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Il gioco delle parti

Post n°20 pubblicato il 20 Febbraio 2009 da dadonna
 


Violenze, sei anni per avere giustizia
"Così le donne pagano due volte"

di ANAIS GINORI



Violenze, sei anni per avere giustizia "Così le donne pagano due volte"


ROMA - "Il processo alla donna è una prassi costante. La vera imputata è la donna, perché solo se la donna viene trasformata in un'imputata si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale". Sono passati trent'anni da quando Tina Lagostena Bassi parlò così in un'aula di tribunale, tredici anni da quando una legge - la n.66 del 15 febbraio 1996 - ha trasformato lo stupro da reato contro la morale pubblica a reato contro la persona, prevista una pena fino a dodici anni. Eppure poche, pochissime donne violentate si rivolgono all'avvocato. Solo il 4% presenta una denuncia. La metà, il 53%, non lo racconterà mai a nessuno. 

Vince il silenzio. Per paura, per vergogna. I processi per stupro continuano a essere molto inferiori ai reati constatati dalla polizia. "Arrivano in lacrime. Poi si asciugano il viso, riflettono. "Lasciamo stare, non fa niente". E tutto finisce così". Maria Di Sciullo lavora da vent'anni nella squadra legale di Telefono Rosa. "La legge italiana prevede in pochi casi il procedimento d'ufficio: è la donna che deve sporgere querela. Sempre la vittima che deve assumersi i costi dell'accusa". 

Secondo piano, scala B, palazzo umbertino del quartiere Prati. Nato nel 1988 come "esperimento", il primo centralino di ascolto per le vittime di violenze non ha mai smesso di funzionare. Milleottocento chiamate l'anno scorso, ogni tre giorni viene raccolta una denuncia di stupro. Di sovvenzioni pubbliche neanche a parlarne. L'ultima Finanziaria ha anzi tagliato 20 milioni previsti per i centri antiviolenza. "Il patrocinio gratuito delle vittime che promette il governo non cambierà nulla" precisa subito Di Sciullo. 

"Le donne violentate avranno lo stesso diritto riconosciuto agli sfrattati, e poi? Lo Stato non finanzia l'apposito fondo". L'avvocato di Telefono Rosa è una donna piccola, testa di ricci neri, qualche vistoso gioiello d'oro. Non sorride quasi mai. Da questo osservatorio la certezza della pena invocata dalla politica appare una battuta estemporanea. "Passano 65 mesi per ottenere una sentenza definitiva: cinque anni almeno per vedere uno stupratore condannato. La custodia cautelare obbligatoria è una buona misura. Purché i magistrati si impegnino a convocare le udienze entro la decorrenza dei termini. Spesso accade il contrario". 

L'idea di sedersi un giorno indefinito davanti a un giudice che chiederà "Signorina, ci ricordi i fatti" spaventa sempre. L'urgenza è dimenticare. Un calvario giuridico senza garanzie: la possibilità di proscioglimento dell'imputato resta alta. "Sono fondamentali le prime ore per la raccolta delle prove. La vittima deve resistere all'impulso di lavarsi subito". 

Soltanto pochi ospedali prevedono automaticamente tampone vaginale, prelievo del liquido seminale, fotografia delle lesioni. Dieci anni fa, Telefono Rosa difese quattro ragazze violentate nel parco di Villa Borghese. "Riuscimmo ad incastrare l'aggressore soltanto grazie alla prontezza di una delle vittime, che aveva tenuto gli indumenti strappati e guidato i poliziotti. È capitato anche - ricorda l'avvocato - di vedere una donna arrivare con la mutandina insanguinata sigillata in una busta, ma era una turista americana". 

La sensazione è che le vittime siano sempre sole. Che si sia fatta tanta strada senza allontanarsi molto. ""Era consenziente" continua a essere la difesa più classica dell'imputato" racconta Di Sciullo. Nei casi di violenze sessuali compiute da partner (6 su 10), pesa ancora la discrezionalità del giudice. "Non trattandosi di estranei bisogna interpretare l'effettiva volontà della donna". Nei corridoi di Telefono Rosa giocano bambini, aspettano le mamme. "Ci sono ancora molti ostacoli legali e culturali da superare" spiega la penalista. 

"Recentemente un magistrato ha sostenuto che infilare la mano in una scollatura è un "corteggiamento maldestro". È capitato a me. Ma questo è dovuto anche al fatto che in Italia non esiste ancora il reato di molestie sessuali: le pare possibile?". Corteggiamento. Maldestro. La strada da fare è ancora tanta. 

(Fonte Repubblica.it 20 febbraio 2009)


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ulisse il 15/02/11 alle 20:27 via WEB
La condizione della donna è la diaspora che nell’attualità appare enunciata dal confronto con le culture migranti, sebbene da almeno due millenni le nuove religioni vi apposero dei marchi etici che al confronto con la moderna percezione del diritto e del giusto mostrano notevole obsolescenza. Dal Gennaio 2011 un nuovo testo disquisisce la tematica esponendo le basali induzioni che producono un approccio etico sminuente o subordinante nei confronti della femmina e adeguato anche alla stregua di manuale per prevenire i pericoli nascosti nei moti interpersonali, qualora le religioni vi aggreghino un influsso di rilievo. L’argomento primario è implementato con una scansione della vita di Gesù nella Galilea, osservata con uno scrupolo investigativo moderno e adeguato nell’evidenziare degli aspetti denotanti gli errori interpretativi, che i padri fondatori della Chiesa Cattolica potrebbero aver commesso, e gravato sulla figura femminile. L’occidente è sede della cultura emersa dominante nella storia e la questione “condizione della donna” come la conosciamo è anzitutto la deriva più eclatante delle impostazioni della Chiesa Cattolica ai suoi primordi. Aiuta inoltre a comprendere gli eventi del nostro tempo, quando le religioni appongono dominanti ruoli identificanti. http://static.lulu.com/product/copertina-rigida/la-femmina-in-trappola/14852388/thumbnail/320
 
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