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Il sabato del villaggio...

Post n°1289 pubblicato il 28 Giugno 2015 da guidopardo1

Per tutta la sua esistenza, dalla genesi a tuttora, l’umanità ha mostrato un’innegabile capacità di progredire, arrovellandosi nell’inseguimento della suprema affermazione delle sue capacità. La causale in questo progresso va ricercata nell’impossibilità per l’uomo di raggiungere quella che io chiamerò la “estrema soddisfazione”, cioè l’appagamento di ogni esigenza nel modo più completo. Il cammino dell’uomo è caratterizzato dal suo ricercare, dalla sua sete di sapere e questo nella inane speranza di trovare quel che cerca e di apprendere quel che vuol sapere.

Sperare è vivere e se non si potesse più sperare rimarrebbe solo la malinconica noia di colui che non ha più nessuno scopo nella vita; scemerebbero tutti gli interessi inerenti ai problemi di carattere esistenziale, personale,sentimentale e sociale; balzerebbe, in modo troppo appariscente al nostro io, l’insignificanza dell’esistenza fine a sé stessa.

Quando si spera nella realizzazione di un evento, si riscontrano due possibilità: o si avvera ciò in cui si era riposta la speranza o non si avvera. In quest’ultimo caso è ovvia la frustrazione che scaturisce in colui che sperava, mentre il primo caso si presenta molto più complesso. Nel momento in cui si realizza una nostra aspirazione, ci accorgiamo che non corrisponde pienamente alle nostre aspettative o, pur corrispondendovi, non soddisfa appieno, non basta e ben presto indirizziamo la nostra attenzione, la nostra speranza, verso un’altra meta e ciò sempre nell’illusione che in essa sia risposta la nostra estrema soddisfazione.

Ed è per questo motivo che l’uomo si affanna nei preparativi del sabato e durante questi preparativi egli sogna e palpita e trema e si rasserena per poi, subito dopo, preoccuparsi nuovamente; perché sa, più o meno inconsciamente, che la domenica, nel momento stesso che diventerà presente, si rivelerà deludente, vuota, uguale a tutte le altre. E quindi attribuisce al divenire una rilevanza maggiore che non all’essere e vive l’attimo presente in funzione di quello futuro e questa sua proiezione temporale sorge proprio dal bisogno di sfuggire all’insoddisfazione presente.

Questa estrema soddisfazione che è lo scopo di tutta una vita, questa estrema soddisfazione che è così utopica, irraggiungibile, imponderabile perché mai è ben identificabile in un oggetto, in una persona, in una situazione, ma è sempre in movimento, sempre mutevole, questa estrema soddisfazione, noi non possiamo conoscerla perché in effetti non esiste, almeno non in questa vita, e quindi noi cerchiamo continuamente qualcosa, continuamente ci illudiamo proprio per distogliere la nostra attenzione da ciò che rappresenta il momento presente: l’affermazione della nostra irrilevante consistenza. E speriamo… E il nostro sperare è una predestinazione. E speriamo per tutta la vita.

Fin da quando siamo bambini iniziano le nostre speranze e queste speranze, questi bisogni, crescono con noi. Mentre da bambini sembrava che ci saremmo accontentati del giocattolo, da adulti abbiamo bisogno di comprensione, di amore, di un nuovo sistema di vita, speriamo di cambiare noi stessi, la società, il mondo intero.

D’altronde, se non ci fossero queste speranze, queste nuove rampe di lancio, ci si annoierebbe tragicamente, si sprofonderebbe nella più cupa disperazione. La nostra maggiore aspirazione deve essere quella di avere sempre qualcosa in cui potere sperare, di avere sempre qualche scopo. La nostra salvezza è proprio la possibilità che abbiamo di affannarci nel rincorrere queste bolle di sapone: questo pur frustrante inseguimento ha il  potere di soggiogare la follia latente in tutti noi, alla faccia dello stupido "carpe diem".

(Monet Claude - Le déjeuner sur l'herbe)

 
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