Creato da Franzhi il 13/06/2006

Racconti a pezzi

Racconti Liberi a Puntate

 

 

4 - km 1420

Post n°51 pubblicato il 23 Settembre 2007 da Franzhi
 

8 agosto 2007. Destinazione Bagheria. Sono da poco passate le 8 del mattino quando lasciamo l’affittacamere di Praia per rimetterci in viaggio verso Palermo. Ci dirigiamo lungo la litoranea, con l’intenzione di raggiungere Lamezia Terme, lì dove strada e autostrada sembrano quasi ricongiungersi, a guardare la cartina. Ma a Paola cedo, il traffico è sempre più lento, e ormai è un pezzo che siamo piantati qui a guardare ‘sto benedetto semaforo che diventa verde, poi arancione, poi rosso, poi ancora verde e noi, fermi. Siamo in coda nella morsa di due Ford, una Mondeo davanti e una Fiesta dietro, a pochi metri dal bivio per Cosenza.
La Ford Mondeo nera. A giudicare dal numero di occupanti e dai bagagli che ne ingombrano il posteriore, deve trattarsi di una famigliola in vacanza. I bimbi si muovono in continuazione sui sedili dietro, saltellando come su un materasso. I genitori, davanti, non sembrano curarsene molto e mangiucchiano qualcosa. L’auto, di tanto in tanto oscilla leggermente sui fianchi, ma il movimento è quasi impercettibile.
La Ford Fiesta grigia. Dallo specchietto retrovisore osservo la signora alla guida dell’auto immediatamente dietro di noi. Dà l’idea di una professoressa agli sgoccioli della carriera, ha i capelli bianchissimi, corti e ricci e porta un paio d’occhiali con la montatura grossa e scura. Ad ogni minimo sommovimento della coda, se non ne assecondiamo immediatamente lo spostamento, la professoressa si agita, sbraccia, muove la bocca dentro l’abitacolo. Stringe con le mani il volante, guarda lo specchietto, si sporge con la testa fuori dal finestrino, mannaggia, potesse sorpassare!
E che cazzo vuole questa? dice Giò. E che ne so! Vorrei dirle che la prof che ci sta dietro è un po’ esagitata, è vero, ma sembra quasi che la sua non sia un arrabbiatura verso di noi, che abbiamo la “colpa” di starle davanti, piuttosto si direbbe un moto d’impeto universale verso il mondo degli automobilisti. Mi trattengo, però, dall’esporre questo pensiero perché la faccia di Giò non mi ispira fiducia stamattina, a mezza via tra l’imbronciato e l’assonnato. Da quando siamo partiti, non ha mai fiatato e, cosa strana, il suo unico movimento è stato diretto ad accendere l’aria condizionata, anche se non sono ancora passate le nove. Proprio lei, che di solito emette sempre uno sbuffetto di disapprovazione quando sono io a pigiare il pulsante del raffreddamento interno.
Davanti se la prendono comoda, ma a piccoli passi qualcosa inizia a muoversi.
Metto la prima, avanziamo di cinque metri e la prof si ricompone. Giò si acquieta, io metto di nuovo in folle e mollo il piede dalla frizione.
Nella Mondeo, intanto, è giunta l’ora di mettere sotto i denti qualcosa di più sostanzioso. a quanto pare. I membri dell’allegra famiglia, non sgranocchiano più adesso, danno proprio l’idea di mangiare di gusto, in un continuo passamano di pacchettini e bottiglie, compresi i due piccoli acrobati, che si sono acquietati per gustare meglio il loro spuntino.
Dietro, la prof. tamburella con le dita sul volante, sarebbe ora di altri cinque metri, penso.
Il sole è alto ormai e scalda, soprattutto. La terra a bordo strada è secca, coperta di piante avvizzite e di spazzatura. Sacchetti d’immondizia, copertoni, cartacce, e dietro i cespugli, immagino, pure qualche bell’escremento e puzza di piscio. Il posto è quello giusto.
Davanti hanno finito. Un sacchetto di nylon, di quelli che si usano per conservare i cibi in freezer, gonfio degli avanzi, vola pacioso fuori dall’abitacolo con una parabola ampia e aggraziata e si perde tra i suoi simili in mezzo alle sterpaglie secche a bordo strada. Rimango come un ebete a bocca aperta, mentre osservo la mia espressione di sorpresa riflettersi negli occhi increduli di Giò. In certe occasioni è davvero un peccato non avere il replay, penso.
Finalmente iniziamo a muoverci in modo più deciso, la prof. scala la marcia e ci supera senza nemmeno guardarci, la Mondeo mette la freccia a destra. Sembra che a Cosenza non ci voglia andare proprio nessuno.
La Salerno Reggio Calabria, alla fine, ci ha accompagnato fino a Villa San Giovanni. Di là si vede la Sicilia che ci attende, vicinissima e immersa nel sole. Giò sta facendo il biglietto per l’imbarco, nessuna coda, nessuno screzio, il traghetto attende solo noi. Salpiamo e in venti minuti siamo dall’altra parte.
Coprire la distanza da Messina a Bagheria è una mera formalità, non facciamo nessuna sosta, se non per un panino veloce in un autogrill che sembra quello di Jonny Stecchino. Non ci lasciamo incantare nemmeno dalle sirene di Capo d’Orlando che pure meriterebbe una capatina. Ormai siamo protesi sul traguardo. Quando a metà pomeriggio prendiamo la rampa di uscita dall’autostrada, mi sento soddisfatto. Guardo Giò e lei mi sorride.
Tutto bene? Mi chiede.
Tutto bene, dico io, ormai siamo arrivati. Però, mentre passiamo il cartello che indica l’inizio del territorio comunale di Bagheria, non posso fare a meno di chiedermi se il vino e le confetture, che abbiamo portato in dono a Gigi, avranno superato degnamente la prova inflitta da questi primi tre giorni di viaggio e di caldo.

(Continua)

 
 
 

3 - Stay in Praia

Post n°50 pubblicato il 17 Settembre 2007 da Franzhi
 

07 agosto 2007. Mi sveglio col rombo dei canadair ed il rumore delle pale degli elicotteri che mi frullano sopra la testa. È per via dell’incendio di ieri sera, presumo.
Dalla spiaggia gli effetti sono ben visibili, se n’è andata anche l’ultima porzione di bosco. Ora però sembra tutto a posto – non si vedono più fiamme, intendo - a parte qualche pinnacolo di fumo bagnato, qua e là. Il monte è marrone e nero, ad eccezione di qualche pino, solitario superstite. Chissà perché proprio lui, mi viene spontaneo chiedermi, osservandone uno, nero, ma ancora dritto e con qualche ramo attaccato. Nell’insieme sembra di osservare la superficie di un cratere marziano con la terra, grigio scuro bruciato, che non induce a ritenere possibile più alcuna forma di vita.
Piantare l’ombrellone tra i sassi della spiaggia non è stato un lavoro facile stamattina. E nemmeno sdraiarsi sugli asciugamani. Ce ne siamo stati seduti per un po’, ad osservare l’Isola di Dino, un mini Ayers Rock grigio e verde che spunta in mezzo al mare poco distante dalla riviera di Praia.
Ogni due ore passa un barcone con un equipaggio fatto di due persone: il comandante e un tizio col megafono. Sfruttando il fatto che l’acqua rimane sufficientemente profonda fino a pochi passi dal bagnasciuga, si avvicinano fino al limite massimo consentito dalla pendenza della riva, calano una scaletta e l’uomo con l’altoparlante inizia a strillarci dentro la gita in programma per la giornata, a soli 5 euro o a soli 10 euro, a seconda della destinazione. L’equipaggio non è sempre lo stesso, e nemmeno il barcone. Ma non so dire da cosa dipenda il successo che alcune imbarcazioni riscuotono e altre no. Ai miei occhi sembrano tutte ugualmente traballine. In alcuni casi la gente si accalca e sale direttamente dalla spiaggia così come sta, in costume ed al massimo con un marsupio o una borsetta, in altri casi barca ed equipaggio non se li fila nessuno e la chiatta riparte sbuffando, mesta e semivuota.
Il barcone che ha riscosso più successo è quello appena salpato. Stracarico di gente, propone un tour fino a Maratea, passando per la grotta azzurra e una spiaggia della quale non ho capito il nome, ma dove ci si ferma per fare il bagno. Nei 10 euro del biglietto è inclusa anche l’anguria a bordo. Forse è per questo che la gente si stringe ai piedi della scaletta, sgomita, pance molli contro tette cadenti, unghie dei piedi da tagliare contro infradito e occhiali da sole. Una signora se la prende con una coppia che è passata davanti al figlio piccolo, il bimbo si mette a piangere, il ragazzo manda a cagare la madre, la ragazza si scusa, alla fine salgono tutti e quattro, sono gli ultimi a poterlo fare. Altri rimangono a terra e tornano da dove sono venuti, mentre il barcone sbuffa rumoroso verso Maratea.
Senti, Giò, ci andiamo anche noi in barca al prossimo giro? Chiedo.
No preferisco starmene qui tranquilla, dice lei, dopo aver osservato la scena. Non ho le forze per un combattimento e poi domani dobbiamo farci altri 600 e più km, non mi dispiace starmene distesa a rosolarmi per un po’.
Bene, dico io, anche perché forse questo, passate da poco le quattro, è davvero l’unico momento della giornata in cui possiamo pensare di uscire dalla superficie schermata del nostro caro ombrellone. Sistemo un po’ di sassi e mi distendo in cerca dell’ispirazione per la pennichella pomeridiana. Ci siamo quasi, una brezza leggera, la pelle ancora bagnata dall’ultimo tuffo, il sole meno forte, ma…
Lorenzo ha quattro o cinque anni, viene da Firenze, ha i capelli tagliati a caschetto che lo fanno sembrare una bimba ed un costumino a righe di topolino. Arriva insieme ai genitori, che dopo aver perso il tour a Maratea decidono di sistemarsi proprio a pochi passi da noi.
Il papà è un tipo atletico, brizzolato. Un leggero accenno di pancetta, appena coperta da una peluria nera, non mi impedisce di attribuirgli un passato da sportivo, forse calciatore o giocatore di basket. La mamma è una signora bionda, con un due pezzi verde acqua. Hanno mangiato da poco, nonostante sia pomeriggio inoltrato, e si pone la classica questione che caratterizza la relazione genitore-bambino in vacanza al mare: Lorenzo vuol fare il bagno, ma non può. In breve tutta la spiaggia è informata del menù del giorno, peraltro bello tosto, a mio giudizio. Ma a Lorenzo non gliene può frega’ de meno se gli hanno fatto mangiare i tagliolini al ragù, la cotoletta alla milanese e il gelato, lui vuole fare il bagno lo stesso, adesso, e corre continuamente dai genitori al bagnasciuga, e di nuovo, controvoglia, ai genitori che lo richiamano con insistenza.
A un certo punto il papà decide che l’andirivieni a comando del figlio, tra asciugamano e riva non è più affar suo, si volta a pancia in giù e si mette a sfogliare la Gazzetta. La mamma strilla ancora un po’, finchè Lorenzo sembra rassegnato a tenere solo i piedi a mollo, poi si distende di nuovo supina e sfila le spalline del costume, per non far vedere il segno dell’abbronzatura. Ma Lorenzo è scaltro come un gatto, dà un’occhiata ai genitori distratti, fa due passi in là, e si ritrova già con l’acqua sopra la pancia. Mi guarda con gli occhi vispi di chi sa che sta per farla grossa, ma l’occasione è troppo ghiotta. Io gli faccio ok con il pollice, come faceva Fonzie e lui sguazza beato, neanche avesse avuto bisogno della mia approvazione.
La mamma alza un poco la testa portando una mano sopra gli occhi a proteggersi dal sole. Appena vede Lorenzo ormai sommerso e tutto bagnato, scatta in piedi gridandogli di uscire dall’acqua. Nella foga del momento si scorda delle spalline del due pezzi, che sta per scenderle rovinosamente dal petto verso la pancia. Si risiede, e mentre continua a gridare Lorenzo esci di lì, con un mano tiene il costume sul seno e con l’altra cerca di rimettere a posto le spalline, che non vogliono saperne di riportarsi alla loro posizione iniziale. Il papà continua a leggersi la Gazzetta, come se il caso non fosse suo, senza dimostrare alcun interesse per il costume della moglie, o per il figlio discoletto, immerso anche lui, a sua volta, nelle pagine rosa del calciomercato.
Lorenzo, da parte sua, non ha nessuna intenzione di uscire dall’acqua, urla nervosamente come fanno i bambini quando sanno di non avere altre armi a disposizione e sfrutta la situazione da vero stratega. Il papà se ne fotte, la mamma non può alzarsi, altrimenti mostra le tette a tutta la spiaggia che ormai è completamente rivolta verso di lei, esasperata da quel suo starnazzare isterico, ma al tempo stesso desiderosa di sapere come andrà a finire. E lui rimane lì.
Io continuo a stare seduto sotto l’ombrellone, curioso come tutti gli altri e rassegnato all’idea di dover rinunciare alle mia pennichella. In cuor mio tifo Lorenzo, ma non posso espormi troppo, ora che anche il papà inizia a dare qualche segno di ripresa.
Alla fine, a fatica, vince la mamma. Lorenzo esce piangente e va a farsi consolare dal babbo, con tanto di mormorii di disapprovazione da parte di Giò e di buona parte del pubblico femminile presente.
Il sole ormai si abbassa all’orizzonte, iniziano le prime operazioni di sbaraccamento, tavolini, sdraio, sedie, ombrelloni riprendono la via degli hotel e degli appartamenti di Praia.
Un bambino, avrà dieci anni, spinge il passeggino del fratellino a fatica tra sabbia e sassi. Non riesce più a proseguire e grida qualcosa alla madre, venti metri più avanti. La signora torna verso di lui, con l’ombrellone sotto braccio, lo sfila e glielo sbatte in testa. Dopodiché ritorna sui suoi passi. Il bambino riprende a spingere il passeggino senza fiatare.
Lorenzo e i suoi genitori se ne sono andati dalla spiaggia da un bel po’.

(continua)

 
 
 

2 - KM 937

Post n°49 pubblicato il 10 Settembre 2007 da Franzhi
 

6 agosto 2007. È giunta l’ora. Sono le cinque e un quarto di lunedì mattina e per una volta sono felice di dovermi alzare così presto. L’orario di partenza è previsto per le sei, il tempo di equipaggiare la macchina delle ultime cose e una colazione veloce. Faccio fatica a partire a stomaco vuoto, io.
In questi due giorni ho avuto tempo per affinare la mia relazione con la signorina del satellitare, che con la sua voce gentile mi allieta la guida e mi indica la via. Queste diavolerie tecnologiche mi danno una soddisfazione immensa, quando funzionano. Giò non è dello stesso parere, semplicemente non sopporta la voce elettronica della mia nuova amica. L’ha dichiarato subito, in sua presenza, senza alcun ritegno, il giorno stesso in cui l’ho portata a casa, nemmeno il tempo delle presentazioni. Insomma, un po’ di educazione, che diamine! Per fortuna è solo una macchina, ho pensato, ma lo sapevo che non sarebbe finita lì.
Sono le sei meno un quarto e mi appresto ad imboccare la via di Giò, quando puntuale quanto inatteso giunge il momento della vendetta: RICALCOLO – dice la vocetta del navigatore - proseguire cento metri e poi inversione a U, inversione a U, inversione a U. Cominciamo bene.
Sarà pure una coincidenza, ma mi convinco una volta di più, che anche le macchine hanno un’anima e provano emozioni. Tra le prime, a quanto pare, sperimentano la cattiveria femminile, i dispettini e tutte le arti dell’invidia nelle quali le donne sono maestre. Verifico la cartografia ed effettivamente la via di Giò non risulta censita, eppure ieri sera mi pareva... Trascuro di comunicarle questo particolare, Giò non è mai reattiva appena sveglia, figurarsi a quest’ora! Sale in macchina, mi dà un bacio ed è già rannicchiata sul sedile. È il segnale, si parte!
Ci dirigiamo verso la Romea, con l’intenzione di proseguire lungo la E45 fino alle porte di Roma e poi imboccare l’autostrada del Sole. Procede tutto liscio fino a Cesena, le donne sonnecchiano a parte qualche rara indicazione di svolta o un paio di richieste per quando ci fermiamo a fare pipì.
La E45 finisce Terni, attraversando in modo obliquo un bel pezzo d’Italia. Per fortuna, oggi non c’è molto traffico, così posso zigzagare tra le corsie, per evitare dossi e buche disseminati qua e là. Per essere una super strada questa E45 è un po’ sotto le aspettative, speriamo che la situazione non peggiori, man, mano che si scende Vedo già la faccia di Lele, il barista, che ride sornione dietro al banco, a braccia conserte, con l’aria di chi la sa lunga e quel suo sguardo simil soddisfatto che dice “no te l’avee dita?! A-E-RE-O!”.
Alle porte di Terni c’è una svolta, o meglio, c’è un cavalcavia finito a metà, come quello di Speed. La deviazione obbligatoria conseguente ci costringe sulla bretella di raccordo con l’autostrada, già intasata di veicoli in attesa e furgoncini dell’Anas che segnalano la presenza di code. Sveglio la donna elettronica e le dico, bambola portami fuori da questo casino!
Evidentemente oltre che provare emozioni umane, le macchine hanno anche dei tempi tecnici di risveglio, giriamo a vuoto per dieci minuti, tra ricalcoli e svolte inesistenti fino a che troviamo la strada alternativa per puntare Napoli. La più breve, mi assicurano le sue impostazioni.
Stiamo viaggiando proprio nella pancia dell’Italia, verso Rieti, Avezzano e poi da lì Sora, Cassino e, forse, l’autostrada finalmente. Il paesaggio intorno sembra sempre uguale, alture modeste, ma non colline, spelonche, speroni di roccia chiara e alberi verde scuro a ricoprire buona parte delle asperità. Da sotto Cesena a qui sembra di essere stati sempre all’interno dello stesso set, per strada non c’è quasi nessuno, il sole è ormai alto, la giornata serena, ci fermiamo in un’area di sosta per farci un panino. Un vento fresco, rende il pasto piacevole, in un clima asciutto e rilassato. Alle nostre spalle uno dei tanti paesini abbarbicati su un’erta ci guarda imbronciato. Poche case tutte ammassate, vecchie, costruite l’una sull’altra quasi a voler innalzare di qualche metro ancora la cima del cocuzzolo sul quale sono costruite, si ammassano decrepite, sostenendosi a vicenda per non cadere. L’idea complessiva è di paesi abbandonati, diroccati, anche da qui appaiono evidenti segni di decadenza, case semi crollate, muri non finiti o caduti a pezzi. Ma fili di panni stesi, qua è là, tradiscono una presenza umana che sorprende l’immaginazione.
Verso le quattro siamo alle porte di Napoli, il traffico è scorrevole. All’imbocco della Salerno Reggio Calabria un tabellone segnala la presenza di animali sciolti in carreggiata. Vediamo due cani spauriti grattare la terra sotto il guardrail di destra. Nemmeno il tempo di rallentare, un grosso camion ci suona alle spalle, procediamo.
Pinnacoli di fumo si ergono sottili dai boschi intorno alla strada, in alcuni tratti, il fumo sale da sotto i viadotti e un odore di pino bruciato invade l’abitacolo. A Lagonegro usciamo dall’autostrada per imboccare la provinciale che conduce alla nostra prima tappa. I monti sono a ridosso del mare, la strada corre via veloce e in poco tempo ci infiliamo tra le vie di Praia a Mare – Praia, per gli amici - una lingua di terra tra il Tirreno e l’ultima parte degli Appennini.
Sono quasi le otto di sera, lasciamo le nostre cose nella stanza dell’affittacamere e ci incamminiamo verso la spiaggia. Il fuoco continua a farci compagnia seduto sul monte alle spalle del paese. Ormai è l’imbrunire e le fiamme che danzano sui pendii appaiono ora più nitide e fascinose, in uno sfavillio seducente. Uno spettacolo incantevole, non fosse che, ci dicono due signori del posto, ormai tutta la montagna lì dietro è bruciata.

(Continua)

 
 
 

1- KM 0 - Prologo

Post n°48 pubblicato il 03 Settembre 2007 da Franzhi
 

4 agosto 2007. Ieri era il mio ultimo giorno di lavoro prima delle vacanze estive.
Oggi ho comperato un navigatore satellitare. Un’occasione ha detto il tizio che me l’ha venduto. Ha tutte le funzioni base e poi ti puoi scaricare tutti gli aggiornamenti da internet, mi ha assicurato. Anche gli autovelox? Faccio io.
Sì, ti puoi scaricare anche quelli, mi dice lui, guardandomi dritto negli occhi.
Figata! Ho pensato e sono andato alla cassa a scucire 200 cucuzze.
È da due ore che sto cercando di aggiornare questo maledetto trabiccolo che doveva avere tutto on line. Fin’ora sono riuscito a scaricare solo uno schitto di 3K e nulla più. E per gli autovelox, beh, è vero che ci sono gli aggiornamenti, ma – dicono testualmente dal sito – solo per “le seguenti regioni: Lussemburgo, Belgio, Francia, Spagna e Gran Bretagna”. Ma io devo andare in Sicilia!
Mi torna in mente la faccetta affidabile del commesso che mi ha venduto il navigatore e penso che è stato bravo a fottermi. Avessi un negozio, anch’io vorrei un venditore così, scaltro, ma ai limiti dell’onestà, per servire i clienti tontoloni come il sottoscritto. Di quelli che ce l’hanno scritto in faccia che sono delle vacche da mungere. Di quelli che si riempiono la bocca di parole straniere senza sapere cosa vogliono dire. Di quelli che si sono messi in testa che quella roba là è ora che se la comprino, punto! Di quelli che hanno bisogno di scatenare la loro ansia di shopping repressa…
Pazienza, niente segnalatore di autovelox, cercheremo di tenere gli occhi aperti, la strada sarà lunga, ma non abbiamo fretta.
Dopodomani partiamo. Attraverseremo l’Italia da Nord Est a Sud Ovest. Il punto di partenza è Montebelluna, città sulla quale si è detto molto ultimamente, e non solo per le scarpe; il punto più a ovest che prevediamo di raggiungere è Cinisi, città sulla quale si dice di meno, ma dove resta viva (o si cerca di farla rimanere tale) la storia di Peppino Impastato.
Quello che troveremo nel corso dei 1.500 km che ci separano da qui a lì e poi da lì a qui, andata e ritorno, lo scopriremo lungo la via - piena di buche e di predoni, dicono quassù.
Secondo un cugino di Giò siamo dei coraggiosi a scendere con la nostra auto.
Secondo mia zia siamo dei pazzi, ci conveniva prenotare un volo e poi prendere una macchina a nolo una volta arrivati a Catania o a Palermo.
Secondo Lele, del bar dove vado a prendere il caffè, come minimo al ritorno avrò la convergenza delle gomme da rifare.
Curiosa questa metamorfosi di uno spaccato del popolo veneto, penso, dalla conquista del mondo alla diffidenza aprioristica, per sentito dire. Mi lascia un po’ di amaro in bocca il baratto che c’è stato tra il coraggio di una volta, figlio della necessità in alcuni casi, e la mollezza di questi tempi. Eppure, è così che va il mondo, le cose cambiano, dice mio nonno.
Secondo noi sarà una bella avventura. L’idea di attraversare l’Italia on the road ci è piaciuta sin dall’inizio, in barba a tutti gli uccellacci del malaugurio che popolano il suolo del mitico Nord Est.
La prima sosta è prevista poco sotto il Golfo di Policastro, all’altezza di Praia a Mare, in Calabria, per due notti. Poi sarà la volta della vituperata Salerno - Reggio Calabria, fino a Villa San Giovanni. Da lì toccherà al traghetto di Caronte evitarci le grinfie di Scilla e Cariddi e trasportarci incolumi a Messina. Attraversato lo stretto punteremo dritti su Bagheria, cittadina a pochi chilometri da Palermo, dove ci attende Gigi. Trascorreremo un paio di giorni a casa sua, nei dintorni del capoluogo, prima di tagliare trasversalmente verso Ragusa e la zona balneare a sud est.
A Marina di Ragusa ci aspettano altri amici. Con loro condivideremo un appartamento prenotato on line, base d’appoggio per qualche giro nell’entroterra, alternato a (spero numerosi) momenti di sana nullafacenza in spiaggia. E sennò che ferie sono?!
Questo il programma, in linea di massima, a scanso di imprevisti e soste non calcolate. Siamo molto curiosi ed io, almeno, un po’ elettrizzato. Di questo viaggio è soprattutto l’idea che mi piace. Spostarsi, viaggiare, nel vero senso della parola. Secondo i miei calcoli, alla fine, saranno almeno 3.500 km in poco meno di due settimane. Una lunghezza ragguardevole per farci star dentro un bel po’ di cose. Staremo a vedere.
(Continua)

 
 
 

ANTEPRIMA

Post n°47 pubblicato il 27 Agosto 2007 da Franzhi
 

Diario semiserio e semivero di un
viaggio attraverso la penisola, la nostra.


Nino e Giò si imbarcano in un viaggio on the road da Montebelluna e Palermo e ritorno.

a breve su http://blog.libero.it/francescodariva/

Per
i curiosi e tutti coloro che
non sopportano di doversi sorbire le foto degli amici di ritorno dalle
vacanze. Ma preferiscono lasciare andare l'immaginazione...

Free your mind

 
 
 

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