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Un blog creato da mino27 il 02/05/2008

Parole Sgradevoli

Un'entropia di parole sgradevoli

 
 

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COME ORIENTARSI IN QUESTA CONFUSIONE

Scritti (s)gradevoli li ho scritti io,
Entropicus dicono cose non ben comprensibili, o non definitamente identificanti di me o di questo blog, a volte li ho scritti io a volte qualcun altro, capiscilo da quel che vedi
Citescions li ha scritti qualcun altro ma c'è stato un tempo in cui mi è piaciuto che fossero qui
Gli altri tags parlano da soli è perfettamente inutile descriverli e forse è inutile, se non decisamente controproducente aver descritto anche quei pochi qui sopra....ecco!

 

IL LIBRO DEL MOMENTO



TRILOGIA DELLA CITTA' DI K.
Di Agota Kristof
 

 

Buon giorno

Post n°12 pubblicato il 07 Giugno 2008 da mino27
 

buon giorno,

giorno che veglia sulle anime purganti.

Giorno luce dopo la notte,

giorno che riaffiora e torna,

sì fiero dopo il volgere del cielo

da luce scarna per rotazion lunare

a luce forte per le facce tese,

tese di chi volge al proprio muover là,

là dove pulsa

il tiepido pulsare del volere,

a fronte del calor che ci riscalda.

(29062006)

 
 
 

I 13 consigli per scrivere di mister Chuck Palahniuk

Post n°11 pubblicato il 31 Maggio 2008 da mino27
 
Foto di mino27

Venti anni fa, una mia amica e io camminavamo per Portland a natale.
I grandi negozi con tanti reparti: Meier and Frank… Fredrick and Nelson… Nordstroms… in tutte le loro vetrine sempre la stessa semplice, graziosa scena: un manichino abbigliato o una bottiglia di profumo sulla neve finta.
Invece le vetrine di J.J. Newberry, diavolo, erano stracolme di bambole e decorazioni e spatole e set di cacciaviti e cuscini, aspirapolveri, grucce di plastica, criceti, fiori di seta, caramelle – credo che ormai abbiate capito che cosa intendo. Ogni singolo oggetto di quella massa era prezzato con un cartellino rotondo di un rosso sfumato. E oltrepassando la vetrina, la mia amica, Laurie, lanciò una lunga occhiata e disse: "la loro filosofia di allestimento delle vetrine deve essere: 'Se la vetrina non sembra uscita bene – mettici altra roba."
Disse il commento perfetto al momento perfetto, e lo ricordo due decenni dopo perchè mi fece ridere. Quelle altre, eleganti vetrine… sono sicuro che fossero curate e piacevoli, ma non m’è rimasta in mente una vera immagine di come fossero.
Per questo saggio, il mio obiettivo è ‘metterci altra roba’. Mettere insieme una sorta di calza natalizia delle idee, sperando che qualcosa sia utile. Come se facendo i pacchetti regalo per i lettori, infilandoci caramelle e uno scoiattolo e un libro e qualche gioco e una collana, io sperassi che una varietà sufficiente garantisca che qualcosa di tutto ciò risulti totalmente asinino, ma qualcos’altro si riveli perfetto.

Numero Uno: Due anni fa, quando scrissi il primo di questi saggi fu a proposito del mio metodo di scrittura “con timer da cucina”. Non avete mai visto quel saggio, ma eccovi il metodo: Quando non avete voglia di scrivere, programmate un timer da cucina su un’ora (o mezz’ora) e sedetevi a scrivere finché suona il timer. Se ancora odiate scrivere, siete liberi dopo un’ora. Ma normalmente, giunti al momento in cui suona il timer, sarete così coinvolti dal vostro lavoro, vi piacerà così tanto che continuerete. Invece di un timer da cucina, potete fare un carico di vestiti nella lavatrice o nell’asciugatrice e usare quello per dare un tempo al vostro lavoro. Alternare il compito cerebrale della scrittura con il lavoro meccanico della lavanderia o del lavaggio dei piatti vi darà le pause necessarie perchè giungano nuove idee e ispirazioni. Se non sapete cosa seguirà nella storia… pulite il bagno. Cambiate le lenzuola. Cristo Santo, fate le polveri al computer. Un’idea migliore arriverà.

Numero Due: Il vostro pubblico è più intelligente di quanto crediate. Non abbiate paura di sperimentare con strutture narrative o salti temporali. La mia personale teoria è che le giovani generazioni di lettori si tengano a distanza dalla maggior parte dei libri – non perché questi lettori siano più stupidi di quelli delle generazioni passate, ma perché il lettore di oggi è più intelligente. Il cinema ci ha reso molto sofisticati in merito alla narrazione di storie. E il vostro pubblico è più difficile da colpire di quanto possiate immaginare.

Numero Tre: Prima di sedervi a scrivere una scena, rimuginatela nella vostra mente e chiarite a voi stessi lo scopo di quella scena. Quali eventi precedentemente iniziati saranno interessati da questa scena? Quali basi saranno poste per scene successive? Come potrà questa scena contribuire allo sviluppo della vostra trama? Mentre lavorate, guidate, fate ginnastica, mantenente questo solo problema nella vostra mente. Prendete qualche appunto quando vi vengono delle idee. E solo quando avete stabilito l’ossatura della scena – allora, sedetevi e scrivetela. Non mettetevi a quel noioso, polveroso computer senza aver qualcosa in mente. Non affaticate il vostro lettore con una scena in cui poco o niente accade.

Numero Quattro: Sorprendete voi stessi. Se riuscite a portare la storia – o a far sì che la storia porti voi - a un punto tale da sconvolgere voi stessi, allora potrete sorprendere il vostro lettore. Laddove voi vedrete delle sorprese ben pianificate, è molto probabile che anche il vostro sofisticato lettore le vedrà.

Numero Cinque: Quando arrivate a un punto morto, tornate indietro e leggete le vostre scene precedenti, cercando personaggi abbandonati o dettagli che potete resuscitare come “pistole sepolte”. Quando stavo scrivendo il finale di Fight Club, non avevo idea di che cosa fare con il palazzo di uffici. Ma rileggendo la prima scena, ho trovato il commento che avevo lasciato cadere a proposito di combinare nitroglicerina e paraffina e di come fosse un metodo dall’esito incerto per fabbricare esplosivo plastico. Quella frasettina stupida (… la paraffina non ha mai funzionato per me…) fece risorgere la perfetta “pistola sepolta” alla fine e salvò il mio culo di raccontastorie.

Numero Sei: Usate la scrittura come la vostra scusa per indire un party alla settimana – anche se chiamerete quel party “workshop”. Ogni istante che passate con altre persone che stimano e supportano la scrittura, quegli istanti controbilanceranno tutte le ore che passate da solo, scrivendo. Persino se un giorno venderete il vostro lavoro, nessuna cifra di denaro vi ricompenserà per il tempo che avete speso in solitudine. Perciò, prendetevi subito la vostra “ricompensa”, fate della scrittura una scusa per stare fra la gente. Quando raggiungerete la fine della vostra vita – credetemi, non vi guarderete indietro per assaporare i momenti che avete passato da soli.

Numero Sette: Imparate a convivere con il Non Conoscere. Questo piccolo consiglio è giunto passando per un centinaio di personaggi famosi, attraverso Tom Spanbauer fino a me e ora, a voi. Più a lungo permettete a una storia di prendere forma, migliore sarà la sua forma finale. Non affrettate o forzate il finale di una storia o di un libro. Tutto ciò che dovete conoscere è la prossima scena, o le prossime scene. Non dovete conoscere ogni momento dal principio alla fine, infatti, altrimenti sarà noioso come l’inferno da realizzare.

Numero Otto: Se avete bisogno di maggiore libertà nel muovervi nella storia, di revisione in revisione cambiate i nomi dei personaggi. I personaggi non sono veri, e non sono voi. Cambiandone arbitrariamente i nomi, prenderete la distanza necessaria per poter veramente torturare un personaggio. O peggio, eliminate un personaggio, se è quello che la storia richiede.

Numero Nove: Ci sono tre tipi di discorso – non so se sia VERO, ma l’ho sentito a un seminario e mi è sembrato sensato. I tre tipi sono: Descrittivo, Istruttivo, ed Espressivo. Descrittivo: “Il sole si era alzato…” Istruttivo: "Cammina, non correre…" Espressivo: "Ahi!" la maggior parte degli scrittori di narrativa usano solo una – al massimo, due – di queste forme. Quindi usatele tutte e tre. Mischiatele fra loro. La gente parla così.

Numero Dieci: Scrivete il libro che vorreste leggere.

Numero Undici: Fatevi scattare adesso le fotografie da mettere sulle sovracopertine, finché siete giovani. E procuratevi i negativi e i diritti su quelle fotografie.

Numero Dodici: Scrivete delle questioni che vi toccano. Sono le sole cose di cui vale la pena scrivere. Nel suo corso, intitolato "Scrittura Pericolosa," Tom Spanbauer insiste sul fatto che la vita è troppo preziosa per spenderla scrivendo piatte, convenzionali storie nei confronti delle quali non provi nessun attaccamento. Ci sono così tante che di cui Tom ha parlato ma che ricordo solo per metà: l’arte della “manomissione”, che non saprei ripetere con precisione, ma che ho capito riferirsi all’attenzione da prestare nello spostare il lettore attraverso i vari momenti della storia. E "sous conversation," che ho capito intendere il messaggio nascosto, sepolto al di sotto della storia ovvia. Poichè non mi sento a mio agio a descrivere argomenti che ho capito solo a metà, Tom ha accettato di scrivere un libro sul suo workshop e sulle idee che insegna. Il titolo temporaneo è "A Hole In The Heart," e [Tom] pensa di averne una bozza pronta per Giugno 2006, con una data di pubblicazione definita per l’inizio del 2007.

Numero Tredici: Un’altra storia su una vetrata natalizia. All’incirca tutte le mattine, faccio colazione nello stesso locale, e questa mattina un uomo stava dipingendo la vetrata con decorazioni natalizie. Pupazzi di neve. Palle di neve. Campanelli. Babbo Natale. Se ne stava sul marciapiedi, dipingendo nel freddo assiderante, il suo fiato fumante, alternando pennelli e rulli con vari colori di vernice. Dentro il bar, clienti e camerieri lo guardavano stendere vernice rossa e bianca e blu sul lato esterno della vetrata. Dietro di lui, la pioggia divenne neve, che cadeva di traverso spinta dal vento.
I capelli del pittore erano di tutte le sfumature di grigio, e la sua faccia era cadente e rugosa come il sedere vuoto dei suoi jeans. Tra un colore e l’altro, si fermava per bere qualcosa da un bicchiere di carta.
Guardandolo dall’interno, mangiando uova e pane tostato, qualcuno disse che era triste. Questo cliente disse che l’uomo era probabilmente un artista fallito. C’era probabilmente whiskey nel bicchiere. Probabilmente aveva uno studio colmo di dipinti che nessuno ha voluto e ora si guadagna da vivere decorando le vetrine di ristoranti che puzzano di formaggio e di negozi di alimentari. Proprio triste, triste, triste.
Questo pittore continuava a stendere il colore. Tutta la bianca “neve”, prima. Poi qualche macchia di rosso e di verde. Poi qualche contorno che ha trasformato le chiazze di colore in calze e alberi di Natale.
Un cameriere si aggirava, versando caffè alla gente, e dicendo, “E’ così pulito. Mi piacerebbe saperlo fare io…”
E sia che invidiassimo o compatissimo questo tipo al freddo, lui continuava a dipingere. A aggiungere dettagli e strati di colore. E non sono sicuro di quando accadde, ma a un certo momento non era più lì. I disegni erano in sé così ricchi, si adattavano alle vetrine così bene, i colori erano così luminosi, che il pittore se n’era andato. Sia che fosse un fallito o un eroe. Era scomparso, andato chissà dove, e tutto ciò che noi vedevamo era il suo lavoro.

(un grazie speciale, e lui sa immaginare cosa intendo, a Dottor Gonzo di villa invy)


13 Sep 2007, di Chuck Palahniuk (Originale:http://www.chuckpalahniuk.it/ )

 
 
 

La teoria di Arturo

Post n°10 pubblicato il 27 Maggio 2008 da mino27
 

Il risveglio di Arturo era stato migliore del solito.

La puzza di vomito nel suo appartamento cominciava a dissolversi, dopo giorni di persistenza.

In fondo la sua teoria del 'ricoprimento elementare' si stava rivelando vera.

Essa consisteva in pochi semplici e sani principi:

1-le cose umide prima o poi si asciugano
2-le cose umide persistenti e puzzolenti vengono ricoperte dalla polvere
3-le cose persistenti entrano a far parte dell'ambiente circostante finché non smettono di persistere.

Nel caso specifico la teoria si applicava semplicemente, con qualche certezza ma con almeno un dubbio:

a- il vomito è una cosa umida. Certezza
b- il vomito è puzzolente. Certezza
c- il vomito diventa persistente una volta asciutto, conseguenza del punto 1. Certezza
d- Il vomito riuscirà a compenetrarsi con l'ambiente in modo tale da esservi inglobato ? Dubbio.

Si sentiva un vincitore !
La sua teoria finalmente aveva una applicazione !

Quel giorno fu un uomo felice.

La storia continua con tante macchie di vomito ed altre forme della materia ad esso affini che cominciano a riempire la casa di Arturo, che gaio e felice finalmente esce dalla propria casa con il sorriso in bocca er orgoglioso di se si vanta con gli amici e gli sconosciuti dei meravigliosi risultati empirici ottenuti.

E naturalmente del meraviglioso risultato da punto di vista dell'arredamento della sua oramai gaia - anche lei ! - magione.

Una nuova luce potrà splendere nel cielo dei geni conclamati e la stella di Arturo spicca il volo nell'etereo mondo del pensiero.
Ebbene si ! Gaudio e gioia nel cielo dei geni e dei poeti !

Basta poco per essere soddisfatti ?.



 
 
 

Lella (E. De Angelis – S. Gicca Palli)

Post n°9 pubblicato il 26 Maggio 2008 da mino27
 


Te la ricordi Lella quella ricca
La moje de Proietti er cravattaro
Quello che cia’ er negozio su ar Tritone
Te lo ricordi te l’ho fatta vede
Quattr’anni fa e nun volevi crede
Che ‘nsieme a lei ce stavo proprio io
Te lo ricordi poi ch’era sparita
E che la ggente e che la polizia
S’era creduta ch’era annata via
Co’ uno co’ più sordi der marito...
E te lo vojo di’ che so’ stato io
So’ quattr’anni che me tengo ‘sto segreto
Te lo vojo di’ ma nun lo fa sape’
Nun lo di’ a nessuno tiettelo pe’ te
Je piaceva anna’ ar mare quann’è inverno
Fa’ l’amore cor freddo che faceva
Però le carze nun se le tojeva
A la fiumara ‘ndo ce sta er baretto
Tra le reti e le barche abbandonate
Cor cielo griggio a facce su da tetto
Na matina ch’era l’urtimo dell’anno
Me dice co’ la faccia indifferente :
Me so stufata nun ne famo gnente
E tireme su la lampo der vestito...
E te lo vojo di’ che so’ stato io
So’ quattr’anni che me tengo ‘sto segreto
Te lo vojo di’ ma nun lo fa sape’
Nun lo di’ a nessuno tiettelo pe’ te
Tu nun ce crederai nun cio’ più visto
L’ho presa ar collo e nun me so’ fermato
Che quann’è annata a tera senza fiato
Ner cielo da ‘no squarcio er sole è uscito
E io la sotteravo co’ ‘ste mano
Attento a nun sporcamme sur vestito
Nun c’io’ rimorsi e mo’ ce torno pure
Ma nun ce penso a chi ce sta la’ sotto
Io ciaritorno solo a guardà er mare...
E te lo vojo di’ che so’ stato io
So’ quattr’anni che me tengo ‘sto segreto
Te lo vojo di’ ma nun lo fa sape’
Nun lo di’ a nessuno tiettelo pe’ te…


 
 
 

RIsultato del giorno dopo

Post n°8 pubblicato il 26 Maggio 2008 da mino27
 
Foto di mino27

La percezione che ho del mio cervello dopo la festa è in questa foto...

 
 
 

Post Festa

Post n°7 pubblicato il 26 Maggio 2008 da mino27
 

Ok la festa è andata bene, benissimo.
Il primo 'evento' vero da quando abito da solo (meno di due mesi).
Le mie organizzatrici eccezzionali.
Musica in quantità (i vicini ok, avvertiti prima..).

Un sacco  di gente, che alle 4 di notte continuava ad arrivare....
Alcuni si presentavano come amici di persone che non conoscevo.
Al che ho pensato che 'si era perso il controllo' della festa.
Quindi era come volevo ;).

Quantità indecifrabili di alcool.
Anche nel mio stomaco.

Suggestivo notare che la festa è continuata anche quando mi ero delizionsamente appartato sopra il mio letto (vestito) per subentrato distacco delle mie connessioni neurali.

E che hanno persino spento le luci quando gli ultimi sono andati via (chi ? quando ?).

Il dubbio che è rimasto, al mio risveglio, è stato come avrei ripulito la sarajevo domestica che mi sono trovato intorno, soprattutto mentre era in corso la sarajevo interiore nel mio cervello...

Cotal dubbio continua a tarda sera, nonostante il mio faticoso intervento di rimozione monnezza.

Evidentemente i prossimi giorni DOVRANNO essere decisivi.

 
 
 

Io mi dico è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati

Post n°6 pubblicato il 13 Maggio 2008 da mino27
 

Come da Titolo....

CIAO FABRIZIO

 
 
 

And the Radio Plays -CSI

Post n°5 pubblicato il 13 Maggio 2008 da mino27
 


tra frammenti di tecniche
sotto prodigi incerti
un affanno continuo
radio accese
mutazioni possibili
progenitori falsi
un nodo alla gola schermi accesi
come puttana fragile
in cerca di occasioni
so dove sta il delirio
e trema il cuore
trema per un non so
trema per un non so
che si trova a volte a caso
ti guardo e non ti vedo
ti ascolto e non ti sento
non chiedermi di
crederti non lo farò
trema per un non so
trema per un non so
che si trova a volte a caso

 
 
 

La fattoria degli animali

Post n°4 pubblicato il 10 Maggio 2008 da mino27
 

...
Gli anni passarono. Le stagioni si susseguivano, fuggiva la breve vita degli animali. Venne il tempo in cui più nessuno ricordava gli antichi giorni prima della Rivoluzione, eccetto Berta, Benjamin, Mosè il corvo e alcuni maiali.


Muriel era morta, Lilla, Jessie e Morsetto erano morti. Anche Jones era morto, morto in una casa di alcolizzati in un'altra parte della contea. Berta era ora una vecchia e grossa cavalla dalle giunture indurite e con tendenza a un'infiammazione agli occhi. Da due anni aveva passato i limiti d'età, ma in realtà nessun animale era stato messo a riposo. La questione di riservare un angolo del gran pascolo agli inabili al lavoro da lungo tempo era stata lasciata cadere. Napoleon era ora un vecchio verro di un quintale e mezzo. Clarinetto era tanto grasso che a stento i suoi occhi trovavano uno spiraglio per vedere. Solo il vecchio Benjamin era sempre lo stesso, un poco più grigio forse attorno al muso e, dalla morte di Gondrano, sempre più triste e taciturno.


Nuovi esseri popolavano ora la fattoria, bené l'aumento non fosse quale i primi tempi lasciavano prevedere. Erano nati molti animali per i quali la Rivoluzione non era che una vaga tradizione passata di bocca in bocca, ed erano stati comprati altri animali che prima del loro arrivo non avevano mai sentito parlare della cosa. La fattoria possedeva ora tre cavalli oltre Berta. Erano begli animali prestanti, volenterosi al lavoro e buoni compagni, ma molto stupidi. Nessuno di essi riuscì a leggere l'alfabeto oltre la b. Accettavano tutto quanto si diceva loro sulla Rivoluzione e i principi dell'Animalismo, specialmente da Berta per la quale nutrivano un rispetto filiale; ma era dubbio se capivano qualcosa di quello che essa diceva. La fattoria era ora più prospera e meglio organizzata. Era stata anche ampliata con due campi comperati dal signor Pilkington. Il mulino era stato finalmente terminato con successo, la fattoria possedeva in proprio trebbiatrice e montacarichi, e altri fabbricati erano stati aggiunti. Whymper si era comperato una carrozzella. Il mulino non era però stato usato per produrre elettricità, ma per macinare il grano, e rendeva belle somme di danaro. Gli animali lavoravano accanitamente alla fabbrica di un altro mulino ove, una volta finito, si diceva, si sarebbe impiantata la dinamo.


Ma dei lussi che Palla di Neve aveva fatto sognare agli animali, delle stalle con la luce elettrica e l'acqua calda e fredda e dei tre giorni lavorativi per settimana, di tutto questo non si parlava più. Napoleon ne aveva condannata l'idea come contraria ai principi dell'Animalismo. La vera felicità, diceva, sta nel lavorare molto e nel vivere frugalmente. Sembrava insomma che la fattoria fosse diventata in realtà più ricca, senza per questo far più ricchi gli animali, salvo naturalmente i maiali e i cani. Forse questo era dovuto in parte al fatto che maiali e cani erano tanto numerosi. Non che questi esseri non lavorassero a modo loro. Clarinetto non si stancava mai di spiegare quanto enorme fosse il lavoro di sorveglianza e di organizzazione della fattoria. Molto di questo lavoro era tale che gli altri animali, per la loro ignoranza, non lo potevano capire. Per esempio, Clarinetto diceva loro che i maiali dovevano ogni giorno faticare attorno a cose misteriose chiamate "schedari", "relazioni", "registri". Erano, questi, grandi fogli di carta che dovevano venire completamente coperti di scrittura e quando erano così compilati venivano poi buttati nella fornace. Ciò era della massima importanza per il buon andamento della fattoria, diceva Clarinetto. Tuttavia né i porci né i cani producevano cibo, col loro lavoro; ed erano molti e il loro appetito era sempre ottimo.


Quanto agli altri, la loro vita, per quel che sapevano, era quale era sempre stata: avevano fame, dormivano sulla paglia, bevevano alle, stagno, lavoravano nei campi; in inverno soffrivano per il freddo, in estate per le mosche. Talvolta i più vecchi si lambiccavano il cervello per ricordare se nei primi tempi della Rivoluzione, quando ancora era recente l'espulsione di Jones, le cose erano andate meglio o peggio. Ma non riuscivano a ricordare. Non avevano nulla con cui confrontare la loro vita presente; non avevano nulla da consultare, se non le colonne di cifre con cui Clarinetto invariabilmente dimostrava che le cose andavano sempre meglio. Gli animali trovavano il problema insolubile; a ogni modo avevano poco tempo per perdersi in simili pensieri. Solo il vecchio Benjamin diceva di ricordare ogni particolare della sua lunga vita e di sapere che le cose non erano mai state, né mai sarebbero state, né molto meglio né molto peggio: la fame, la fatica, la delusione essendo, così egli diceva, la inalterabile legge della vita.


Pure gli animali non cessavano di sperare. E inoltre non perdevano mai, sia pure per un istante, il senso dell'onore e del privilegio di esser membri della Fattoria degli Animali. Era ancora l'unica fattoria in tutta la contea - in tutta l'Inghilterra! - posseduta e condotta da animali. Non uno di essi, neppure il più giovane, neppure i nuovi venuti, comprati da fattorie distanti diverse miglia, cessava di meravigliarsi di tale fatto. E quando udivano sparare il fucile e vedevano la bandiera verde sventolare in cima all'asta, il loro cuore si gonfiava di imperituro orgoglio e i discorsi volgevano sempre agli antichi, eroici giorni, alla cacciata di Jones, alla scrittura dei Sette Comandamenti, alle grandi battaglie in cui gli uomini invasori erano stati sconfitti. Nessuno degli antichi sogni era stato abbandonato. La Repubblica degli Animali, preconizzata dal Vecchio Maggiore, in cui i verdi campi d'Inghilterra non sarebbero stati calpestati da piede umano, era sempre la loro fede. Sarebbe venuta un giorno: forse non era imminente, forse nessuno degli animali ora viventi l'avrebbe vista, ma sarebbe venuta. Persino l'aria di Animali d'Inghilterra era qua e là segretamente cantata a bassa voce. Era un fatto che tutti gli animali della fattoria la conoscevano, bené nessuno osasse cantarla pubblicamente. Poteva darsi che la loro vita fosse dura e che non tutte le loro speranze si sarebbero compiute. Ma avevano coscienza di non essere come gli altri animali. Se avevano fame, non era per la tirannia dell'uomo; se lavoravano duramente, lavoravano almeno per se stessi.


Non vi era fra loro creatura che andasse su due gambe. Nessun essere chiamava un altro essere "padrone". Tutti gli animali erano uguali.


Un giorno, al principio dell'estate, Clarinetto, ordinò alle pecore di seguirlo e le condusse all'altra estremità della fattoria, in un ampio terreno invaso da betulle. Le pecore passarono tutta la giornata a brucare le foglie sotto la sorveglianza di Clarinetto. Questi se ne tornò la sera alla casa colonica; ma poié faceva caldo, disse alle pecore di rimanere dov'erano. Finì che esse rimasero là un'intera settimana durante la quale nessuno le vide. Clarinetto si tratteneva con loro quasi tutto il giorno: stava insegnando loro, diceva, una nuova canzone per cui era necessario l'isolamento.


Dopo il ritorno delle pecore, in una deliziosa serata quando, finito il lavoro, gli animali stavano rientrando alle loro stalle, un terribile nitrito di cavallo risuonò nel cortile. Stupiti, gli animali si arrestarono.


Era la voce di Berta. Essa nitrì ancora e tutti gli animali irruppero a galoppo nella corte. Videro allora ciò che aveva visto Berta.


Un maiale stava camminando sulle gambe posteriori. Sì, era Clarinetto. Un po' goffamente, come se non fosse abituato a portare in quella posizione il suo considerevole peso, ma con perfetto equilibrio, passeggiava su e giù per il cortile. Poco dopo, dalla porta della casa colonica uscì una lunga schiera di maiali: tutti camminavano sulle gambe posteriori. Alcuni lo facevano meglio degli altri, qualcuno era ancora un po' malfermo e sembrava richiedere il sostegno di un bastone, ma tutti fecero con successo il giro del cortile. Infine, fra un tremendo latrar di cani e l'alto cantar del gallo nero, uscì lo stesso Napoleon, maestosamente ritto, gettando alteri sguardi all'ingiro, coi cani che gli saltavano attorno. Stringeva fra le zampe una frusta.
Seguì un silenzio mortale. Stupefatti, atterriti, stringendosi assieme, gli animali guardavano la lunga fila dei maiali marciare lentamente attorno al cortile. Era come se il mondo si fosse capovolto. Poi venne il momento in cui, passato il primo stordimento, nonostante tutto - nonostante il terrore dei cani, l'abitudine sviluppata durante lunghi anni di non lamentarsi mai, di non criticare mai - sentirono la tentazione di pronunciare parole di protesta. Ma in quell'attimo stesso, come a un segnale dato, tutte le pecore ruppero in un tremendo belato: «Quattro gambe, buono; due gambe, meglio! Quattro gambe, buono; due gambe, meglio! Quattro gambe, buono; due gambe, meglio!».


Continuarono così per cinque minuti, senza soste. E, quando le pecore si furono calmate, la possibilità di protestare era passata é i maiali erano rientrati nella casa.
Benjamin sentì un naso strofinarsi contro la sua spalla. Guardò. Era Berta. I suoi vecchi occhi erano più appannati che mai. Senza dir nulla, lo tirò gentilmente per la criniera e lo portò nel grande granaio ove erano scritti i Sette Comandamenti. Per qualche istante ristette fissando la parete scura e le lettere bianche.


«La mia vista si indebolisce» disse infine. «Anche quando ero giovane non riuscivo a leggere ciò che era scritto qui. Ma mi pare che la parete abbia un altro aspetto. I Sette Comandamenti sono gli stessi di prima, Benjamin?»


Per una volta Benjamin consentì a rompere la sua regola e lesse ciò che era scritto sul muro. Non vi era scritto più nulla, fuoré un unico comandamento. Diceva:

TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI

MA ALCUNI SONO PIU' UGUALI

DEGLI ALTRI



Dopo ciò non parve strano che i maiali che sorvegliavano i lavori reggessero fruste nelle loro zampe. Non sembrò strano di apprendere che i maiali si erano comperati per loro uso un apparecchio radio, che stavano impiantando un telefono, che avevano fatto l'abbonamento al «John Bull», al «Tit-Bits» e al «Daily Mirror».


Non sembrò strano vedere Napoleon passeggiare nel giardino della casa colonica con la pipa in bocca; no, neppure quando i maiali presero dal guardaroba gli abiti del signor Jones e li indossarono e fu visto Napoleon in giacca nera, pantaloni e scarpe di cuoio, mentre la sua scrofa favorita vestiva l'abito di seta che la signora Jones portava la domenica, neppur questo sembrò strano. Una settimana dopo, nel pomeriggio, numerose carrozze giunsero alla fattoria. Una deputazione di agricoltori del vicinato era stata invitata a fare un giro d'ispezione. Fu mostrata loro tutta la fattoria, ed essi espressero grande ammirazione per ciò che vedevano, specialmente per il mulino. Gli animali stavano sarchiando il campo di rape. Lavoravano con attenzione, quasi senza osar sollevare la testa da terra, non sapendo se avevano più paura dei maiali o dei visitatori umani.


Quella sera alte risa e canti uscirono dalla casa colonica, e ad un tratto, all'udir tutte quelle voci, gli animali si sentirono presi da curiosità. Che cosa stava succedendo la dentro, ora che per la prima volta gli animali e gli uomini si incontravano su un piede di eguaglianza? In un solo accordo, essi cominciarono a strisciare silenziosamente nel giardino della casa colonica. Al cancello si fermarono dubbiosi se entrare o no. Ma Berta aprì la strada. In punta di piedi si portarono fin presso la casa e quelli che erano abbastanza alti spiarono attraverso la finestra della sala da pranzo. Là, attorno alla lunga tavola, sedevano una mezza dozzina di agricoltori e una mezza dozzina o più di eminenti maiali. Napoleon occupava il posto d'onore a capo della tavola. I maiali sembravano completamente a loro agio sulle seggiole. La compagnia stava giocando una partita a carte, momentaneamente sospesa, evidentemente per un brindisi. Circolava una grande anfora e i bicchieri venivano riempiti di birra. Nessuno si accorse delle facce attonite degli animali che spiavano dalla finestra.
da
George Orwell
La fattoria degli animali

 
 
 

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Post n°3 pubblicato il 06 Maggio 2008 da mino27
 

Il giorno procede incessante (stressante ?? No sonnacchioso), lo trovo un pò pieno di nulla. Faccio il compitino, fondamentalmente non ho voglia...

Non che di solito uno in ufficio è preso dall'entusiasmo travolgente che può avere che sò un concerto che stavi aspettando da 6 mesi, xò insomma c'è modo e modo.
Sarà il sole ?

La dermatite che mi perseguita da ottobre finalmente sembra calmarsi, ma come posso crederci (è successo almeno altre due tre quattro volte)? Non mi fido, non troppo.
D'altronde anche il mio dermatologo mi è sembrato brancolare nel buio, figurarsi io.
Quello che è nuovo è che SEMBRA che mi stia applicando e che ho una volontà-consapevolezza che prima mi sembrava non avere.

Fondamentalmente non ho voglia (di stare qui .. di FARE qui ) vorrei catapultarmi fuori da qui ad una velocità prossima a quella della luce (che Einstein proclama, con rigore scientifico assoluto, irraggiungibile formalizzando l'unica grandezza (è il termine giusto ??) fisica assoluta e indipendente da un sistema di riferimenti, cioè la velucità della luce di cui sopra..), ma ancora non posso farlo, visto poi che domani mattina, invece, salterò il turno, a maggior ragione devo tenerm qui incollato e fare + che posso....

Ho davanti a me il libro che sto leggento, INVISIBLE MONSTERS di Chuck Palahniuk, per chi non lo conoscesse è l'autore di FIGHT CLUB (famosissimo, c'è pure il film, sarà x questo che nn l'ho letto ?) ma nn bisogna fermarsi a quel libro, lo trovo geniale nelle invenzioni, nel linguaggio e nel contenuto.
Lo trovo forse inferiore ad altri due che ho letto, SURVIVOR e RESPIRARE, veramente bellissimi e illuminanti.
Però è qui davanti, lo sto pian piano leggendo (NDB dopo il mio successo da lettore ultrà durato fino a marzo, forse può sengare un tiepido ritorno ???), con aclcuse le sorti della protagonista senza nome e della ambigua entusiasmante principessa Brandy Alexander..

Beh direi che siamo alla fine-rpima-parte o meglio fine-parte di questa parte...
Mi rendo conto che forse non sarà lo scritto - corsaro - più emozionante travolgente nonché originale che sia mai comprso in un blog, ma mica si può scrivere sempre la divina commedia...
D'altronde mentre lo scrivevo ho avuto pure una mini riunione di lavoro....non è mica poco !!
Eppoi vediam.

 
 
 
 

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