Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 32

Post n°32 pubblicato il 27 Marzo 2005 da Nekrophiliac
 
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SLAYER: SOUTH OF HEAVEN (1988)

Trentaduesima recensione. Mamma mia! Chi pensava di arrivarci mai? A muovere le mia dita sulla tastiera è la venerazione per questa band, di cui traccerò ora un breve richiamo delle vicende tra il 1986 e il 1988. Sarà una recensione chilometrica, ve lo dico con netto anticipo. Dunque, gli Slayer raggiunsero lo status di band di culto con la produzione di quello che sicuramente rientra fra i dischi metal più importanti di tutta la storia di questo tormentato genere musicale: Reign In Blood (1986), recensito al debutto di questo blog, che sicuramente avrà un posto d'onore fra i dischi della vostra bacheca, è stato il loro vero capolavoro assoluto. Un numero uno. E' sicuramente uno degli album più veloci e pesanti mai composti in ambito metal, della durata di poco meno di mezz'ora, ma non bisogna lasciarsi ingannare dall’apparenza, questo è un disco monolitico senza cedimenti o incertezze. Reign In Blood (1986) trasuda malvagità da ogni nota: la voce aggressiva di Tom Araya, gli assoli al fulmicotone e i mitici riffs della coppia di fuoriclasse Kerry King – Jeff Hanneman, ed infine la doppia cassa infaticabile di Dave Lombardo che devasta con tecnica sopraffina. Se da un lato questo fattore incise positivamente sullo sviluppo della carriera dei quattro thrashers americani, dall'altro le critiche iniziarono a piovere pesantemente su di essi. Angel Of Death, song d'apertura del disco, fu correlata da testi che parlavano dei misfatti nazisti durante l’internamento degli Ebrei in campi di concentramento. La faccenda legò ancor di più la band al nazismo, fattore dal quale ella si discostò negando di seguire il fenomeno, e parlando di tale testo come di un testo puramente descrittivo. Angel Of Death, infatti, era inspirata al medico Joseph Mengele (1911-1979), il "Doktor Tod", che nel campo di sterminio di Auschwitz aveva l'hobby di usare gli ebrei come cavie umane per esperimenti al di là del grottesco. Il suo primo obiettivo consisteva nello studio dei gemelli. Joseph Mengele eseguì ogni sorta di sperimentazione e di misurazione, tentò trasfusioni incrociate, cercò di cambiare il colore degli occhi delle sue vittime, studiò il "Noma" una malattia dovuta alla profonda denutrizione. Collezionò gemelli arrivando a studiare e a torturare sino alla morte 3.000 persone per lo più bambini e adolescenti. Vivissimi complimenti. Tuttavia, leggendo con attenzione il testo, si può capire che gli Slayer non intendevano affatto esaltare la figura di Joseph Mengele, ma semplicemente elencare le brutalità che gli ebrei dovevano subire, senza fare nessun commento a favore. Inoltre, l'aquila che tiene tra gli artigli la spada, presentata dagli Slayer in occasione di più artworks, il simbolo delle SS, cioè le Schutz Staffeln, le cosiddette squadre di protezione tedesche usate durante la seconda guerra mondiale, posto sul corpo della Jackson di Jeff Hanneman, ed il nome del fan club ufficiale della band, “Slaytanic Wehrmacht”, non fecero che alimentare tali proteste, legabili a semplici ma forti passioni adolescenziali nei confronti del tema della guerra. Gli Slayer si sono difesi in più occasioni sostenendo che i nazisti erano stati dei bravi designer, e che semplicemente gli piacevano i loro stemmi e le loro divise. Tutto qui. Reign In Blood, come era avvenuto per Show No Mercy (1983), uscì in America solo nel 1987 a causa di problemi di distribuzione, e vendette nel giro di poco tempo la bellezza di cinquecento mila copie, consegnando alla band il suo primo disco d'oro. Primo di una lunga serie. I problemi, tuttavia, continuarono sulla scia del successo: Dave Lombardo, a dispetto del grande legame che si era creato fra Kerry King, Jeff Hanneman ed Tom Araya, iniziò ad avere problemi coesistenziali con gli altri tre, e lasciò la band, venendo sostituito dal batterista dei Whiplash, Tony Scaglione. Egli suonò con gli Slayer durante il tour di Reign In Blood, ma sempre nel 1987 lasciò a sua volta la formazione, per problemi di bagaglio tecnico, causando il rientro di Dave Lombardo. Dopo tre dischi iper-veloci, per gli Slayer era giunto il momento di prendere una decisione importante, praticamente fondamentale: rimanere totalmente coerenti al sound inventato con Reign In Blood (1986), o cambiar strada per evitare di cadere nello scontato e di dover affrontare un continuo paragone delle nuove releases con quel masterpiece? Il rischio, fino all’epoca, non era mai stato contemplato. La risposta alla domanda non era di certo facile, ma gli Slayer non ebbero problemi, ed andarono in parte controcorrente, contro i desideri della stragrande maggioranza dei fans. La risposta alla mia questione la si individuò in South Of Heaven (1988), ennesima grande produzione firmata da Rick Rubin e sesta uscita discografica del quartetto californiano, stavolta quasi interamente scritto dal duo Jeff Hanneman – Tom Araya, e completamente diverso dal suo predecessore: il riffing rimase simile, ma le ritmiche, nei suoi metronomi, cambiarono verso la direzione di pezzi decisamente più lenti, riflessivi, spesso incentrati sulla melodia. Il pomo della discordia. Dave Lombardo alla batteria diede comunque l'ennesimo saggio di bravura tecnica e resistenza fisica, dando vita a quel muro ritmico su cui gli altri costruirono dei brani veramente micidiali. I fans, inizialmente, odiarono a morte questo disco, rivalutato col tempo proprio dalla maggior parte di essi. I testi mutarono anch’essi, passando dall'essere incentrati su tematiche come il satanismo e l'horror su lidi adiacenti la guerra e altre tematiche che poi esaminerò. Il disco, uscito il 5 luglio 1988, si presenta cupo già a partire dalla celebre copertina dove è ritratto un enorme teschio sovrastante un mare di sangue, cover dove si ritrovano alcuni particolari re-interpretati del celebre “Il trittico delle delizie”, opera del visionario pittore fiammingo Hyeronimus Bosch. Dieci ottime tracce, con cambiamenti d'esecuzione disarmanti.

Amo essere prolisso su ciò che amo, tuttavia, penso che dopo 827 parole spese e 4386 caratteri battuti (ho realmente effettuato il conteggio), sia giunto il fatidico momento di scrivere due righe sulla tracklist. L'apertura è affidata alla demoniaca title-track, South Of Heaven appunto. Fin dalle prime note si intuisce una decisa sterzata, non solo a livello di sound, che, di fatto, mantiene la pulizia del precedente platter con in più una "corposità" molto convincente sul piano del songwriting.  L'arpeggio iniziale, che poi costruirà il tema fondamentale del pezzo, è oscuro e maestoso allo stesso tempo e il drumming di Dave Lombardo, preciso e puntuale nel cadenzare le ritmiche, sottolinea in maniera egregia il cupo incedere del brano. Le vocals di Tom Araya sono strazianti, cogliendo il lato particolarmente macabro dell'atmofera creata dalla prima traccia, mentre gli assoli finali sigillano la limpida bellezza di una parte integrante del repertorio classico della band statunitense. Lenta ma potente. Piccola nota a margine: south of heaven è stata “coverizzata” in ben due occasioni, vale a dire, Just One Fix dei Ministry che ne riprende la melodia iniziale, mentre gli Apocalyptica la hanno re-interpretata solo con i violoncelli. La successiva ed affilata Silent Scream è, al contrario della precedente canzone, incentrata su ritmiche convulse che sostengono un riffing tagliente nella migliore tradizione del combo. Tom Araya, tornando al discorso delle tematiche, ha una particolare predilezione per i serial killer: << preferisco parlare di fatti più materiali, che magari vedo in tv o di cui leggo sui giornali, anche se mi rendo conto di dare un'immagine veramente orribile della vita moderna. nella cronaca, dunque, che cerco nuove idee per le canzoni. Guardo una foto e noto delle cose >>. Proprio come per Silent Scream: << ho preso l'idea dall'immagine di un bambino semisepolto da quell'incidente a una fabbrica chimica in India, che uccise un sacco di gente. Guardandolo potevi capire che era morto per il gas tossico che si era sprigionato. E ho pensato a quanto la vita di un bambino potesse assomigliare ad un incubo. Sono affascinato e intrigato dalla malvagità dell'uomo verso se stesso >>. Meno male che non ha fatto più l’infermiere. Live Undead, invece, è il primo vero banco di prova in cui si cimenta la band: un mid-tempo costruito su un riffing sofferto e martellante, anche se poi le ritmiche cadenzate del brano subiscono un'accelerazione improvvisa nella sua fase conclusiva, dove una serie di micidiali assoli, in rapida successione, ne compattano la forza d'urto. Il nazismo, tuttavia, tornò a presenziare nel booklet, apparendo importante nelle lyrics di Behind The Crooked Cross, la quarta traccia, il cui testo che dimostrò che gli Slayer non erano affatto nazisti, ma l’esatto contrario. Leggendo con attenzione il suddetto testo, appare lampante il distacco da Adolf Hitler e seguaci: la svastica viene infatti proposta come segno della soppressione della libera volontà che portò milioni di tedeschi ad un massacro senza senso. Dal punto di vista musicale, Behind The Crocked Cross è un altro brano a due facce, una caratterizzata da ritmiche dinamiche e potenti, l'altra costruita su ritmiche convulse dove il riffing si fa più tagliente e aggressivo. Breve parentesi: i singoli. Gli unici finora rilasciati dal quartetto erano stati Postmortem nel 1986 e Criminally Insane nel 1987, toccò ora alla quinta traccia, Mandatory Suicide, essere l’unico singolo estratto da questo meraviglioso album. Questo fu l'ennesimo spiacevole episodio che procurò parecchi guai al gruppo, sottoposto a durissimi attacchi delle organizzazioni conservatrici che lo accusano di diffondere idee negative e istigatorie, in ogni caso, Tom Araya si prese la briga di denunciare soltanto la follia della guerra in Vietnam. Niente altro. Mandatory Suicide è costruita su un riff portante, davvero cupo e straziante , che culmina in un delirio sonoro da far venire i brividi. Un pezzo inequivocabilmente riproposto dal vivo durante gli show della band. Memorabile. Della velocità dei predenti dischi, lo ripeto, è rimasto poco più di un barlume, avvertibile su pezzi furiosi come l'ottima Ghosts Of War, avviata su volumi bassi per poi procedere con una fase distruttiva degna del nome degli Slayer. Read Between The Lines, piuttosto, è una track costruita su un riffing dissonante sostenuto da una base ritmica giocata su diversi cambi di tempo. Claustrofobica. Cleanse The Soul, l’ottava traccia, rimanda direttamente alle estremizzazioni sonore del precedente Reign In Blood (1986), grazie soprattutto ad un drumming mozzafiato e all’incalzante duo alla chitarra, soprattutto in sede solistica. Di sicuro effetto. Un discorso a parte per la nona traccia, incentrata sull'amore che Kerry King prova per i Judas Priest: poteva allora mancare una loro cover? Dissident Aggressor mostra l'inossidabile legame presente fra la band e la formazione inglese, la cover è eseguita in maniera totalmente fedele all'originale deliziando l'ascoltatore con un'esecuzione carica di pathos. La chiusura è affidata a Spill The Blood, che merita un elogio doveroso. Gli Slayer, prima di allora, non avevano mai osato tanto rispetto al proprio sound di riferimento, costruendo, nella fase d’apertura della canzone, un arpeggio semi-acustico oscuro ma al contempo affascinante come tema portante di tutto il brano. Spill the blood è sostenuta da una base ritmica martellante ed ossessiva, dove le vocals sono nuovamente sofferte e strazianti. Concludendo, era difficile bissare un capolavoro eccelso quale il precedento disco, ma South Of Heaven (1988) non risultò essere un disco uguale al precedente, ma decisamente più maturo sotto diversi aspetti. In una parola sola: imperdibile.

 
 
 
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