Creato da estremalatitudine il 19/06/2008

estremalatitudine

racconti di vita, di sesso

 

Messaggi del 05/07/2014

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Post n°404 pubblicato il 05 Luglio 2014 da estremalatitudine

La capa era lei, punto e basta!

Quel cazzo di azienda se l'era costruita passo per passo e adesso era sua. Era lei la capa, cazzo! Gli azionisti si fidavano solo di lei. Li aveva resi ricchi, quegli stronzi!

Sempre perfetta, inappuntabile, con i tempi della giornata rigorosamente (ed equamente) divisi tra ufficio e palestra, aveva un unico debole che alla lunga un pochino si era risaputo, anche se lei era stata più che attenta a stroncare sul nascere ogni pettegolezzo con licenziamenti immediati, anche a costo di pagare sontuose buone uscite.

La sua debolezza era che prima o dopo voleva che tutti quelli che lavoravano con lei, i suoi primi livelli, i dirigenti, i manager di quella premiata azienda, prima o dopo, tutti, ma proprio tutti, le avessero leccato la figa. Dei loro ammenicoli ridicoli non le interessava un fico. A lei bastava che fossero attenti nel fare quello che lei ad un certo punto non resisteva e ordinava loro, alzandosi da dietro la scrivania, venendo davanti, appoggiandosi al tavolo o al divano e tirandosi su la gonna quanto bastava: leccala.

Non lo chiedeva spesso, né aveva dei preferiti. chi c'era, c'era. dipendeva dal momento. di solito verso fine giornata.

S'alzava, si metteva in piedi e si tirava su la gonna. Le gambe slanciate sui tacchi incorniciavano normalmente un intimo nero, che il fortunato doveva scostare (mai abbassare!) e iniziare a leccare, intanto che lei si aggrappava con le mani affusolate al tavolo o al bordo della poltrona o del divano e conteneva gli spasimi che languidamente la prendevano tutta.

Dopo, lei si rimetteva a posto, tornava alla scrivania e allontanava il dirigente di turno. Facile immaginare di non dover dire niente a nessuno. Chi l'aveva fatto, fuori, immediatamente!

 
 
 

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Post n°403 pubblicato il 05 Luglio 2014 da estremalatitudine

non era un colloquio di lavoro, anche se avrebbe forse potuto esserlo. lui era lui, lo conosceva bene, prima solo di fama, ma da qualche tempo anche di persona.

non lo incontrava spesso. troppo impegnato. spesso all'estero. un gruppo da dirigere.

adesso erano lì, soli in quella stanza, da un po', da un bel po', e lui parlava, parlava, quanto parlava, innamorato di se stesso, forse, che poi in fin dei conti ne aveva anche ragione. tanti di quegli sfigati egocentrici, mai fatto un kaiser nella vita. Almeno lui aveva fatto, eccome. In silenzio. Lavorando. Mai una chiacchiera, su di lui, sul suo gruppo, sempre discrezione e lavoro. Dedizione al cliente, dicevano gli altri, i guru. Lui lo faceva da sempre.

Nell'ambiente era nota la sua mania per la precisione, per la cura dei particolari e lei, lei che faceva lo stesso mestiere anche se da sola, tra mille problemi, arrangiandosi un po', lei si sentiva un po' in imbarazzo a sentirlo parlare, parlare, così alto, impeccabile, con la piega dei pantaloni perfetta, nonostante la giornata, nonostante il caldo, e la giacca, la giacca, perfetta, certamente disegnata da lui, per se stesso, perfetta, nel colore e nel tessuto.

Mentre parlava, lei lo osservava con attenzione. Le mani curate. I capelli lisci e ondulati, tagliati da poco, la pelle liscia delle guance, ma soprattutto le mani, mani eleganti, lunghe affusolate e le sue labbra, che si aprivano poco mentre parlava, giusto quel che bastava, scoprendo di tanto in tanto denti bianchi e luminosi.

Ogni tanto riusciva ad inserirsi nel discorso e lui, interropendosi, stava ad ascoltarla con attenzione, facendo osservazioni azzeccate, spiritose, intelligenti, prima di riprendere il discorso, facendolo ripartire dallo spunto offerto da lei, agganciandosi alle sue parole.

perché parlava tanto? la voleva impressionare? che bisogno ne aveva? lui era lui, no?

Quante donne aveva avuto? tante, tra ufficiali e non. Tante.

Si distrasse. E mentre parlava iniziò a chiedersi come doveva avere l'uccello, come era come amante, forse troppo perfetto? eppure ne aveva avute così tante che qualcosa doveva avere imparato, no? chissà quanto ce l'ha lungo? a giudicare dal naso che era imponente, dalle narici frementi....

a quel pensiero le venne un poco da ridere. lui si interruppe e le chiese cosa ci fosse da ridere.

"niente" rispose lei "niente" come dirgli quel che stava pensando?

 
 
 

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Post n°402 pubblicato il 05 Luglio 2014 da estremalatitudine

aveva sempre pensato al sesso come ad un bisogno, ad un dovere, uno dei tanti: bisogna mangiare, lavorare, andar di corpo, fare sesso, bere, fare la pipì, cose così.

per questo se non lo faceva per tanto tempo le sembrava brutto. non che le mancasse più di tanto. ci si abitua, no? come a mangiare poco. per non parlare delle stitiche!

però era brutto, sì.

poi quando lo faceva, quando tutto era favorevole, nessuno stress, temperatura ideale, mattino successivo senza impegni, figli lontani, ecco lo faceva lasciandosi progressivamente andare e raggiungeva l'orgasmo senza problemi, dopo poco, dieci minuti al massimo, specie se era tanto che non succedeva.

Aveva il suo orgasmo e tant'è: basta. aveva mangiato, no?

 
 
 

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QUEL CHE C'È E QUEL CHE NON C'È

Qui ci sono storie di sesso. Non necessariamente tutte eccitanti, ma a volte sì. Non necessariamente tutte esplicite, ma a volte sì.

Qui non c'è vita vera, ma solo letteratura, ovvero vita attraverso la tastiera.

Se non vi va di leggere di questi argomenti, lasciate stare.

Se vi interessano, spero di riuscire ad essere all'altezza delle vostre attese.

 

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