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Post N° 162

Post n°162 pubblicato il 25 Aprile 2006 da quotidiana_mente
 
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Mio padre ascoltava, ogni notte, una stazione radiofonica in lingua portoghese. Sentì la canzone e iniziò a strepitare. Sta succedendo qualcosa, sì, qualcosa sta succedendo altrimenti non ci sarebbe questa canzone. Iniziò a dire. Ricordo bene, perché la sua impazienza svegliò tutti.
Rimase in piedi tutta la notte. Era felice ed era preoccupato, finalmente sentiva che qualcosa stava succedendo, era impaziente e rabbioso, rabbioso perché non stava lì ma altrove, limitato ad ascoltare gli avvenimenti via radio. Voleva chiamare tutti in Portogallo, chiamare i pochi che possedevano un telefono. Mia madre diceva che non era il caso: se poi non succede nulla, perché vuoi mettere in pericolo gli altri? Oh Maria, sei sempre la solita pessimista! Rispondeva lui, ma non chiamò nessuno. Passò la notte incollato alla radio, voleva saperne di più. Quella mattina decise che non sarebbe andato a lavorare e niente scuola per noi.
Era felice ed era così bello vederlo sorridere, ridere e piangere dalla gioia perché a man mano che le lancette dell’orologio andavano avanti, lui capiva che finalmente era fatta, finalmente era successo, il suo sogno si era finalmente avverato. Saltava dalla gioia, ci baciava e ci abbracciava e ci prometteva che si tornava a casa: finalmente si torna a casa, finalmente siamo liberi! Finalmente! Dopo quasi cinquant’anni! Liberi! Esclamava.
E noi eravamo contenti soprattutto per lui, non capivamo bene ma eravamo felici della sua felicità. Non correre, dai tempo al tempo, continuava a ripetere mia madre, vediamo come procederanno i fatti. Ma lui non l'ascoltava più, la guardava come si guarda qualcuno in lontananza, lui aveva la testa altrove, era altrove. Era lì, nelle piazze, in mezzo alle persone, era già lì nel suo paese natale.
Di quel giorno ricordo e ricorderò per sempre la gioia di mio padre, perché era una gioia contagiosa, perché non l’avevo mai visto così allegro ma forse il ricordo è legato all’unica volta che ci permise di non andare a scuola ed all’unica volta che non andò a lavorare di sua spontanea volontà. Per qualche tempo, tra noi fratelli, avevamo preso l’abitudine di declamare “O povo unido jamais será vencido”, volevamo che si sapessi che, ormai, la libertà era dalla nostra parte e bastava essere uniti per ritrovarla e per mantenerla. Eravamo bambini. Ma, ancora oggi, mi piace credere che sia possibile.
Avevo festeggiato gli anni da poco ma quel giorno, quel 25 aprile, mi sembrò un supplemento, il regalo più grande anche se con un po’ di ritardo. E, stranamente, quando si avvicina la data del mio compleanno, il mio pensiero torna a quel giorno di tanti anni fa. Era il 25 aprile 1974.
Grândola, la canzone, non  mi piaceva molto, aveva un’aria troppo militare anche se le parole parlavano di fratellanza, mi piaceva molto di più una canzone che parlava di gabbiani che finalmente potevano volare liberi nei cieli e sopra ai mari, di bambini che crescevano senza la paura di dover fare il militare e con la libertà di poter parlare. Mia madre la cantava spesso, ho ancora il ricordo di qualche strofa. Con il tempo si cambia, quando mi capita di sentire Grândola Vila Morena provo un’emozione immensa. Una emozione che mi riporta a mio padre, alla sua sofferenza di essere, non per scelta, stato costretto a cambiare paese, di essere scappato una notte. Mi riporta all’emozione provata quella notte di quel 25 aprile, all’emozione di poter tornare finalmente nel paese in cui ero nata senza timori. E ci siamo tornati durante le vacanze scolastiche. E tutto era cambiato.
Anni dopo, quando arrivai in questo paese, guardando volteggiare le Frecce Tricolori, pensai, semplicemente, ad un regalo, ad una commemorazione per la libertà ritrovata nel mio paese natale. Già, ignoranza, la mia. Mi bastò uscire per strada per capire, per sapere. Fu, è, ancora più bello per me, poter festeggiare due date così importanti lo stesso giorno.

 
 
 
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