Creato da Massimiliano_Kosovo il 20/10/2005
Racconto del mio anno di servizio civile in Kosovo

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La morte di Milosevic

Post n°52 pubblicato il 27 Marzo 2006 da Massimiliano_Kosovo

La morte di Slobodan Milosevic e la sua eredità

Questo inizio di 2006 continua a sorprendere, non tanto per i passi in avanti fatti nei negoziati, quanto per la scomparsa di alcune figure chiave che, nel bene e nel male, hanno determinato la storia del Kosovo. Il 20 gennaio muore Ibrahim Rugova, Presidente del Kosovo; l’11 marzo Slobodan Milosevic, ex-Presidente della Serbia. Il primo, definito “Ghandi dei Balcani”, viene rimpianto da tutti i Kosovari albanesi, che ritrovano coesione alla morte della loro guida. Il secondo, detto “Hitler dei Balcani”, “macellaio”, ma anche “salvatore della Serbia”, lascia un’eredità più pesante e divide il paese tra coloro che lo considerano un criminale e altri che vedono in lui un eroe e un martire.

Le cause della sua morte, avvenuta all’Aja, nella cella dove era custodito nel corso del processo del Tribunale Speciale ONU per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia, sono riconducibili ad un infarto (Milosevic aveva da lungo tempo problemi cardiaci), ma non sono mancate nella settimana anche altre teorie (suicidio e avvelenamento). La mia intenzione in questo articolo è quella di dare prima una breve rappresentazione della vita e delle “opere” di Milosevic, cercando poi di descrivere gli stati d’animo dei Kosovari albanesi alla notizia della scomparsa del loro odiato nemico.

Slobodan Milosevic nasce in Serbia nel 1941. Durante i primi anni della sua vita si suicidano, uno dopo l’altro, il padre, la madre e uno zio, lasciando un segno profondo sul giovane, che si getta nello studio (laurea in Giurisprudenza) e in politica (tra le file del partito comunista), per far carriera nella Jugoslavia di Tito. Negli anni 80 accresce il suo potere sempre di più, fonda il Partito Socialista Serbo, fino a divenire Presidente della Serbia nel 1989, anno in cui chiarisce anche il suo piano politico: riunificate tutti i Serbi dei Balcani in una “Grande Serbia”, combattendo contro tutte le altre etnie e minoranze per raggiungere questo scopo. Nei 10 anni successivi Milosevic tenta in tutti i modi di passare dalla teoria ai fatti, cominciando una guerra dopo l’altra e perdendole tutte. Prima in Slovenia nel 1991, poi in Croazia e in Bosnia fino al 1995, l’ex Jugoslavia si sgretola e il nazionalismo estremo (rappresentato non solo da Milosevic e dai Serbi, ma anche dai Croati e dai Bosniaci musulmani) trascina l’intera area in una guerra infinita, dove muoiono in totale più di 200.000 persone, ci sono centinaia di migliaia di profughi, pulizia etnica, stupri, violenze di ogni tipo, oltre che danni economici per decine di miliardi di dollari. Leggendo dei libri o guardando dei filmati sulle guerre dei Balcani negli Anni 90 sembra di trovarsi di fronte ad una storia dell’orrore, dove ogni volta che l’incubo sembra finire, si precipita in uno ancora peggiore. L’ultimo capitolo bellico della storia si sviluppa tra il 1998 e il 1999 in Kosovo e si conclude con l’attacco Nato a Belgrado che piega una volta per tutte l’esercito serbo.

Milosevic non è stato l’unico responsabile di questa immensa tragedia, ma sicuramente uno dei più spietati e infidi: ha alternato nella sua politica un nazionalismo estremo ad un finto pacifismo (durante la serie infinita di incontri per risolvere la “questione dei Balcani”, il vittimismo allo sterminio spietato dei suoi oppositori politici e dei nemici di guerra (avallando la pulizia etnica portata avanti dai suoi generali). Ha fatto sprofondare il suo paese in una situazione economica drammatica, a causa dei lunghi anni di embargo e di sanzioni avute dall’ONU. Ha illuso giovani e vecchi con l’arma del nazionalismo, servendosi di una propaganda fittizia che ha sempre mascherato la realtà di una guerra sporca fatta per interessi economici di un gruppo ristretto.

Dopo 10 anni di guerre, nel 2000 ci sono state le nuove elezioni politiche e il Milosevic ha perso nettamente. Nonostante questo, non voleva lasciare il potere: come risposta mezzo milione di persone, soprattutto giovani, sono scese in piazza e hanno dato l’assalto al Parlamento, costringendo il dittatore a lasciare il potere. Consegnato nel 2001 al Tribunale dell’Aja, nel 2002 è cominciato un processo contro di lui con ben 66 imputazioni (tra cui genocidio e crimini contro l’umanità), Milosevic non ha mai riconosciuto il tribunale e si è sempre dichiarato innocente; negli ultimi due anni il processo si è praticamente fermato a causa delle sue pessime condizioni di salute e non era stato ancora enunciato il verdetto di colpevolezza, dato comunque per scontato.

La sua morte ha provocato reazioni ben diverse nei vari paesi dell’area: in Bosnia, Croazia e Kosovo le famiglie delle vittime della guerra provano allo stesso tempo sollievo e delusione: il loro grande nemico è morto e nessuno lo rimpiange; molti, però, avrebbero voluto vederlo condannato dal tribunale dell’Aja. Ciò che dà più fastidio ai Kosovari è osservare la reazione di una parte della popolazione serba, che si è riunita per piangere il suo capo in occasione della camera ardente allestita a Belgrado e dei funerali che si sono tenuti nella città d’origine di Milosevic. Decine di migliaia di persone hanno pregato per lui, lodandolo come “il migliore dei Serbi”, e sembrando ignorare tutti i crimini da lui commessi. La posizione tenuta dal governo serbo è stata impacciata: non ha concesso funerali di stato per non scatenare le critiche internazionali, ma ha permesso ai manifestanti di riunirsi per non perdere l’appoggio del Partito Socialista (il partito fondato da Milosevic che ancora adesso fa parte della coalizione di governo). Per completezza è necessario e bello poter dire che c’è stata anche una contromanifestazione a Belgrado, durante la quale molte persone, soprattutto i giovani, si sono riunite per ricordare i crimini di Milosevic e fare in modo che la storia non si ripeta.

Infine, bisogna ricordare che anche nelle enclaves serbe in Kosovo ci sono state veglie funebri e incontri per ricordare il “grande Milosevic”: i Serbi rimasti capiscono che un altro legame con la madrepatria è andato perso e si sentono sempre più abbandonati al loro destino. Le ferite della guerra, però, sono ancora troppo aperte nei cuori dei Kosovari albanesi che, di fronte a queste reazioni nazionalistiche serbe, rinnovano il loro odio verso i nemici di una guerra mai veramente finita. Un quotidiano del Kosovo, il giorno dopo la morte di Milosevic, titolava eloquentemente: “All’inferno!”. Penso che Serbi e Kosovari si rivolgano spesso questo augurio: ciò non aiuta la pace, la collaborazione e la stabilità, ma la morte di Milosevic più che unire, sembra dividere ulteriormente i due popoli. In questa situazione i negoziati per il futuro del Kosovo continuano…

 
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Gli ultimi degli ultimi: gli zingari di Mitrovica

Post n°51 pubblicato il 05 Marzo 2006 da Massimiliano_Kosovo

Ciao a tutti!

Scusate se non scrivo ormai da un bel po' di tempo, ma il tempo sembra volare sempre piu' velocemente.Qui di seguito un articolo da me scritto per il "Nostro Giornale" di Gavi.

Gli ultimi degli ultimi: gli zingari di Mitrovica.

Dopo la morte di Rugova ci sono stati alcuni giorni di confusione e spaesamento a livello politico, però, quasi inaspettatamente, è stato individuato in modo veloce il successore: questi è Fatmir Sejdiu, collaboratore per lunghi anni di Rugova e persona apprezzata sia all’interno del Kosovo sia all’estero per i suoi metodi moderati ma risoluti. Lo shock per la morte dell’amato presidente non è ancora superato, ma sembra che ci sia stata una reazione positiva e convinta, alla vigilia dei negoziati che stanno per iniziare a Vienna.

Intanto, mentre il mio lavoro a Pristina continua in modo interessante, trovo sempre più importante per me approfondire la storia della Jugoslavia, delle sue guerre degli anni 90 e delle sue conseguenze, ancora ben visibili oggi. Durante una conferenza all’UNDP (Agenzia ONU per lo Sviluppo) alla quale ho partecipato, ho avuto la possibilità di venire a conoscenza di una delle pagine più tristi e meno note della guerra nel Kosovo, trascurata dai media e dall’opinione pubblica. La storia, che nella sua drammaticità e insensatezza sembrerebbe essere una fiction, è invece verissima e lascia senza parole.

Negli anni prima della guerra, tra il 1991 e il 1999, i Serbi commettono violenze e i gli Albanesi le subiscono in modo non-violento fino al 1996, cercando di resistere con le armi (tramite l’UCK) a partire dal 1996. In Kosovo, però, esistono anche  altre minoranze; tra questi vari gruppi di zingari. Uso la parola “zingari” come termine generale (derivante dall’inglese “Gypsies”) che include diversi clan e caste: i gruppi principali sono i Rom, gli Ashkalie e i cosiddetti “Egiziani”. Sarebbe troppo lungo e complesso spiegare nel dettaglio l’origine, la storia e lo sviluppo di ognuno di loro, ma è importante evitare il luogo comune secondo il quale gli zingari sono tutti uguali: essi hanno lingue, storie e culture profondamente diverse. Sotto la dominazione di Tito, gli zingari vivono in buone condizioni: tutti hanno diritto alla casa e all’istruzione, molti hanno mestieri di buon livello (dottori, giornalisti, professori, ecc.). Negli anni che precedono l’intervento della Nato gli zingari vengono a volte usati come mercenari dai Serbi per “operare” contro gli Albanesi. Nel 1999 scoppia la guerra, i Serbi vengono sconfitti e seguono mesi di caos e anarchia, durante i quali una frangia estremistica di Albanesi decide di vendicarsi di tutti i torti subiti, bruciando non solo le case dei Serbi, ma anche quelle degli zingari (ben 13.000). I soldati Nato stanno a guardare…

Come conseguenza, decine di migliaia di persone scappano all’estero. Per chi rimane, comincia il vero inferno. I Serbi, come già visto, vivono nelle enclaves, isolati dal mondo. E gli zingari? Per loro, vengono costruiti vari campi “temporanei” da parte dell’UNRHC (l’Agenzia dell’ONU per i rifugiati). Tra questi, vi sono i campi di Zitkovac, Cesmin Lug e Kablare, nel nord del paese, vicino a Mitrovica. Questi campi sono stati costruiti in aree tossiche, precedentemente usate per la lavorazione industriale del piombo. Già nel 1999 le Organizzazioni Non Governative, specialmente quelle del settore medico, avevano sconsigliato la scelta di tali terreni. “Ma no, perché?” è stata la risposta “in fondo sarà solo per 45 giorni!”. Così furono costruiti, nel novembre del 1999, e 500 persone vi andarono a vivere. Adesso, all’inizio del 2006, quelle persone sono ancora lì: i 45 giorni sono diventati sei anni e si è consumata una grande tragedia. Infatti, quei terreni rossastri sui quali sono stati posti i prefabbricati del campo erano veramente tossici, molto tossici. E i bambini zingari, come tutti i bambini dl mondo, hanno cominciato a giocare, a toccare, a saltare, a buttarsi per terra. Purtroppo, si sono anche avvelenati silenziosamente, insieme ai loro genitori. Gli anni passano, i sintomi diventano evidenti, le persone cominciano a morire. Gli zingari chiedono aiuto, nessuno li ascolta. Per ironia della sorte, si comincia a parlare del problema solo nel 2001, quando ad alcuni poliziotti dell’ONU che avevano fatto jogging vicino ai campi viene riscontrato un elevato livello di piombo nel sangue. Per gli zingari si accende la speranza che finalmente ci si accorga di loro. Invece no: viene posta una rete di separazione, ai poliziotti viene detto di andare a correre da un’altra parte. Passano di nuovo gli anni e la situazione peggiora. Nel 2004 l’Organizzazione Mondiale per la Sanità analizza la situazione ed ordina l’immediata evacuazione dei campi; arrivano finanziamenti tedeschi e irlandesi per la costruzione di nuove case per loro. L’ONU prende tempo, troppo tempo: siamo nel 2006 e non è ancora stato fatto niente. I soldi ci sono, ma la scusa ufficiale è che mancano i terreni adatti per la costruzione. Mentre le persone che guadagnano migliaia di euro al mese fanno le loro riunioni inutili, la gente muore. Fino ad adesso sono morte 27 persone, la maggior parte bambini. Decine sono gli zingari con un livello di piombo nel sangue talmente alto da suscitare l’interesse medico e scientifico: nessuno credeva che si potesse vivere con tanto piombo addosso. Ma è questa vita? Dalle interviste riportate in un libro emergono storie agghiaccianti: i bambini nascono malformati, non imparano a parlare, non riescono a camminare, perdono la memoria, vomitano in continuazione, perdono i capelli, hanno i denti tutti storti, hanno gli occhi rossi, come iniettati di sangue. I genitori sono disperati e anch’essi malati. Cercano aiuto, cercano di scappare, ma non hanno soldi e nessuno darebbe mai loro un lavoro. Hanno ormai perso le speranze, ma si appellano disperati alle organizzazioni, cercano cure negli ospedali, lottano per imporre il loro diritto alla vita. Alcuni aiuti arrivano, ma manca il passo fondamentale: l’evacuazione di questi maledetti campi. Le madri abortiscono in tutti modi pur di non mettere più al mondo figli già malati, che non vivranno mai neppure un giorno come dei bambini normali.

Ho visto foto di bambini che mi hanno colpito quasi in modo fisico…Mi sono sentito impotente, il senso di rabbia mi bruciava dentro. Eppure sono poi tornato a casa e mi sono addormentato, così come i superpagati dell’ONU, così, come alla fine, si addormentano anche gli zingari nei loro campi. La differenza è che con il loro livello di piombo nel sangue, molti di loro si augurano di non svegliarsi mai più, per non ricadere il mattino successivo nella loro non-vita da incubo.

Questa è, purtroppo, una storia vera. Spero con tutto il cuore di poter scrivere, nei prossimi mesi, che i campi sono stati evacuati e che vengono prestate cure mediche efficaci. Ma non ho molte speranze: tutti pensano ai negoziati per il futuro del Kosovo, a chi interessano gli zingari?

 

 

 
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Il Kosovo senza Rugova

Post n°50 pubblicato il 04 Febbraio 2006 da Massimiliano_Kosovo

4 febbario

La morte del Presidente Rugova: il Kosovo si sente solo.

21 gennaio 2006, ore 12 circa. Le radio e le televisioni danno l’annuncio che Ibrahim Rugova, il Presidente del Kosovo, è morto. La notizia scuote il paese, sconvolge le persone, sembra far fermare il tempo. Rugova era malato di cancro, certo, e tutti lo sapevano, ma nessuno si aspettava che lui morisse proprio in questo momento, ad una settimana dall’inizio dei negoziati per lo status finale del Kosovo.

Apprendo la notizia da un sms inviatomi da mia mamma, mentre sono a casa tranquillo e sto leggendo. Resto incredulo per qualche secondo (“Che strano”- mi dico- “essere in Kosovo di persona, ma ricevere le notizie importanti da casa”), poi accendo la televisione e mi rendo conto che è proprio vero: su tutte e tre i canali kosovari si vede solo una persona, solo un volto: Rugova. Il Presidente, amatissimo in patria e rispettato in campo internazionale, è morto. Per il Kosovo non ci poteva essere un peggior modo di cominciare l’anno. Tutti lo sanno, lo capiscono immediatamente. L’uomo che combatteva da decenni con le armi della non-violenza per ottenere l’indipendenza del suo paese, è morto proprio nei giorni in cui stavano per cominciare le trattative finali sullo status.

In questo articolo non intendo lodare Rugova e presentarlo come l’uomo senza macchia, come “il Ghandi dei Balcani”, appellativo riferitogli da molte persone alle quali piacciono i titoli altisonanti. Più semplicemente e umilmente cercherò di darne un’immagine il quanto più possibile oggettiva, considerando i dati raccolti su di lui, alla quale si sommeranno le mie personali e soggettive impressioni.

Rugova nasce nel 1944 in territorio kosovaro. La prima parte della sua vita ha poco o niente a che fare con la politica: studia Lingua e Letteratura Albanese all’università di Pristina, termina un dottorato alla Sorbonne di Parigi e poi torna in patria lavorando come insegnante universitario e scrivendo libri. E’ un intellettuale, insomma. Ma nel 1989 la situazione per il Kosovo precipita: Slobodan Milosevic, presidente della Serbia, decide di togliere al Kosovo lo status di regione autonoma avuto negli ultimi anni. Rugova, membro della Società dei Letterati del Kosovo, firma un appello, insieme ad altri 215 intellettuali albanesi, per il ripristino dell’autonomia e, nello stesso, 1989, fonda la Lega Democratica del Kosovo (LDK), il partito più importante in Kosovo ancora nel 2006. Nel 1990 i deputati albanesi dichiarano la Repubblica del Kosovo e vengono estromessi dal Parlamento. A partire da questa data Rugova si fa promotore della risposta non-violenta alle provocazioni sempre maggiori dei Serbi e comincia a creare una struttura statale e amministrativa parallela. Nel 1992 Rugova viene eletto Presidente del Kosovo durante delle elezioni clandestine, che non vengono riconosciute dalla comunità internazionale. Fino al 1996 la sua strategia sembra funzionare: è stato creato un sistema parallelo a quello serbo nei settori politico, amministrativo, educativo. Tramite il mezzo della non-violenza, si vuole raggiungere l’indipendenza del Kosovo. Nel 1996 Rugova firma un accordo con Milosevic per una normalizzazione delle condizione del Kosovo. Ma la Serbia, invece di mantenere l’accordo, aumenta le sue violenze e le sue discriminazioni. Questo porta all’emergere della lotta armata dell’UCK, che Rugova a lungo non vuole riconoscere e che non può accettare. Negli anni prima della guerra Rugova perde peso politico, perché la violenza l’UCK conquista la scena.

Allo scoppio della guerra nel 1999, Rugova resta a Pristina e viene arrestato dalla polizia di Milosevic, che però lo lascia partire per l’esilio a maggio, trasportato da un aereo italiano a Roma. Dopo la guerra Rugova torna in Kosovo e, seppure la sua credibilità sia in parte andata persa, viene di nuovo acclamato presidente dal suo popolo, questa volta in modo regolare. Nei lunghi anni di amministrazione ONU, Rugova viene criticato di eccessivo attendismo e prudenza, ma non smette mai di chiedere l’indipendenza del Kosovo come unica soluzione possibile. A settembre 2005 annuncia la sua malattia e la popolazione trema, pur sperando che possa continuare a svolgere il suo ruolo politico. Fino agli ultimi giorni lavora per preparare il team dei negoziatori, ma, sul più bello muore.

Leggendo la sua vita e vedendo come essa è terminata nel momento più inopportuno mi viene da pensare alla casualità, al destino cieco, alla sfortuna. La stessa cosa devono pensare i Kosovari, che si vedono privati del loro leader storico. La reazione della gente è incredibilmente unanime: al momento della morte del capo, tutti abbandonano le loro differenze e si ritrovano uniti nella loro identità albanese. Vengono proclamati 15 giorni di lutto nazionale, per 3 giorni migliaia di persone sfilano davanti alla bara di Rugova, aspettando in coda fino a 5 ore ad una temperatura di -12 C. Il giorni dei funerali, il 26 gennaio, affluiscono a Pristina decine di migliaia di persone e delegazioni politiche da tutto il mondo. Tante volte ho avuto l’impressione che alla morte di un personaggio importante tutti tendano a farne un santo, esprimendo spesso un falso cordoglio. Ma in questa occasione ho visto il dolore della gente comune, del popolo, e sono sicuro che fosse sincero.

In tutti i casi, la vita deve andare avanti in Kosovo, e velocemente. Deve essere eletto un nuovo presidente, devono riprendere i negoziati. Il vuoto è enorme e la classe politica kosovare sembra essere impreparata senza la sua guida. Tuttavia, il processo deve andare avanti e, forse, tra qualche mese, il sogno di indipendenza kosovaro si  realizzerà. A quel punto Rugova, dovunque egli sia, sarà contento.

 
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Il Funerale del Presidente Rugova

Post n°49 pubblicato il 04 Febbraio 2006 da Massimiliano_Kosovo
Foto di Massimiliano_Kosovo

26 gennaio

Dopo la morte di Rugova sono stati proclamati 15 giorni di lutto nazionale. Il Centro Don Bosco, come tutte le scuole e gli uffici del Kosovo, e' rimasto chiuso per lutto fino ad oggi, giorno dei funerali. Decine di migliaia di persone e 40 delegazioni internazionali sono venute a Pristina per rendere l'ultimo omaggio a Rugova. Per l'Italia e' presente Massimo D'Alema, che nel 1999, anno della guerra in Kosovo, era Presidente del Consiglio.

 
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La morte del Presidente Rugova

Post n°48 pubblicato il 04 Febbraio 2006 da Massimiliano_Kosovo

21 gennaio

L'annuncio viene dato intelevisione e alla radio verso le ore 12: il Presidente Rugova, sessantunenne Presidente del Kosovo malato di tumore, e' morto.

Non poteva esserci peggior notizia per il Kosovo in questo inizio di 2005. Chi condurra' i negoziati ora? Chi sara' il nuovo Presidente?

 
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