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DESIDERIO RAP(dal coro dell'Adelchi)

Post n°9 pubblicato il 23 Agosto 2006 da lade.blog
 
Tag: Varie

Ragazzi, mi pare che gli animi ultimamente si siano parecchio riscaldati per semplici bagatelle. Massimo, il tuo alter ego Anthony ha creato un bel pandemonio, fra l'altro con un articolo che ho molto apprezzato per stile e autoironia...

E allora vi dò un mio contributo faceto di cui ciascuno potrà fare l'uso che vuole.

Saluti. Loris

************************************

 

Dall’etra gassoso — stazioni emittenti

diffondono farse — tivù per dementi

bifolchi prognati — di servo stupor:

psichiatri bavosi — scrittori indecenti

contorni di false — faccine ridenti

beoti beati — di gloria e clamor!

 

Un volgo disperso repente si desta,

intende l’orecchio, solleva la testa

dai catodi invasi da insulsi talk show,

percosso da novo e crescente romor!

 

È chiaro il sistema — tangenti e mazzette

gli appalti una torta — divisa per fette

« Lo scandalo è ora — che debba finir! »

è il grido di guerra — di ogni procura

qui non si indietreggia — qui non si ha paura

chiunque ha sbagliato — si deve punir!

 

Dai guardi dubbiosi — dai pavidi volti

qual raggio di sole — da nuvoli folti

traluce de' padri — la fiera virtù:

ne' guardi ne' volti — confuso ed incerto

si mesce e discorda — lo spregio sofferto

col misero orgoglio — d'un tempo che fu.

 

S'aduna voglioso — si sperde tremante

per torti sentieri — con passo vagante

fra tema e desire — s'avanza e ristà;

e adocchia e rimira — scorata e confusa

de' crudi signori — la turba diffusa

che fugge le toghe — che sosta non ha.

 

Ansanti li vede — quai trepide fere

lucenti per tema — le calve criniere

le patrie galere — d’Italia stipar;

e quivi deposta — l'usata minaccia

la stolta superbia — la pubblica faccia

i complici ansiosi — ansiosi guatar.

 

E sopra i gementi — con avido brando

quai cani disciolti — correndo frugando

da ritta da manca — guerrieri venir:

li vede e rapito — d'ignoto contento

con l'agile speme — precorre l'evento

e sogna la fine — del duro servir.

 

Udite! Quei forti — che tengono il campo

che ai vostri tiranni — precludon lo scampo

son veri italioti — del piano padan:

sospeser le gioie — d'uffici lucrosi

assursero in fretta — dai campi operosi

chiamati repente — da squillo guerrier.

 

A torme di terra — passarono in terra

cantando giulive canzoni di guerra

ma i ricchi opifici — pensando nel cor:

han carca la fronte — di torvi pensieri

han poste le selle — sui bruni corsieri

fur tutti a Pontida — che cupa sonò.

 

Ma tutti lo sanno — è l’anno mondiale:

un grido percorre — l’intero stivale

a unire ogni cuore — ne’ patri color:

e già “Forza Italia!” — è l’inno stranito

che il furbo politico — ha messo a partito

chiamando a dar voto — ai moti del cuor.

 

L’uguale sinistra — avvicenda la destra

la danza non cambia — la stessa minestra

gli antichi costumi — son duri a morir:

riapron le porte — ai vecchi dannati

son santi son martiri — perseguitati

che iniqua giustizia — volle colpir!

 

« Dell’Utri mafioso! » — Santoro fazioso

con Biagi e Luttazzi — è messo a riposo

l’Editto di Sofia — fa purga in tivù:

un solo padrone — controlla i mass media

danaro e potere — concentrano invidia

sull'uomo che aspira — a salire più su.

 

« Le toghe brandiscono — falci e martelli! »

si sguainano spade — s'incoccan quadrelli

schierate le parti — son pronte a pugnar:

si vedon le lance — calate sui petti

a canto agli scudi — rasente agli elmetti

si senton le frecce — fischiando volar.

 

« In Mediaset virtus » — « Fininvest insana »

lo scontro si alza — la gente si sbrana

prevalgon l'ingiuria — il colpo sleal:

ma è tutta una scena — pel popol balordo

di sotto'l baccano — v'è'l tacito accordo

di fare attenzione — a non farsi del mal.

 

E il premio sperato — promesso a quei forti

sarebbe o delusi — rivolger le sorti

d'un volgo straniero — por fine al dolor?

Tornate alla vostra — tivù spazzatura

alle opere soapalla falsa cultura

bifolchi prognati — di servo stupor!

 

Il forte si mesce — col vinto nemico

col novo signore — rimane l'antico

l'un popolo e l'altro — sul collo vi sta.

Dividono i servi — dividon gli armenti

si posano insieme — sui campi cruenti

d'un volgo disperso — che nome non ha.

 

Il volgo disperso ritorna alla siesta,

distoglie l’orecchio, reclina la testa

ai catodi invasi di insulsi talk show,

colpito da novo e crescente torpor!

 

Inviati speciali — giullari serventi

di poco onorevoli — ricchi e potenti

baldracche rifatte — di falso turgor

ministri di culto — esperti d’occulto

politici e ladri — in cerca d’indulto:

è tutto perduto — perfino il pudor.

 
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ESECUZION-CINA

Post n°8 pubblicato il 12 Agosto 2006 da lade.blog
 

Da quando la Cina ha adottato il metodo di esecuzione mediante
iniezione di veleno, le autorità hanno sollecitato i tribunali locali a
dotarsi di camere di esecuzione mobili, onde poter accelerare i tempi
ed evitare di dover trasferire i condannati da una città all'altra.
I
"boia itineranti" sono la nuova scoperta di Pechino e girano su furgoni
FIAT adattati allo scopo.

La pena di morte in Cina continua a essere
applicata in modo esteso e arbitrario, spesso influenzata da
interferenze politiche.
Negli ultimi quattro anni, con il lancio delle
cosiddette
campagne "colpire duro", è aumentato considerevolmente il
numero dei condannati a morte anche per reati di lieve entità, in
precedenza puniti
con il carcere. Inoltre, all'indomani dell'11
settembre, la Cina ha intensificato la repressione contro la minoranza
uigura del Xinjiang, eseguendo condanne a morte per reati politici. I
dati di Amnesty International, che riguardano solo i casi accertati,
parlano di 1.060
esecuzioni nel corso del 2002. Secondo altre fonti, il
numero delle esecuzioni potrebbe essere fino a dieci volte superiore.

Nei giorni scorsi, il "Beijing News" ha pubblicato la notizia
dell'acquisto di un furgone da parte dell'Alta Corte della Provincia di
Liaoning, nella Cina nord-orientale, subito attrezzato per diventare
"camera della morte" itinerante. La notizia e' stata poi confermata da
un funzionario di polizia della stessa Alta Corte, addetto alle
esecuzioni, il quale ha dichiarato alla "France Presse" che altri
tribunali (diciassette, secondo fonti ufficiali cinesi), stanno
procedendo all'acquisto dei furgoni.

Si tratta di furgoni Iveco, del
gruppo Fiat, prodotti a Nanchino e dal costo di 400.000 yuan, circa
40.000 euro.
Il presidente della Sezione Italiana di Amnesty
International, Marco Bertotto, in una lettera indirizzata alla FIAT ha
ricordato le responsabilità che l'azienda, capogruppo della Iveco, si
assume con questa fornitura al governo cinese. Di fatto, un veicolo
normalmente
utilizzato per effettuare servizi di trasporto merci o
persone, e quindi utile alla comunità civile, diventa parte essenziale
di un apparato omicida puntato alla nuca della comunità stessa.
 
http:
//www.liberipensieri.net/news/cina2.asp

*** Inviato via e-mail da Simone Bilotta il 09/08/2006 ***

 
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DECRESCITA

Post n°7 pubblicato il 12 Agosto 2006 da lade.blog
 

Come sopravvivere allo sviluppo
INTERVISTA DI DAVIDE TURRINI A SERGE LATOUCHE
(Da Liberazione del 9 maggio 2006)

Bastone sottile che non serve nemmeno da appoggio, viso canuto alla Burt Reynolds, cravatta leopardata sopra una camicia bianca con righine azzurre e viola, Serge Latouche, 66 anni portati meravigliosamente, professore emerito di scienze economiche all’università Paris Sud, esperto di rapporti economici e culturali tra Nord e Sud del mondo, fa la sua comparsa in Italia, a Bologna. La facoltà di Scienze Politiche, materialmente a pochi passi dell’ex dimora del nuovo premier Prodi, è lo sfondo architettonico per l’incontro del professore che prende a prestito il titolo del suo nuovo volume, Come sopravvivere allo sviluppo (Bollati Boringhieri), per argomentare l’utopia del nuovo secolo: la decrescita economica.

Ed è proprio il quesito di partenza, lontano da Giddens come dal socialismo reale e che piuttosto richiama a una resistenza alla Davide contro Golia, a essere rivolto immediatamente a Latouche.
«Alcuni anni fa, sopravvivere allo sviluppo era un problema che interessava solo il Sud del mondo», spiega il professore francese, «il Nord voleva sviluppare il Sud e occidentalizzarlo, ma altro non era che il proseguimento della colonizzazione con altri mezzi a cui va aggiunta la relativa distruzione delle identità culturali e del tradizionale saper fare. Oggi, invece, tocca a noi occidentali: la distruzione della biosfera, la globalizzazione che altro non è che la mercatizzazione del mondo (e non la globalizzazione del mercato), quel gioco al massacro che porta ad abbassare i salari degli operai del Nord per renderli concorrenziali con quelli cinesi, altro non sono che elementi che compongono, paradossalmente, l’impossibile concetto di sviluppo sostenibile. Mentre io ritengo che l’unica soluzione stia nella società della decrescita economica».

Ma che cos’è esattamente la decrescita economica?

Non è un concetto, non è l’elemento simmetrico della crescita, nemmeno una teoria economica. E’ una parola d’ordine, è uno slogan per gridare un forte “basta” al discorso dell’ideologia economicista. Dobbiamo abbandonare il credo insensato del crescere per crescere che ha come solo obiettivo il profitto per i detentori del capitale. La crescita ha materialmente un limite. Vi faccio un esempio: a un litro di petrolio corrispondono 5 metri cubi di foresta. A questo ritmo i 12 miliardi di ettari ancora utilizzabili nel giro di ben poco tempo si esauriranno; per non dire che le riserve di petrolio potranno bastare soltanto per altri trent’anni. Allo stesso tempo, però, basta un semplice rallentamento nel tasso di crescita per far cadere la società nello sconforto, con relativo abbandono dello stato assistenziale. Ecco perché suggerisco di uscire da questo circolo vizioso della crescita che è destinata a esaurirsi molto presto e perché condanno anche tutta la sinistra istituzionale, oramai diventata socialiberista, che non osa uscire dal paradigma tradizionale della società della crescita.

Il problema a questo punto è come attuare i buoni propositi…

Questa sorta di ateismo contro la religione dell’economia e dello sviluppismo (straordinario vocabolo italianizzato dal francese, n. d. r.) prende le mosse dallo scollegamento del benessere dalla crescita economica, cioè far crescere il benessere diminuendo progressivamente il pil e drasticamente i costi negativi dei corollari della crescita, o ancor meglio: far decrescere il Ben-Avere statistico per migliorare il Benesssere vissuto. La base di questo percorso sarebbe internalizzare gli effetti esterni, ovvero far pagare alle imprese i costi che fanno sopportare ai clienti, agli operai e alle generazione future: dalle spese per la pubblicità (le spese pubblicitarie con 500 miliardi di dollari all’anno sono al secondo posto dei bilanci mondiali dopo i costi per gli armamenti), ai costi di spostamento di uomini e merci per il commercio che provoca insensato inquinamento.

E dopo questa sorta di umanesimo di fondo da cui partire, quali sono le altre tappe da seguire?

In primo luogo dobbiamo deeconomicizzare il nostro immaginario, che oggi ha assimilato come unici valori della vita il denaro e il guadagno; riconcettualizzare il valore di povertà, un elemento dignitoso che abbiamo trasformato in qualcosa di vergognoso; rilocalizzare le attività produttive e ritrovare la saggezza del senso del luogo e del vivere localmente; ridurre l’orario di lavoro per tutti, creando meno disoccupazione e un cambiamento di valori che ci porta a rivalutare, come gli antichi, l’ozio; infine smetterla con l’assistenzialismo delle ong, reintroducendo i valori propri alle popolazioni del Sud del mondo.

Non le sembra di perseguire una sorta di mondo utopico?

Tutti, dai politici agli economisti, sanno del rischio che stiamo correndo. Basta vedere gli effetti di quella che io definisco la pedagogia delle catastrofi (guardate il comportamento degli acquisti nel post “mucca pazza”). E poi abbiamo bisogno di utopia, nel senso forte della parola, perché questi cambiamenti sono assolutamente possibili se solo lo vogliamo. Se, per esempio, prendiamo il treno da Reggio Emilia per Roma e scopriamo dopo la partenza di essere quasi arrivati a Torino, ci fermiamo, scendiamo e prendiamo il treno che porta dalla parte opposta, o no? Ecco, allora credo che la decrescita economica sia una scommessa dove la ragione, assieme alla necessità umana, porterà a democrazie locali ed ecologiche, piuttosto che al suicidio.

*** Inviato via e-mail da Baba il 08/08/2006 ***

 
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CONSUMISMO FARMACEUTICO

Post n°6 pubblicato il 12 Agosto 2006 da lade.blog
 

" A lungo persuasi di far bene il loro mestiere, cioè di fare del loro
meglio per la salute del paziente, i medici si sono resi conto che
vengono reclutati per fare consumare il più possibile determinati
prodotti. Un sistema pubblicitario efficace mira a fare di chi
prescrive le ricette un braccio affidabile della tenaglia che stritola
certi malati. Ecco come si svolge il lavaggio del cervello, spiegato da
chi l'ha subìto in prima persona. All'inizio dei suoi studi, il futuro
medico scopre con piacere tutto un mondo di regali, di loghi che gli
divengono familiari e di sponsor generosi che sovvenzionano serate e
settimane bianche. La contropartita sembra minima, basta far finta di
ascoltarli mentre abbozzano una graziosa «verità scientifica» su un
dato prodotto.

Comunque, «fanno parte della nostra formazione», come
dicono i più vecchi, in generale già ben formattati. Più tardi, lo
studente comincia a conoscere seriamente le patologie. I libri su cui
studia raccomandano certi medicinali in grassetto, gli stessi di cui si
ritrova la scintillante pubblicità nella sovraccoperta o inserita tra
le pagine. Libri scritti dal «fior fiore della medicina», che ha
acquisito notorietà grazie alle sovvenzioni di laboratori legati alle
loro specializzazioni gli stessi che producono quei medicinali. Ma per
lo studente quel testo è il riferimento indispensabile, e siccome la
medicina s'impara a memoria, tutto ciò entra a far parte del sistema!
Durante l'internato, volente o nolente, frequenta i laboratori più
volte a settimana (in occasione di «visite di cortesia», di uscite
organizzate, di «riunioni d'informazione», ecc.). Inoltre, il primario
può esercitare pressioni dirette o indirette affinché si orientino le
prescrizioni a favore del laboratorio X, amico del primario.

Lungo
tutta la sua vita lavorativa, il medico sarà corteggiato per il suo
stesso bene: riunioni, pranzi, «soggiorni di formazione» lo
arricchiranno di un sapere preconfezionato, abilmente truccato alla
bisogna nelle riviste di riferimento o nei dépliant che vantano le
proprietà del medicinale (che talvolta «dimenticano» di menzionare
taluni effetti secondari).

Quando sono state lanciate le pillole
contraccettive di terza generazione (meglio tollerate delle precedenti,
ma considerate a rischio per un possibile aumento delle malattie
cardiovascolari), un laboratorio spiegava nelle sue schede promozionali
come, contrariamente alle pillole concorrenti, il tasso di colesterolo
non fosse aumentato con i suoi prodotti. Un esame più attento della
spiegazione segnalava che questa prova «scientifica» era stata
riscontrata... nella femmina del coniglio. Le cavie sapranno
apprezzare. Quindi, anche se i medici hanno appreso (molto di recente)
ad avere uno sguardo critico, i trucchi del mestiere funzionano sempre.
Allorché i rappresentanti cessano di incentivare i medici, il volume
dei medicinali prescritti nella zona geografica trascurata (sorvegliata
con la complicità dei farmacisti e delle mutue) precipita. Sono dunque
i rappresentanti ad acuire il senso critico dei medici? Sì, nei
confronti di malattie che non esistono e che vengono create a colpi di
convegni e articoli «scientifici» ratificati da rinomati professori.
Una creazione particolarmente facile quando la frontiera tra il normale
e il patologico è così sottile. A partire da quali soglie bisogna
prendere in considerazione il tasso di colesterolo o la tensione
arteriosa?
La minima flessione può creare un mercato immenso...

Philippe Pignarre, che ha lavorato per diciassette anni nell'industria
farmaceutica, ci ricorda che quest'ultima costituisce il «gioiello
della corona del capitalismo». I suoi tassi di profitto sono più alti
di quelli di qualsiasi altro settore, banche comprese. Ma per
mantenerli, tenendo conto della scadenza dei brevetti, bisogna innovare
di continuo e spingere con urgenza, a dispetto di ogni prudenza, al
consumo di nuovi prodotti. Pignarre ci spiega in dettaglio le strategie
impiegate: si pubblica uno stesso articolo, sotto firme diverse, per
aumentare la notorietà di una nuova molecola e suggerire ai medici che
i suoi vantaggi sono stati davvero confermati; poi la si può
addirittura commercializzare sotto due nomi diversi per imporla più
rapidamente (strategia detta di co-marketing); infine si fa pressione
per farla prescrivere in prima battuta, ecc. Quando le molecole
divengono di pubblico dominio, si procede alla «cosmesi» dei
medicinali, scommettendo sulla celebrità del nome di marca; ad esempio,
si fa di tutto per far dimenticare che la Tachipirina non è altro che
paracetamolo. C'è anche la «strategia di nicchia »: i laboratori
propongono il loro medicinale nel sottodominio limitato di una
patologia e in seguito «lavorano per allargare questa nicchia,
preparando i medici al depistaggio e sensibilizzando sia la stampa che
il grande pubblico. Si sono così visti nascere alcune 'nuove' turbe
psichiatriche», come certe forme di depressione breve o di schizofrenia
precoce.

Davanti alla difficoltà di trovare nuovi medicinali, i
laboratori si accingono dunque a inventare nuovi pazienti per vendere i
loro vecchi prodotti. A questo fine, essi ricorrono a tutti gli
stratagemmi del sistema pubblicitario, utilizzando le tattiche di
comunicazione che si indirizzano direttamente alle masse per il tramite
dei media. Negli Stati Uniti è così improvvisamente comparsa una nuova
malattia: «la turba da fobia sociale». Tra il 1997 e il 1998 vi si fa
riferimento, nei media, una cinquantina di volte ma, nel 1999,
l'epidemia sembra dilagare tanto che vi si fa riferimento più di un
miliardo di volte. Cosa è successo? Niente, se non lo sviluppo di una
vivace strategia di relazioni pubbliche per conto di un laboratorio che
cerca nuovi sbocchi per un antidepressivo, il Paxil, le cui vendite
aumentano del 18% nell'anno 200024.

Queste strategie sono pericolose,
perché i medicinali possono innestare una caterva di effetti
indesiderabili, che vanno dagli effetti collaterali benigni a quelli
mortali. Ad esempio, un laboratorio propone degli ormoni per occuparsi
della «menopausa maschile»; le sue pubblicità giocano sul desiderio
degli uomini di «restare giovani» e di conservare tutta la loro
libidine. Ma c'è da temere che il testosterone proposto comporti a
lungo termine un drammatico aumento dell'incidenza del cancro alla
prostata. Allo stesso modo, anche sul breve termine, i sondaggi clinici
su un campione di 2.500 persone sono statisticamente troppo deboli per
accertare eventuali effetti negativi gravi (con i laboratori che, in
caso di problemi, fanno tutto il possibile per spiegarli tramite le
caratteristiche delle cavie piuttosto che delle molecole). Un farmaco
tagliafame ha ottenuto nel 1985 l'autorizzazione alla distribuzione sui
mercati (AMM): trombe e tamburi, congressi sul prodotto miracoloso che
migliorerà l'alimentazione di milioni di persone, malate per aver
troppo consumato o più spesso schiave di un conformismo fisico
propagandato proprio dalla pubblicità.

In pochi anni viene consumato
da sette milioni di persone e qui ci si accorge della sua pericolosità:
200 persone moriranno o subiranno gravi conseguenze. L'ingegnosità
dispiegata per massimizzare la redditività del triangolo medico-malato-
laboratorio è terrificante. Il predominio dell'immagine sulla verità è
un tratto indiscutibile della pubblicità, ma nel campo della salute è
criminale, perché i medicinali sono potenzialmente delle vere e proprie
mine antiuomo.
Il principio di precauzione va a farsi fottere grazie a
un'ondata di pubblicità che stimola l'iperconsumo dei medicinali, il
quale a sua volta comporta 1.300.00 ricoveri (cioè il 10% del totale!)
e 18.000 decessi all'anno solo in Francia. Coccolando l'illusione
ossessiva della salute perfetta, della bellezza e della gioventù
eterne, Big Farma ha creato di fatto delle nuove malattie.

Il cinismo
dei laboratori trova l'eguale solo presso i loro marketers, che
sacrificano coscientemente la nostra indipendenza, e anche la nostra
vita, al Dio Profitto. Eppure sarebbe sbagliato e ingiusto imputare al
solo sistema pubblicitario questa deriva del mondo della medicina. Di
nuovo, essa non fa che svelare, aggravandole, le insufficienze di una
concezione della medicina come assistenza focalizzata sulla
prescrizione di composti chimici la cui aggressività è causa di
patologie e dipendenze. Ora, le statistiche provano che i progressi
della salute pubblica non sono legati in modo decisivo ai medicinali
moderni, ma molto più al miglioramento delle condizioni di vita e
specialmente dell'alimentazione, vale a dire a cose che gli individui
possono controllare da sé. Un'altra concezione della salute si profila
a questo punto, una concezione fondata sull'autonomia personale e
garantita da una sana igiene di vita che prevede il ricorso
all'assistenza medica solo in certi casi particolari.

Gli
«spettacolari progressi» della tecnica medica non solo non hanno
contribuito granché all'aumento della speranza di vita, ma hanno avuto
effetti nefasti non voluti o previsti dai medici. Da un lato questi
effetti, invece di spingere gli individui a prendere in mano la loro
salute per costruire un modo di vivere più sano, hanno rinforzato
l'idea che la salute è assicurata al meglio tramite il consumo
quotidiano di cure prodigate da istanze specializzate. Dall'altro lato,
sono stati sistematicamente usati per giustificare le condizioni di
vita moderne: condizioni che sono sempre più patogene! Il cancro, causa
di morte per 150.000 francesi ogni anno, è un'epidemia legata
all'industria, più precisamente a quella chimica, che è anche alla base
della farmacopea. Come scriveva Ivan Illich, "la civiltà industriale
crea nuove malattie e il sistema medico stesso è ben lungi dall'essere
sano: Una struttura sociale e politica distruttiva trova il suo alibi
nel potere di appagare le proprie vittime con terapie che esse hanno
imparato a desiderare. Il consumatore di cure diviene impotente a
guarirsi o a guarire chi gli sta vicino".

*** Inviato via e-mail da Simone Bilotta il 07/08/2006 ***

 
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CENTRALE A BIOMASSE

Post n°5 pubblicato il 12 Agosto 2006 da lade.blog
 
Tag: Varie

>Vorrei sollevare l'attenzione su una questione che sta destando notevole
>preoccupazione nel territorio in cui abito.
Una ditta che si chiama "Unigrà"  ha intenzione di costruire una centrale a
"biomasse" della potenza di 50 Megawatt che andrebbe alimentata bruciando i
sottoprodotti di altre produzioni e principalmente con olio (di palma o di
colza) che arriverebbe tramite il porto di ravenna dalla Malesia a Conselice
al ritmo di
ca 1.600 TIR    al mese.
Notevoli preoccupazioni per la salute della popolazione sono espresse da un
comitato che si chiama CASTA
    BLOG http://castainfo.spazioblog.it  in particolare per la ricaduta
delle polveri sottili (pm 2,5) e gli effetti sulle popolazioni residenti
(non solo il Comune ma sino a Lugo e Argenta!). Vi chiedo di divulgare la
notizia (i tempi di realizzazione e decisione in regione sono stretti) e
aiutarmi fornendomi indirizzi o nominativi a livello nazionale in grado di
amplificare la notizia.
Grazie Tiziano

*** Inviato via e-mail da Tiziano Bordoni il 07/08/2006 ***

 
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