Creato da avv.chireca il 19/05/2012
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scuola assunzioni

Post n°4 pubblicato il 20 Maggio 2012 da avv.chireca

In fase cautelare, i Giudici del lavoro di Teramo e di Santa Maria Capua Vetere confermano le ordinanze del Tar Lazio, assegnano il posto accantonato ai quattro ricorrenti Anief, condannano l’amministrazione al pagamento di 5.400 euro. Sono un migliaio i ricorsi depositati dal sindacato. Possibili danni erariali per più di 2.500.000 euro. “È assurdo che tali soldi debbano essere versati dai cittadini incolpevoli della cattiva azione dell’amministrazione, consigliata malamente da sindacalisti incompetenti che ignorano la giurisprudenza in materia, come se l’Italia fosse una repubblica delle banane”, dichiara il presidente Anief, Marcello Pacifico. All’indomani della sentenza della Corte costituzionale e prima della riassunzione dei processi al Giudice del lavoro, Anief aveva chiesto al Miur un incontro per trovare una soluzione concordata e cessare il contenzioso. La “pettinatura” delle graduatorie operata per ordine del commissario ad acta la scorsa primavera prima delle immissioni in ruolo faceva ben sperare. Poi la doccia fredda, l’accantonamento dei posti in vista della decisione di merito del nuovo giudice adito, come se la questione non fosse già stata decisa dalla Corte costituzionale, e lo sbocco degli stessi posti prima della sentenza finale, deciso nei mesi scorsi, su pressione dei sindacati. Il copione potrebbe essere ben scritto, se non fosse che la giustizia anche coi suoi tempi lunghi alla fine ripaga il cittadino del danno subito. Come puntualmente dichiarato dall’Anief, dopo i primi provvedimenti positivi da parte delle corti del lavoro che hanno confermato le decisioni assunte dai giudici amministrativi, arrivano le prime condanne alle spese dell’amministrazione: il Giudice di Santa Maria Capua Vetere accoglie la domanda dell’avv. Abbate, conferma il diritto dei tre ricorrenti Anief ad essere collocati in graduatoria secondo il criterio meritocratico nei confronti dei controinteressati costituitisi, ad essere individuati come destinatari di contratto a tempo indeterminato per l’attribuzione dei posti accantonati assegnati ad altri, e “visti i precedenti comportamenti dell’autorità scolastica e la pervicace ritrosia della stessa ad adeguarsi spontaneamente ai dettati giurisprudenziali”, condanna al pagamento di 900 euro di spese legali per la sola fase cautelare, per ciascun ricorso. Ordinanza analoga è stata ottenuta dall’avv. Ursini, presso il tribunale di Teramo che aumenta la condanna a 2.500 euro per le spese affrontate in questa prima fase cautelare, viste le continue renitenze dell’amministrazione ad adeguarsi al dettame giurisprudenziale dopo lo sbocco dei posti accantonati e l’assegnazione a docenti che hanno punteggi inferiori ai ricorrenti patrocinati dall’Anief. Dopo i giudici del Tar Lazio, pertanto, che avevano condannato in fase cautelare l’amministrazione al pagamento delle spese per l’attività svolta dal commissario ad acta e al pagamento di 5.000 euro per ogni ricorso collettivo depositato dall’Anief, per centinaia di ricorrenti, per un totale di 90.000 euro, analoghe condanne sono state comminate in fase cautelare nella discussione dei singoli ricorsi riassunti al Giudice del lavoro. E ancora non si è discussa la richiesta dell’Anief di condanna per lite temeraria che dovrà pagare la parte soccombente nel merito di un processo chiuso già tre anni fa, ma ostinatamente portato avanti da chi vuole ignorare la nostra Costituzione.

 
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poste servizi finanziari

Post n°3 pubblicato il 20 Maggio 2012 da avv.chireca

Da circa un decennio, si sono registrati non pochi contenziosi in merito a prodotti finanziari elaborati da vari operatori (tra cui, in particolare, l'operatore Poste Vita s.p.a.) in cui, in punto di prescrizione dei diritti derivanti dal contratto, si registra uno scostamento dal regime ordinario breve di prescrizione di cui all'art. 2952, comma 2, c.c. (fissato, per effetto della modifica ex art. 3, comma 2 - ter, legge 27 ottobre 2008, n. 166, in due anni, a fronte di un anno di cui al sistema previgente). Questa, a titolo esemplificativo, la clausola elaborata da Poste Vita s.p.a. in molte delle sue condizioni generali di polizza dell'epoca: «L'art. 2952 c.c. del codice civile dispone che, se non è stata avanzata richiesta di pagamento, i diritti derivanti dal contratto di assicurazione di prescrivono entro un anno da quando si è verificato l'evento su cui il diritto si fonda. Tuttavia, trascorso l'anno di prescrizione, la politica di Poste Vita s.p.a. è quella di non avvalersi di tale diritto per i 10 anni successivi all'evento. Poste Vita s.p.a. effettua i pagamenti entro trenta giorni dalla data di ricevimento di tutta la documentazione indicata per ogni causale di liquidazione. Decorso tale termine sono dovuti gli interessi moratori, a partire dal termine stesso, a favore degli aventi diritto». Nel presente contributo scientifico, senza pretesa di esaustività, azzarderemo la sostenibilità del termine di prescrizione decennale in subiecta materia, fermo restando che il problema non sia di facile soluzione. 2. IL PROBLEMA: ESEGESI DELLA CLAUSOLA E CONFERIMENTO DEGLI IMPORTI DELLE POLIZZE NEL FONDO CD. A TUTELA DEI RISPARMIATORI Ebbene, non v'è chi non veda come una clausola come quella esaminata manifesti un effetto dirompente in merito al regime prescrizionale ordinario, fissando, per il caso di decorso dell'anno dall'evento negativo della mancata richiesta di pagamento, un termine decennale; termine, peraltro, consacrato in una disposizione nella quale la Società lascia ad intendere che, piu' che di una vera e propria rinuncia alla prescrizione, ci si trovi innanzi ad una "politica" consistente nel non avvalersi del termine legale suddetto. Entrando in medias res, giammai sostenibile, in via di eccezione, che la decennalità del termine di prescrizione - si ripete, espressione della sua "politica" consacrata nella citata clausola -, sarebbe venuta meno per effetto della normativa sopravvenuta obbligante gli operatori al conferimento dei premi nell'apposito Fondo esistente presso lo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (istituito ex art. 1, comma 343, legge 23 dicembre 2005, n. 266; cd. Finanziaria 2006). Trattasi, com'e' noto, del Fondo istituito per indennizzare i risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito (così testualmente, l'art. 1, comma 343, cit.), nel quale sarebbero confluiti tutti gli importi dovuti ai beneficiari dei contratti d'investimento come quello che ci occupa, vale a dire le cc.dd. «polizze dormienti».

 
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lavoo contratto

Post n°2 pubblicato il 20 Maggio 2012 da avv.chireca

Sovente si assiste, nella recente prassi aziendale, alla stipula di contratti di lavoro tempo determinato. Del pari, non infrequente e' la protrazione dei detti contratti per facta concludentia per il periodo superiore alla scadenza: ebbene, si esaminerà, brevemente, la casistica che conforta la possibilità di conversione della detta figura contrattuale in contratto a tempo indeterminato, con conversione retroattiva ex lege, per l'intero periodo lavorato. Chiaramente, il caso di scuola è quello del lavoratore che, prestato il servizio per il periodo a termine, si veda prorogare il detto periodo sine die, per poi essere, dopo tempo imprecisato, inavvertitamente licenziato. Questa la casistica che si ritiene meritevole di esame nel presente contributo. A) Puo' accadere che, pur scaduto testualmente il contratto, il dipendente ininterrottamente continui a prestare servizio ed a percepire lo stipendio: deriva da ciò la conversione tacita e per facta concludentia del rapporto de quo, sulla quale non sussistono dubbi di sorta. B) Ancora, può accadere che nel contratto stipulato non siano indicate le ragioni di cui all'art. 1, comma 2, d. lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (recante «Attuazione della direttiva del Consiglio del 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE relativa all'accordo quadro CES, UNICE, CEEP sul lavoro a tempo determinato»), che cosi' recita: «la apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1 (id est: ragioni carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro, n.d.r.). Sul punto, la giurisprudenza è assolutamente univoca nel sottolineare il carattere pregnante dell'onere datoriale ex art. 1, comma 2, d. lgs. n. 368/2001, di specificazione delle ragioni giustificative della stipula di un contratto a termine, affermando che: 1) il contratto a tempo determinato rappresenta sempre l'eccezione e quello a tempo indeterminato la regola; 2) differentemente dal sistema previgente - è noto che la l. 18 aprile 1962 n. 230 subordinava l'apposizione del termine ad ipotesi tassative -, il d lgs. n. 368/2001, col configurare in capo al datore un onere di specificare le ragioni, richiede non solo che queste ultime sussistano, ma altresì che risultino effettivamente dall'atto scritto in cui sia contenuta l'apposizione. Di seguito, brevemente, le massime rilevanti sul tema: «Secondo condivisibile orientamento della giurisprudenza e della dottrina, la scelta del legislatore di passare da un sistema di ipotesi legislativamente tipizzate, integrate poi da quelle liberamente individuate dall'autonomia collettiva, ad un sistema che demanda al datore di lavoro la individuazione delle ragioni (sostitutive, organizzative o produttive) che giustificano l'apposizione del termine non ha comportato una assoluta e completa liberalizzazione dell'istituto, né tantomeno ha significato una inversione di rotta rispetto al principio che il contratto a tempo indeterminato è la regola ed i casi di apposizione del termine costituiscono l'eccezione. Ed infatti la nuova disciplina risponde alle vincolanti indicazioni della direttiva comunitaria 28/6/1999 n. 70, attuativa dell'accordo quadro del 18/06/1999 n.70, che consente l'utilizzazione del contratto a termine solo se basata su ragioni oggettive, puntualmente specificate, e rispondente a determinate regole finalizzate ad evitare gli abusi. La sussistenza di tali limiti già di per sé dimostra che anche nell'ottica della nuova legge il contratto a tempo indeterminato rappresenta tuttora la forma comune dei rapporti di lavoro, senza contare poi che indicazioni in tal senso emergono anche dall'accordo quadro sopra richiamato. La necessità di una specifica individuazione nell'accordo scritto delle regioni giustificative dell'apposizione del termine non può che tradursi sul piano processuale nella possibilità di verifica oggettiva da parte del Giudice di tali ragioni, il quale deve essere posto in grado di avere cognizione esatta e precisa della motivazione dell'assunzione a termine. È quindi evidente che non è sufficiente un mero richiamo a formule di stile o generiche, ma è di contro necessario che nell'atto scritto vengano puntualmente esplicitate le esigenze datoriali che hanno reso necessaria l'assunzione del lavoratore nell'ambito della struttura con specifico riferimento alle mansioni affidate» (Trib. Roma, 2 aprile 2007); «Pare evidente - sempre a proposito dell'onere ex art. 1, comma 2, dl. Lgs. 368/2001, n.d.r. -, che non ci si possa limitare ad indicare il tipo di ragioni, parafrasando la dizione legislativa, ma si debba adempiere a quell'onere di specificazione che la norma impone alle parti ce stipulano il contratto individuale di lavoro. Indicare ragioni specifiche significa fornire indicazioni che consentano il controllo delle ragioni indicate. Una ragione giustificatrice o è controllabile o non è, tanto più se la legge impone di specificarla» (Trib. Milano, 29 novembre 2010; «Il d.lgs. 368/2001, pur ampliando la sfera di utilizzabilità del contratto a termine, non ha reso semplicemente facoltativa la scelta di apporre un termine al contratto di lavoro, poiché il contratto a tempo indeterminato costituisce la regola, mentre il contratto a termine l'eccezione. Occorre, pertanto, che il datore di lavoro indichi e provi nell'eventuale successivo giudizio, quale sia la specifica esigenza aziendale che ha giustificato l'apposizione del termine al contratto di lavoro. Dalla nullità della clausola di apposizione del termine, non deriva la nullità dell'intero contratto, bensì la sua conversione in contratto a tempo indeterminato ex art. 1419, comma 2, c.c., applicabile anche ai contratti di lavoro» (Trib. Bologna, 7 febbraio 2006; conff., id., 2 dicembre 2004, Trib. Ravenna, 7 ottobre 2003). Fermo quanto sopra in relazione alla conversione tacita per facta concludentia del contratto (precedente punto A),, l'esame della giurisprudenza mostra la nullità/inefficacia del termine apposto ad un contratto nel quale non siano compiutamente specificate le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, da sanzionarsi dal Giudice con la conversione retroattiva del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato. C) In terzo ed ultimo luogo, puo' succedere che il rapporto di lavoro si prolunghi oltre il termine di cui all'art. 5, comma 2, del medesimo d. lgs. n. 368/2001, del seguente tenore: «Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi nonché decorso il periodo complessivo di cui al comma 4 - bis, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini». Anche in tal ultimo caso, le conseguenze in ordine al rapporto saranno le medesime di quelle di cui ai precedenti punti.

 
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mediazione casi

Post n°1 pubblicato il 20 Maggio 2012 da avv.chireca

 

 

 

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A QUALI CONDIZIONI PUÒ ESSERE «SPOSTATA» UNA SERVITÙ DI PASSAGGIO CHE TAGLIA A METÀ UN GIARDINO?

 

 

Abbiamo da poco comprato un immobile con ampio giardino di proprietà. Questo giardino purtroppo è tagliato a metà da una strada che permette ad alcuni vicini di arrivare alle loro abitazioni (unica via d’accesso). Ci è stato detto fin da subito che si poteva unire il terreno per avere un unico giardino purchè si spostasse la strada [...]

FILED UNDER: IMMOBILI, MEDIAZIONE CIVILE, SERVITÙ

COME SI FA A GESTIRE IL GRATUITO PATROCINIO NELLE MATERIE SOGGETTE A MEDIAZIONE OBBLIGATORIA?

 

NOVEMBER 28, 2011 BY TIZIANO SOLIGNANI LEAVE A COMMENT

Ho diritto al patrocinio gratuito, ma devo fare una causa in una delle materie per cui è prevista la mediazione civile obbligatoria e mi hanno detto che costa molto ed io non me la posso permettere. Come posso fare, esiste qualche modo in cui possa far valere ugualmente i miei diritti, altrimenti questa mediazione è [...]

 

La mia famiglia ha ereditato un magazzino che però non risulta intestato al de cuius. Vogliamo procedere per l’usucapione ma ho un dubbio. Dobbiamo esperire il tentativo di conciliazione e, se si, visto che diverse controparti sono nel frattempo decedute chi devo far convocare? Idem, ovviamente, nel caso di atto di citazione per usucapione. Questa [...]

FILED UNDER: IMMOBILI, MEDIAZIONE CIVILE, USUCAPIONE

[GUEST POST] D.M. 145/2011: ANCORA ERRORI DI GIOVENTÙ, MA NON È TUTTO QUI…

 

 

Pubblichiamo un eccellente contributo del collega Andrea Buti, mediatore professionale e convinto sostenitore dell’istituto, sulle novità del recente regolamento in materia di mediazione (ts). E’ stato da poco pubblicato il D.M. 145/2011 che modifica alcune disposizioni del D.M. 180/2010. In estrema sintesi questi i principali versanti su cui ha lavorato il Ministero: nuovo “tirocinio assistito” [...]

FILED UNDER: GIUSTIZIA, MEDIAZIONE CIVILE

LA DIVISIONE DELLA EX CASA FAMILIARE

 

 

Separazione consensuale nel 2004 sto procedendo a divorzio consensuale. Unico punto non consensuale vendita casa coniugale assegnata al marito in sede di separazione (io mi sono trasferita in altra città) ma mai utilizzata anche se vi mantiene la residenza (non vi sono più nemmeno le utenze attive)Io vorrei vendere per poter pensare a comprare qualcosa [...]

FILED UNDER: FAMIGLIA, IMMOBILI, MEDIAZIONE CIVILE, SEPARAZIONE, DIVORZIO, CRISI FAMILIARE

ALCUNI PROBLEMI IN MATERIA DI SCELTA DELL’ORGANISMO DI MEDIAZIONE

 

 

Ci è stato detto che non esiste ripartizione territoriale degli affari tra i vari organismi di mediazione e che questo può anche rappresentare un vantaggio per l’utente che può scegliere l’organismo in base a considerazioni varie tra cui anche la qualità dei mediatori. Consultando la legge, in effetti, non sembrano rinvenirsi criteri per la ripartizione [...]

FILED UNDER: GIUSTIZIA, MEDIAZIONE CIVILE

IN MEDIAZIONE CHE ME NE FACCIO DI UN LEGALE SE IL MEDIATORE NON È UN GIURISTA?

 

 

Riprendo, sempre dal mare magnum dei commenti lasciati dagli utenti nel blog, una considerazione che a mio giudizio merita un approfondimento, relativamente al tema dell’opportunità o meno di munirsi di un legale quando si va a fare la mediazione. Scrive infatti una nostra utente: Da parte mia pur nella convinzione di conoscere perfettamente l’oggetto del [...]

 

 

Raccolgo qui alcuni commenti di una utente sparsi per il blog e riguardanti l’esigenza, che io personalmente trovo giusta e comprensibilissima, di capire quanto costa effettivamente il procedimento di mediazione, oltre al costo per l’eventuale assistenza legale, di cui, almeno con riferimento al nostro studio, abbiamo parlato in un precedente intervento. Parliamo del denaro da [...]

 

Pubblichiamo, per comodità di riferimento, il testo del regolamento attuativo della riforma della mediazione civile. Si tratta del decreto 180/2010 del Ministero della Giustizia   Capo I Disposizioni generali IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA di concerto con IL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO Visto l’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400; Visto l’articolo [...

 

 

 
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