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Pernille Koldbech Fich

Post n°1049 pubblicato il 21 Ottobre 2016 da several1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’è un sistema semplicissimo e pratico per stabilire se

una poesia è vera poesia: leggetela distrattamente,

meccanicamente, senza il minimo sforzo, addirittura

pensando ad altro. Se è poesia di quella buona,

state pur certi che qualcosa vi entrerà nel cervello,

vi toccherà come una punta.





                                           Dino Buzzati


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ero il gigante delle montagne
- ancora un mese fa -
alzandomi in piedi le nuvole
mi stavano a mezzo petto,
impigliandosi nei bottoni
come piccole ghirlande.

(Poi all'angolo mi misi a scherzare
come non fosse niente).

Ero un grande poeta
- credetemi, signori, vi prego -
non giudicate dalle apparenze -
le mie parole irrompevano
nei cuori come bolidi
di fuoco e di ferro e al rintocco
gli animi si torcevano, i vostri
anelando alle cose perdute
come un vento, come un -

(Sì, all'angolo cominciai a scherzare).

Ero una Sua Maestà Regnante
imperatore delle colline
dei boschi, dei vicoli, dei tetti
solitari, ero re della luce elettrica
che andava e veniva, delle
saracinesche, dei bar, degli spiriti
che a mezzanotte escono dal buio
dei lunghi armadi misteriosi
ero il sovrano delle fate, dei cosi
delle cose eccetera ah!

(Mi divertivo a scherzare questo sì
credevo fosse una cosa da niente).

Ero un genio, il mio cervello sbaragliava
al galoppo gli schieramenti
degli assurdi e la gente
mi guardava con dei tali occhi
quando passavo per -

(Scherzare, nient'altro che uno scherzetto
all'angolo della strada, oplà).

Ero un drago, una rossa automobile da corsa
lanciatissima, ero il colonnello
della guardia, ero la locomotiva
Santa Fè, ero il vescovo alla messa
solenne, ero il nuvolone del 58 maggio,
ero il ponte sul fiume Kwai
possedevo la pace dell'animo
supremo bene della terra
ancora l'altro ieri, ancora ieri -

(Ma scherzavo scherzavo).


Ora guardatelo il Genio, il Gigante,
l'Imperatore dei Territori
Sua Eccellenza, lo riconoscete?
Qui, lurido, rugoso, cercopiteco,
spiaccicato di dentro e di fuori.
Distrutto. Ho la febbre
e tremo. Fermo ai piedi
dell'orologio pubblico
sotto la pioggia che cade.
Segnava le sette
quando cominciai ad aspettare
ora le sfere segnano ottanta
centocinquanta, duemila
tre miliardi di ore come massi
di piombo. Io ancora qui
che aspetto e le ore e i giorni
e gli anni.
E tu non vieni, amore.

 

 

 

Dino Buzzati

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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