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« MARC BEHM - L'OCCHIO CHE GUARDAL'UOMO CONSUMATORE 1° »

LA SCRITTURA SECONDO MARC BEHM

Post n°80 pubblicato il 19 Agosto 2014 da giansartoretto

MARC BEHM mi ha suggerito questo tipo di scrittura:

  1. Nella storia, nell’intreccio e nei contenuti anche di gusto popolare come appunto il poliziesco, bisogna partire da schemi fissi che facilitano il lettore per poi spostarsi piano piano verso altre dimensioni più complesse in cui lo stesso lettore rimanga avvinto e che ci sia quindi un’evoluzione del percorso di scrittura;

  2. Questo significa che se mentre all’inizio mettiamo assieme dei personaggi e una storia, questa poi deve rarefarsi in più piani di racconto e quindi non solo quello che avviene nella realtà dell’immaginazione, ma anche intersecandola con i propri desideri, con le proprie visioni, i dialoghi devono essere imbastiti non solo con la realtà della storia, ma anche di apporti visionari in una miscela in cui il reale e il surreale possono confondersi senza destare troppa confusione, in cui la scrittura sappia anche rompere le sequenze lineari per inserire note, liste di fatti (come nella tradizione di una scrittura “totale” ) fatta di contaminazioni anche diverse che diano un senso compiuto alla storia e che non rimangano sospese.

 

Nel contesto del libro ho trovato molto interessante questo parallelismo tra la storia “oggettiva” di una giovane pluriomicida osservata da un “occhio che guarda” che è quello di un dectetive privato e le proiezioni soggettive del medesimo in cui faceva rivivere sua figlia che non aveva mai visto da quando era nata. Tutti noi sappiamo che non può esistere questa identificazione per gli elementi che abbiamo a disposizione, eppure il piano soggettivo del desiderio del protagonista che si interseca con il racconto oggettivo dà all’insieme una dimensione completa, totalmente fatta di realtà e di desiderio.

 

Se applichiamo questo metodo a qualsiasi altro racconto possiamo mettere insieme una profondità espressiva. E’ vero che il bel racconto ci può emozionare come ne L’AZTECO o ne LA CITTA’ DELLA GIOIA sia per la scrittura che per i fatti, le vicende, i sentimenti, ma se non riusciamo a mettere insieme tanti aspetti di noi stessi, possiamo far interagire il racconto anche con i nostri desideri del presente e dare una connotazione più viva. Se nel “verismo” lo scrittore rappresenta oggettivamente la realtà e nel “soggettivismo” dell’io in prima persona lo scrittore aveva una presa diretta col proprio pensiero ad fuori delle convenzioni di un racconto ; mettere assieme questi due piani può essere gravido di conseguenze. Non dico che non si sia mai tentato di fare questo, anzi, dico invece che potrebbe sviluppare una scrittura più completa.

 

 

 
 
 
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