Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 31

Post n°31 pubblicato il 26 Marzo 2005 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

SLAYER: HELL AWAITS (1985)

Il tiro si fa meno veloce a favore di una pesantezza che non lascia scampo, il songwriting è più maturo e i brani sono più lunghi e tortuosi, ricchissimi di idee tanto quanto oscuri e sepolcrali, tutto questo è Hell Awaits: un’autentica dimostrazione di superiorità messa in atto dai quattro "assassini" californiani, grazie alla capacità di saper plasmare perfettamente un genere, quello del thrash metal estremo, che ancora andava cercando il suo miglior assetto stilistico. Nulla stona, se non la produzione di Brian Slagel, infatti, il suono non è certo dei migliori e la stessa registrazione risulta essere alquanto particolare, sembra che gli Slayer suonino in una caverna: le chitarre sono un po' in sottofondo a favore della sezione ritmica e delle vocals di Tom Araya. La prima mutazione. Gli Slayer, col passare del tempo, iniziarono ad assumere una forma sempre più propria e personale: abbandonati gli orpelli della NWOBM, velocizzarono il proprio sound, estremizzarono la proposta, e pur rimanendo ampiamente riconoscibili si dimostrarono aperti a soluzioni di evoluzione. Hell Awaits fu, dunque, un sigillo che ancora oggi molti classificano fra le più belle releases estreme degli anni ottanta, che vendette centomila copie nel giro di pochissimo tempo, e portò la band a suonare al Dynamo ed a stringere contatti con Rick Rubin, all’epoca fortunato produttore di Public Enemy, Beastie Boys e Run DMC, oggi di Red Hot Chili Peppers, Slipknot e System Of A Down, tanto per far tre nomi. Suoni più cupi e sepolcrali rispetto a quanto fatto dalla band nell’immediato passato, pezzi più veloci, continui cambi di tempo, ed un approccio tecnico decisamente migliorato, così gli Slayer giocarono così ad allargare gli orizzonti del metal estremo, ed in una scena dove suonare al limite significava proporre un thrash lineare, piatto, riuscendo a dar luce ad un masterpiece fantastico, irraggiungibile per l'epoca d'uscita. Il gruppo si era evoluto decisamente: il mitico Dave Lombardo scoprì l'utilità del doppio pedale, assente ingiustificato sui precedenti dischi, che qui utilizzò alla grande, con interventi schizofrenici di pura e veloce doppia cassa che, oltre a caratterizzare inconfondibilmente il suo personalissimo drumming, decisamente più multidirezionale e maturo, sottolinearono proprio le parti più incisive, conferendo un'aggressività micidiale ai tipici virtuosi riffs della coppia Kerry King – Jeff Hanneman, che avevano finalmente accantonato la “classicità” a favore di un estremismo sonoro senza compromessi particolari, che uniti al sovente basso “grattato” e ad un cantato tormentato, torturato e acuto dell’ispirato Tom Araya, formarono una macchina da guerra inarrestabile, che tutt’oggi travolge, brucia e devasta, una vera e propria bomba al napalm che dà una coerente definizione di "Slayer sound". I sette pezzi messi in atto sono claustrofobici, oscuri, dannatamente pesanti, che dimostrano un livello di qualità espressiva notevolissimo. Il disco si apre con le litanie di Hell Awaits, la title-track, caratterizzate da quell'espressione, << join us, join us… welcome back >>, che si può comprendere solo se ascoltata al contrario. Ciò ha contribuito negativamente ad alimentare la forte attitudine malvagia e satanica della band americana. Quando si sente lo spietato crescendo della title-track per la prima volta, un brivido freddo pervade il corpo, si entra nel regno delle tenebre, dove non se ne può più uscire, perché la magia di questa canzone cattura inequivocabilmenteHell Awaits, con il suo incedere così imperioso, vale da sola il prezzo di questo disco. A seguire, un’altra gemma: la malata Kill Again. Sono qui indimenticabili gli isterismi vocali proposti da Tom Araya nel ritornello, per non parlare del riff tagliente, una vera e propria rasoiata. Poi tocca alla “vampirica” At Dawn They Sleep. Semplicemente fantastica. Una killer track che si impone con decisione e occultismo, dove brillano in maniera riflessa delle luci del periodo precedente, quello legato ancora all’heavy classico. Quarta traccia, Praise Of Death, ennesimo pezzo nudo e crudo, che anticipa di netto quella che sarà la svolta death metal che di lì a poco si andrà a contrapporre al thrash, mentre Nekrophiliac, uno dei pezzi migliori scritti dal combo californiano, per altro uno dei più veloci ed estremi del disco che riesce perfettamente a non cadere mai nella banalità. Crypts Of Eternity e Hardening Of The Arteries sono altrettanti episodi felici e validi, poiché se il primo merita un richiamo per un più che degno riff, nonché per delle atmosfere dannatamente violente, caratterizzate da un’aura occulta e distruttrice, il secondo segna l’ultimo passo di cotanto inferno sonoro. L’incubo è finito, si dissolve lentamente proprio mentre il regno del sangue è prossimo a sorgere definitivamente in maniera incontrastata. In conclusione, Hell Awaits è un capolavoro in miniatura, non ai livelli di perfettibilità assoluta del successivo Reign In Blood (1986), l’opera magna, ma, pur sempre, un esplicito esempio di quanto siano stati importanti gli Slayer nel corso del tempo, anche se non si sono proprio fermati qui…

 
 
 
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