché la luce che risplende in un oscuro reame.

Gli Underworld rispolverano tastiere e tirano fuori il vecchio anfetaminico mordente, di fatto Two Months Off, non a caso, caratterizzata più del dovuto dall’evidente e dilagante “french-touch”, è destinata alle classifiche, alle piste da ballo e a schiavizzare la mente dell’ascoltatore, pronto a varcare la soglia della tecnologia futuribile grazie all’ammaliante voce-guida di Juanita. Ciò che sorprende è la facilità con la quale ci si avvicina, di continuo, verso nuove imprevedibili sonorità, a dir poco, “etniche”, in una portentosa Twist, che non infiamma i cuori, ma il riscalda. Il che è diverso. Atmosfere stemperate, dimesse e minimali echeggiano nella successiva e riflessiva Sola Sistim, dal placido beat, lento ma ammaliante, una sorta di notturno trip-hop interpretato con dovizia dalla voce del solito Karl Hyde, sempre a suo agio nell’algido box, edificato attorno a sintetizzatori e fiati, dal fido Rick Smith. La rarefazione sonora progredisce e si fa sempre più densa in Little Speaker, che è la chiave di “svolta” dell’intero lavoro: dall’intimità precedente alla “progressione” dilatata e dilagante nel finale di traccia. Malgrado ciò, nessuno si aspetterebbe ora l’appena accennato “cotonato” tono “western blues” di Trim, ennesima coraggiosa creazione che rimanda, per conclamata immaginazione, alla produzione propria dei Depeche Mode, soprattutto per l’eleganza e l’ispirazione espressa qui. Non è tutto, perché l’ennesima prova di forza di un duo che riesce ad essere fruibile, senza realmente volerlo, al di là del dancefloor, è l’acustica Ess Gee, collage sonoro dichiaratamente “chill-out”, connotata quanto mai di una suggestione straordinaria. Sopraggiunge, finalmente, la dance di Dinosaur Adventure 3D, secondo ed ultimo singolo estratto, una sorta di fulmine a ciel sereno a seguito di cotanta quiete.

Gli Underworld, convinti delle loro potenzialità, si riappropriano di loro stessi, facendo sì che il nostro corpo, la nostra mente e anche la nostra anima diventino un tutt’uno, pulsante. Balletlane, piuttosto, richiama alla mente e alla gola un certo aroma jazz, scelta stilistica che si avvicina al sound tipico dei St. Germain, mentre la terminale Luetin sembra sorniona nel suo incedere, ma durante la sua lunga progressione si colora e si connota di mille ed una sfumature, mai impercettibili, bensì tangibili, talvolta oniriche. Il risveglio degli stoici Underworld è ormai inequivocabile, in sostanza, devastante.

 
 
 
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