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Creato da: r.capodimonte2009 il 13/10/2009
attualità, politica, cultura

 

 
« I veri "populisti" sono ...Se vince il NO, il CNEL ... »

Eliminano il CNEL, e non sanno neppure quanto sarebbe indispensabile alla nostra democrazia!

Post n°1444 pubblicato il 24 Ottobre 2016 da r.capodimonte2009
 

Quando si chiacchiera a vanvera della “riforma costituzionale” la maggior parte delle forze politiche dell’area del “NO”, e qui la superficialità e la scarsa conoscenza della materia tecnica e sindacale, si accoppia al silenzio complice e sterile dei sindacati ufficiali, ignora l’errore di fondo che si sta compiendo, eliminando, senza se e senza ma, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, il CNEL, un organo importantissimo, che fu partorito, dalla mente dei padri costituenti, convinti, la maggior parte, che di tutto quanto si poteva accusare il fascismo, anche delle più turpi condivisioni, ma non di aver supportato il mondo del lavoro, con una serie di iniziative, la maggior parte lasciate a metà solo per l’opposizione dei gruppi di potere imprenditoriali e finanziari, che andavano dalla struttura corporativa, in cui si teorizzava un’alternativa alla devastante “lotta di classe”, alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che creava la sintesi tra politica e lavoro ai vertiti della gestione dello Stato; dalla teorizzazione della “corporazione proprietaria” spiritiana, che evolveva dal rapporto datore di lavoro-lavoratore, quest’ultimo privato della sua quota parte di profitto, e che lo riacquistava gestendo in proprio i mezzi di produzione; fino alla socializzazione delle imprese, principio contenuto nei famosi Diciotto Punti di Verona, in cui le maestranze raggiungevano la consapevolezza diretta della gestione aziendale.

Questa “consapevolezza”, che, nel ridotto dei 600 giorni della RSI non ebbe quasi modo di realizzarsi, andava pescare, tuttavia, su tutta una serie di esperienze e teorie, che il fascismo aveva rielaborato: dalla “terzietà sociale” di Rudolph Steiner, ai “Consigli autogestiti” dell’Anarchismo, per terminare nel “paracomunismo” dei kibbutz, ma anche nella “dottrina sociale della chiesa”, impressa nella famosa enciclica di Leone XIII, “Rerum Novarum”. E non fu un caso, che essa finì con lo spaccare l’Assemblea Costituente in più tronconi, almeno per 2/3 però, convinta (ne restò fuori il PCI, per evidenti motivazioni), che fosse indispensabile, per la ricostruzione del Paese, immettere il lavoro ai vertici della cosa pubblica, fornendolo di capacità politica e giuridica, visto che, all’interno della branca economica, ne era il volano. Il meccanismo che fu trovato, con l’accordo di varie componenti sociali, fu quello di promuovere la seconda Camera, il Senato, a “camera degli interessi economici e del lavoro”, eletta in base a strutture rappresentative di tutti gli apparati legati all’economia, alla finanza, al lavoro e al sociale a livello locale, e poi appaiata all’altra, la Camera Parlamentare, prettamente politica ed esecutiva. L’accordo stava per convincere anche la stessa CGIL, che veniva rappresentata direttamente, quale sindacato, nel nuovo “Senato”, quando suonò la campana di Bretton Woods, dove il modello neo-liberista sfondò l’argine keynesiano, e in Italia la Confindustria abbandonò immediatamente l’idea, certa che una “concertazione” meno ufficiale e costituzionale, con il sindacato, l’avrebbe favorita. Cosa che è puntualmente accaduta!

I “costituzionalisti”, che videro bocciato il progetto, tuttavia, essendo quasi il 40% di tutta l’Assemblea, optarono per una “terza camera”, che sarebbe successivamente sorta, una volta constatato, e non era difficile prevederlo, che la materia economica e sociale avrebbe prevalso sulla gestione della cosa pubblica, in modo determinante, da farne parte integrante del meccanismo democratico: nacque così il CNEL, un organo paritetico di rappresentanza di tutte le componenti economiche, finanziarie, e del lavoro, in grado di poter legiferare su tali argomenti, e gestirne direttamente le conseguenze, in quanto organo decisionale ed esecutivo. Solo in un secondo momento lo si privò di questa importante caratura, e lo si trasformò in organo meramente “consultivo”. Alla fine, com’era logico, e dopo che Confindustria e sindacato istituzionalizzarono la “concertazione”, a cui si deve, principalmente la rovina del Paese, con migliaia di miliardi di sprechi, contributi pubblici, ammortizzatori sociali, negoziati tra le parti, con Governi vieppiù compiacenti, che andavano a pesare inesorabilmente sul debito pubblico, assottigliando gli investimenti, creando nel Mezzogiorno vasti deserti industriali, distruggendo il tessuto manifatturiero, i cui profitti, alla fine sono stati inghiottiti dalla speculazione finanziaria molto più redditizia; alla fine, il CNEL fu privato anche della sua capacità consultiva, divenendo un mero “cimitero degli elefanti”, da 22 milioni all’anno di costi inutili!

Ma quei “costituzionalisti” sconfitti, non si limitarono a imporre il CNEL (senza immaginare che fine gli avrebbero fatto fare i loro discendenti!), ma anche tutta una serie di articoli costituzionali, di cui neppure uno realizzato, che avrebbero allineato lavoratori, sindacati ed imprese ad un  modello sociale alternativo, che strappasse loro di mano il controllo arbitrario sul lavoro e sull’economia, magari accordandosi nelle modalità più letali (avevano visto lungo!). Nacquero così gli artt. 39-42-43-46.

L’ultimo spiraglio sul CNEL fu paradossalmente aperto nel 1997-98 ai tempi della Commissione Bicamerale per la Riforma della Costituzione, presieduta dall’on. Massimo D’Alema, e che costituì i Consigli Regionali dell’Economia e del Lavoro, CREL, gli enti che, dopo la lunga parentesi in cui il CNEL era stato “spupazzato” in lungo e in argo, avrebbero dovuto fare da raccordo con esso, e realizzare quell’entità istituzionale, più fedele possibile ai dettami costituzionali originali. Forse è questo uno dei motivi che hanno convinto l’ex-Presidente del Consiglio ad opporsi ferocemente alle “riforme” renziane, tutte basate su una gravissima, e tossica corsa contro il tempo, per la distruzione programmata delle autentiche strutture atte al controllo popolare sulla politica e sull’economia (*).

FINE PRIMA PUNTATA

(*) Per approfondire la tematica, potete leggere, di Riccardo Scagnoli, LA GESTIONE DIRETTA DELL’IMPRESA DA PARTE DEI LAVORATORI, Ed. Tabula Fati-Chieti.

                                                                                                                                                                                                              

 
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