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FORMIGLI E LA SENTENZA CHE INCIAMPA SUL DIRITTO DI CRONACA

Post n°138 pubblicato il 23 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

 

Di Chiara Manfredini

Il “caso Formigli” ci spinge ad alcune riflessioni sullo stato del giornalismo italiano, sulle sue legittime rivendicazioni di libertà e sull’intreccio di poteri dal quale rischia di uscirne compromesso.

La questione è molto delicata ma non possiamo fare finta di non sapere quale danno economico e di immagine può rappresentare per un’azienda come la Fiat il servizio di Formigli andato in onda ad Annozero. La platea e il target di riferimento della trasmissione di Santoro quella sera ha recepito un dato chiarissimo: la Mito è inferiore nelle prestazioni rispetto ad altri due modelli di automobili. E lo ha recepito attraverso una trasmissione che si propone di svelare le magagne del nostro Paese e che sconfessando pubblicamente quanto pubblicizzato dalla Fiat, con i costi annessi, ne ha intaccato la credibilità del marchio causando un danno in termini commerciali. Inoltre non scopriamo l’acqua calda nel dire che una ricostruzione basata su dati reali – come sottolineato dallo stesso Formigli sovrapponibili a quelli già pubblicati dalla rivista Quattroruote e non contestati dal colosso torinese – può assumere molteplici significati in base al modo in cui viene raccontata (tempi, terminologia, indici di rilevanza). Insomma il significato di un articolo o di un servizio lo fa il perché,  l’intenzione con cui vengono realizzati e trasmessi.

Ma se è comprensibile l’indignazione della Fiat non lo è altrettanto il risultato al quale è clamorosamente giunto il Tribunale di Torino con la sua sentenza di condanna ai danni della Rai e dello stesso Formigli. L’ammontare dei danni patrimoniali (circa 2 milioni di euro) e soprattutto di quelli non patrimoniali (5 milioni di euro) è assolutamente sproporzionato,  non sulla base di una logica del senso comune – opinabile per definizione – ma piuttosto sulla base delle stesse tabelle utilizzate dai tribunali per quantificare i danni a favore delle parti civili. Non è accettabile, infatti, che la morte per dolo di un parente possa essere risarcita per un valore economico 15 volte inferiore rispetto al danno cagionato per diffamazione ad una ditta automobilistica. 

Pertanto non credo affatto che il problema sia che la Fiat “debba mettersi una mano sulla coscienza” come chiesto a gran voce ieri sera da Mentana nel corso del suo Tg (a parte l’ingenuità della pretesa non credo sarebbe disposto a farlo neanche lui qualora fosse a capo di un’azienda il cui prodotto sia stato pubblicamente denigrato). Qui il problema è che quando si chiede ad un giudice di sentenziare sul diritto di cronaca si rischia di creare delle aberrazioni, come nel caso di questa sentenza, in cui l’entità del risarcimento economico rappresenta un precedente pericolosissimo andando a scoraggiare l’assunzione di responsabilità da parte degli editori e creando un difetto nel libero esercizio dell’informazione (vedi le dichiarazioni di oggi di Parenzo che minaccia di censurare l’intervento di Celentano a “Servizio Pubblico” se non gli viene concesso di leggere i testi). E ciò è ancora più grave quando si palesa un chiaro conflitto di interessi nell’impianto stesso della sentenza affidata alla perizia di un collegio di esperti formato da personalità (Francesco Profumo, Federico Cheli e Salvatore Vicari) della cui neutralità sarebbe stato doveroso dubitare in virtù delle cariche ricoperte e dei legami economici che li legavano alla stessa Fiat. 

Me lo hanno insegnato tanti anni fa e ritrovo ancora oggi il valore di quel principio: ogni tentativo di inquadrare il diritto di cronaca entro i binari della giurisprudenza crea irreversibilmente un deragliamento verso una limitazione del diritto stesso. Non credo ci si debba scandalizzare sul fatto che la Fiat sia essa stessa proprietaria di quotidiani e quote editoriali (Rcs, La Stampa), ma sul fatto che pur non intervenendo apparentemente sulla libertà di stampa  - non essendo riuscita a svincolarsi da un attacco pubblico di questa portata – sia però riuscita a porvi rimedio attraverso una sentenza di un Tribunale. Ragioniamo su questa ragnatela di poteri: il potere economico/industriale che detiene il potere d’informazione che a sua volta controlla attraverso il potere della magistratura. Mi sembra questo il quadro che emerge da questa sentenza che ci lascia perplessi e sdegnati. 

Chiudo sottolineando che quanto può essere pericolosa una sentenza simile per le limitazioni del diritto di cronaca in cui incorre, allo stesso modo però rischia di esserlo l’uso che di questo diritto ne fanno certi giornali e giornalisti politicizzati che, abdicando al dovere di imparzialità e di completezza dell’informazione nei confronti dei propri lettori o utenti, si servono di giudici e sentenze a proprio piacimento. Rischio dal quale può difenderci soltanto la garanzia di una pluralità dell’informazione e soprattutto il vaglio delle nostre capacità discrezionali. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
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