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La professione dell'amore
Post n°23 pubblicato il 15 Febbraio 2012 da epagogico
Ieri sera sono passato davanti ad un ristorante dove erano in corso i preparativi per la cena di S. Valentino: tanti piccoli tavoli disposti geometricamente, tovagliette rosse, candele rosse, il soffitto bianco pieno zeppo di palloncini rossi a forma di cuore (è questa l'immagine che mi ha più colpito: la moltitudine di cuori appesi al soffitto, imprigionati, come gli fosse impedito di volare via). E immagino dopo: musica diffusa e soffusa per farsi le fusa, il menù dell’amore, vini rossi, cibi piccanti, vasodilatatori, ostriche, valve che si confondono con le vulve e così via. A parte il fatto che la passione, se c’è, si scatena pure in un cesso pubblico, io non ho nulla in contrario all’amore, ci credo. Solo che mi farebbe ridere a crepapelle mangiare con la mia amata in un ambiente del genere: mi sentirei ridicolo e fuori posto. Non mi interessa il lato commerciale che ormai ha fagocitato e banalizzato qualsiasi festa: trovo ridicolo e deleterio il rito collettivo e quasi liturgico dell’amore, la funambolica ostentazione di un sentimento così personale e intimo come se ce ne fosse davvero bisogno, come se altrimenti non esistesse, come se lo dovessimo sancire pubblicamente e apporvi un timbro di certificazione, la professione dell’amore come atto di fede a cadenza annuale. Sì, tutto ciò mi fa davvero ridere, oltre a preoccuparmi un po’. |
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