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DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

Messaggi del 30/06/2007

Post N° 96

Post n°96 pubblicato il 30 Giugno 2007 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

PLANET FUNK: THE ILLOGICAL CONSEQUENCE (2005)

Ipse dixerunt. « I Planet Funk hanno fatto un cammino diverso da molti altri musicisti che partono dal rock e lo contaminano con la house e con la club culture in genere. Per noi è stato il contrario, abbiamo portato il rock dentro la musica da ballo, nel dancefloor. E' un esperimento coraggioso, frutto del nostro DNA musicale a testimonianza della nostra crescita. Siamo veramente soddisfatti del lavoro che abbiamo fatto per questo disco. Ci siamo accorti di essere cresciuti, perché tutto è avvenuto in maniera spontanea. Siamo sicuramente più soddisfatti del lavoro precedente, non solo perché quello che finisci ti sembra sempre il lavoro migliore, ma anche perché è veramente il prodotto della band. C'è compattezza, non è solo una raccolta di canzoni come era successo per l'esordio ». The Illogical Consequence (2005) è un omaggio all’uomo, nonché un singolare groviglio di tecnologica umanità e compenetrante espressività. Non più un insieme di brani intesi come potenziali singoli, bensì un sentiero nelle anse della musica strumentale, spesso associata a dense linee vocali, che contraddistingue il giorno dalla notte. Luce e buio. Perché The Illogical Consequence? « Il titolo esprime un concetto molto ampio che non si limita al solo disco. Le cose più significative sono quelle che non vengono progettate a tavolino, bensì frutto di illogiche e impensabili conseguenze. Le illogiche conseguenze sono effetto di istanti, di momenti colti e sviluppati. Questa è un po’ la storia del disco, ma anche di quanto è successo all'uomo. Qui si parla di ecologia e di tecnologia, due elementi che possono coesistere. Anche il video di Stop Me è basato su questi elementi, lo abbiamo girato in Cina, nella più grande discarica di computer al mondo. È un posto incredibile, altamente inquinato, intorno al quale si è creata una comunità che vive su questa discarica. Il disco vive sulle paure, gli errori e le ossessioni del genere umano che nonostante tutto resta arbitro del proprio destino ». La nuova musica globale nasce a Napoli, in via Posillipo, nello studio panoramico che affaccia sul golfo. Il breve, ma intenso, percorso musicale dei Planet Funk li ha visti imbattersi in una moltitudine di generi, perennemente in bilico, fra dance, trip-hop e pop elettronico. Un progetto ambizioso? Marco Baroni, Domenico GG Canu, Sergio Della Monica ed Alex Neri sono riusciti nel loro intento: a seguito del fortunato esordio di Non Zero Sumness (2002), The Illogical Consequence (2005) finisce per essere un vero prodotto d’esportazione. Di musica internazionale. « Non ci interessano i confini. La nostra musica trova i suoi riferimenti più immediati fuori dell'Italia. All'estero però abbiamo una caratteristica "nazionale" che ci fa riconoscere immediatamente come band italiana. Ci fa piacere, non lo consideriamo certo un limite, d'altronde succede lo stesso con tutti gli altri artisti, pensi immediatamente a quella che è la cultura di provenienza, anzi ne vai a cercare le peculiarità ». I Planet Funk, a tal riguardo, continuano a beneficare delle altrui voci, scegliendo, di volta in volta, quelle più appropriate ai loro intenti creativi. « Rispetto al disco precedente Dan Black canta solo in tre brani. I rapporti con lui sono ottimi, ma noi siamo un collettivo aperto e, tra tutto il materiale che avevamo con la sua voce, queste tre canzoni sono quelle che meglio si adattano al concetto e allo spirito del disco. La voce di Dan è "importante" e può penalizzare le partiture musicali, non volevamo che questo succedesse. Per il resto abbiamo lavorato con John Graham, un DJ cantante inglese al quale è piaciuto il nostro progetto, e Sally Doherty, che già appariva nel primo disco. In due album abbiamo allineato sette cantanti a dimostrazione del fatto che non esiste una voce unica per il gruppo ». Solida dichiarazione d’intenti.

Giungla Sud. Ipnotica ed oscura, Movement Is Noted è la naturale introduzione ad Everyday, ovvero la sintesi della semplice magnificenza sonora e lirica: chorus irresistibile e preziosa tastiera a scandirne l’incedere. Improvvisa esplosione?

 Per forza di cose, è stato un singolo di successo che ha fatto il pari con Stop Me, divertente “tormentone estivo” di due anni fa che fungeva da colonna sonora allo spot della Coca Cola, dove si possono riascoltare le colorate nonché vivaci atmosfere degli anni 80 del secolo scorso: questo è il trademark dei Planet Funk, più unico che raro, che si ricollega direttamente alla orecchiabile produzione precedente.

Con la placida Trapped Upon The Ground, subentra un clima calmo, mentre è la voce di Dan Black a farla da padrona. Il cambio di marcia, però, è immediato con una dinamica Come Alive. Le varianti del disco rendono il lavoro così disomogeneo che bisogna ascoltare una traccia più volte per poterla comprendere a fondo. Si prosegue con la distesa Laces, esperimento folk, sempre su piacevoli livelli. La altrettanto gradevole ballata acida con disturbi elettronici, corroborata all’interno da un’anima spontaneamente commovente, quale è The End finisce per essere la linea di spartiacque con quanto di ottimo giungerà con Ultraviolet Days e Tears After The Rainbow. Se la prima è un intermezzo lento e malinconico seppur morbido e avvolgente, la seconda assurge a vero e proprio capolavoro dell’intero lotto. Calma apparente mediante sapienti tastiere surrogata ad improvvise sfuriate elettroniche, lasciando l'impressione di chi abbia intenzione di distaccarsi, comunque, dal filone più dance che aveva caratterizzato il precedente album per orientarsi verso un sound diverso, più vicino al rock elettronico. E non è tutto. L’uomo è artefice primo del proprio destino e The Illogical Consequence celebra, a suo modo, l’eccezionalità della mente umana e la sua capacità di modificare la realtà. Una traccia particolarmente interessante e che chiama alla riflessione sulla condizione dell’essere umano è proprio la nona traccia: « Tears After The Rainbow contiene un campionamento estratto da un documentario/intervista con Oppenheimer trasmesso dalla BBC nel 1965, in cui il fisico piange e riconosce il suo errore: aver costruito un mostro come la bomba atomica. Questo ci ha fatto riflettere sul potere che la mente ha, dell'uso che se ne può fare, nel bene e nel male, dell'illogicità dei suoi percorsi ». Una canzone di pace con un innesto angoscioso come l’ammissione pubblica di colpa di Oppenheimer, vessillo della potenza e della creatività della mente umana impiegate per fini non propriamente nobili, se considerate le innumerevoli innocenti vite spezzate. Un “a cappella” azzeccato e di forte impatto che sa di miseria e smarrimento, genuino ravvedimento. Le sorprese di Illogical Consequence non finiscono qui, perché un esperimento tanto particolare, quanto convincente è prossimo: una voce sintetica scandisce fiumi di parole per Inhuman Perfection, evocativa composizione d’atmosfera distesa su un raffinato crescendo armonico. La voce è della nota attrice Claudia Pandolfi che recita la parte di un’avveniristica donna in un futuro in costante mutazione : « la conosciamo da parecchio tempo (tramite Sergio Della Monica) e con lei volevamo collaborare in un video. È venuta a trovarci in studio durante la lavorazione, comprendendo e apprezzando lo spirito dell'album. Noi cercavamo qualcuno che potesse prestare la sua voce a un recitato nel brano Inhuman Perfection. Lei era ideale. La sua voce poi è stata "lavorata" ed è irriconoscibile ». Peak, arrembante e tirata, annovera, piuttosto, nuovamente la voce di Dan Black, mentre, invece, in Dusk ritorna quella già conosciuta ed apprezzata su Non Zero Sumness (2002) di Sally Doherty, per una canzone impostata al pianoforte, prima di esplodere con notevoli propagazioni rock. La sontuosa ed affascinante conclusione di un viaggio psichedelico ovattato è affidata ancora a Dan Black – un po’ meno “scomodo ed egocentrico” rispetto al passato, ma sostituito pienamente dalla duttile ed estremamente poliedrica voce di John Graham che concretizza le tecnologiche visioni eteree del “suono Planet Funk” – con Out On The Dancefloor, soltanto che qui la sua centripeta personalità è ben mitigata da una forte componente sonora, che detta le regole dell’emozione per chi ascolta. Pollice rivolto verso l’alto per i Planet Funk. L'ennesimo.

 
 
 

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