estremalatitudine

Corto 2

Estate. Città. Marciapiede. Lei passa, passa oltre. La noto. Appena passata. La gonna ricordo si alzò per un soffio di vento. Le coscie erano lunghe e nervose. Tese. Muscoli tesi. Abbronzati e tesi.

Da dove ero io, dietro, le mutandine non si videro neanche, ma ero certo ci fossero, ci fossero state.

Il vento calò e la gonna si ricompose, corta, essenziale, quel che serviva, a coprire quel che c'era da coprire, poco, e lei riprese a camminare sui tacchi, alti, troppo? troppo alti?

Esistono tacchi troppo altri, mi chiesi vedendola andarsene.

Poi, quando era a cinque metri, il vento tornò e la gonna di nuovo, di più, questa volta di più, quasi a scoprirle completamente il sedere, tondo, sodo, duro, credo, sembrava, era, era duro, certo. qualcosa le cadde, presa dal vento. Lei si piegò.

Anche io divenni duro. così per strada. lì sul marciapiede, Giovane. Ero giovane. Troppo? Troppo giovane?

Adesso vedendola venire verso di me che sto sdraiato sul letto e la guardo venire verso di me, la osservo, la ricordo, la scruto, quanti anni? tanti? pochi? penso a quando poi la conobbi e a come parlandole per la prima volta, quella volta, in quel bar, ecco, io non riuscissi a concentrarmi, se non sul suo culo, ecco il suo culo, scoperto dal vento, ecco, mentre parlava, io, io pensavo al suo culo e quando poi lo ebbi, lo tenni tra le mani, rotondo, sodo, duro, anche io duro, ecco, quell'aprirlo, tenerlo, tenerlo aperto, io vento, vento di primavera, ecco, io, scoperto, pronto, ecco, tenerlo, prenderlo, come il vento a tratti d'estate ti prende.