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Post N° 304

Post n°304 pubblicato il 27 Novembre 2006 da quotidiana_mente
 
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Dopo questo post, questo blog potrebbe autodistruggersi per l’imbarazzo. I fatti che seguiranno non sono, purtroppo, frutto di una fantasia malata ma veri.
A volte penso che sarebbe meglio non uscire di casa, almeno per evitare certe figuracce. A volte penso che se proprio si deve uscire di casa, tanto vale imbottire il corpo di cuscini e ricoprire il tutto con un bel piumino. A volte penso che è meglio non prendere la solita strada maestra ma una via traversa onde evitare strani incontri. A volte penso che non si deve mai prestare attenzione ai sorrisi delle gentili signore anziane che, sul momento, sembrano indifese proprio per via del sorriso. A volte penso che dopo certi avvenimenti è difficile risalire la china della propria autostima.
Lei che è magra. Ed io mi girai per vedere chi era magra. Nessuna dietro di me: ero io quella magra. Il cervello mi suggerì di dichiarare seduta stante che ero una falsa magra, che la mia era tutta apparenza e molta sostanza. Un sorriso smagliante sul viso della signora, gli occhi illuminati da chissà cosa, e continuava a ripetermi: lei che è magra. Mi indicò un signore con non abbastanza pancia da essere definito, da me, un ciccione. Lui mi mostrò l’auto parcheggiata e bloccata da altre macchine. Mio marito non riesce ad entrare e così non può spostare l’auto. Lei che è magra, dovrebbe entrare, spostare leggermente l’auto e avrà la nostra eterna gratitudine. Il cervello continuò a suggerirmi frasi, la bocca però non seguiva gli ordini. Guardavo l’auto, guardavo la coppia, riguardavo l’auto e iniziai a pensare che non si può incastrare una macchina in un modo simile. Pensai che il signore anziano aveva parcheggiato sulle strisce pedonali e mi sembrava un motivo valido per negare qualsiasi forma di aiuto. Lei che è magra, continuava a ripetere la signora. Il cervello continuava a suggerire vie di fuga che venivano tutte smarrite nel labirinto dei pensieri. Tornai mentalmente al giorno in cui ho preso la patente, che non è nemmeno così lontano nel tempo, perché prima non avevo mai sentito la necessità di guidare. Era così bello andare in giro a piedi, con i mezzi pubblici oppure farsi scorrazzare da altri, ma guidare no, solo dopo un viaggio in strade secondarie con un traffico molto disciplinato scattò la voglia di patente. Mentalmente, ricordai l’ultima volta che avevo guidato, poco dopo aver preso la patente, un viaggio lungo, abbastanza lungo da rischiare sia la mia vita, sia quella del passeggero (che era il legittimo proprietario) il quale dormiva. Dormiva perché, a pranzo, avevo versato vino su vino proprio per poter guidare senza essere disturbata da consigli. Ed arrivai a destinazione, o quasi, perché il passeggero si svegliò mentre io cercavo di pagare il pedaggio e l’auto era troppo distante dall’infernale macchina mangia soldi ed io faticava ad inserire quanto richiesto. Il passeggero iniziò a ridere, riprese il suo posto alla guida, dicendomi che mai e poi mai mi avrebbe riprestato l’auto. Ma ero felice così, avevo pur sempre coperto la bellezza di quasi 300 chilometri e non era poco per una pivella come me. Ma soprattutto era un miracolo che tutti, auto compresa, fossimo ancora integri.
Lei che è magra. Ed io tornai con i piedi al suolo. Lei che è magra, dovrebbe infilarsi nell’auto. Signora ho capito ma mi serve un aiuto perché è da molto che non guido. Perché non sono pratica, perché non vorrei combinare guai. E poi cavolo, possibile che non ci sia un’altra magra in giro e con più esperienza di me? Poggiai la borsa al suolo oppure no, non ricordo più. Sicuramente mi sarò tolta la giacca oppure no. Non ricordo nulla. Mi avvicino alla portiera nella speranza che lo spiraglio non sia sufficiente a farmi entrare. Ah, nemmeno lei è così magra, sostiene la signora mentre, di taglio, provo ad infilarmi. Entro, mi siedo e guardo il volante. Mi vengono passate le chiavi per mettere in moto. Le inserisco nel quadro e aspetto. Guardo i pedali sotto ai piedi e cerco di ricordare chi facesse cosa. Inizio a dichiarare la mia impotenza: voglio un aiuto, voglio un suggerimento. Metti in moto. E’ a folle? Ascolto mentre continuo a guardare i pedali. Il cervello mi suggerisce di controllare il freno a mano che solitamente è inserito. Tiro su, tiro giù, niente. Metti in moto, spingi la frizione e dai gas. Detto così non è difficile. Frizione, freno, acceleratore, questo ricordo ma in che ordine? Vuoto, vuoto e ancora vuoto. Eppure, mentre pedalo mi capita di passare in rassegna i vari gesti per una ipotetica guida, ero certa di essere in grado di guidare una macchina, invece ecco quando serve, il vuoto che più vuoto non si può. Giro la chiave: quanto meno l’auto è in moto. Tocco il freno a mano come se lui fosse capace di decidere il seguito delle operazioni. Su, giù ma non si sposta. Fermo. Ci metto più forza e riesco a disinnescarlo. Dai gas. Sì sì. Dai gas, una parola. Continuo a guardare i pedali. Frizione, freno, acceleratore. A sinistra urla qualcuno, premi la frizione e metti a folle. Ora dai gas. Se la frizione è a sinistra, l’acceleratore sarà a destra. Una bella grattata tanto per confermare che le donne sono negate con la frizione. Inizio a premere con molta ma molto delicatezza l’acceleratore, perché non vedo più la coppia, perché non vedo niente di quello che succede dietro di me, perché semplicemente non guardo, la mia unica paura è di finire oltre la ringhiera che è di fronte e quella la vedo bene. Poi, non so come, l’auto si sposta di poco ma si sposta. Sterza! Come un urlo agghiacciante. Sterzo. No, no, nell’altro senso. Fermo tutto. Valuto la distanza. Ri valuto. Ormai il signore potrà tranquillamente entrare nella sua auto. Non so come ma l’auto si è spostata. La coppia mi sorride felice, la macchina sembra integra. Saluto e me ne vado. Sento il sudore colare lungo il corpo, anzi lungo una parte del corpo perché quando sono in ansia sudo solo da una parte. Sono così zuppa che potrei tornare sotto la doccia. Invece, mi ricordo che ero uscita per andare a protestare con l’ufficio postale per via del bancomat: nemmeno un mese di vita ed è già smagnetizzato. M’incammino e dopo poco mi volto: la coppia è già ripartita, l’auto ha lasciato un bello spazio vuoto sulle strisce pedonali. Mi conforto con il fatto che l’auto almeno è intera ma per quanto io mi sforzi, non riesco a ricordare la marca. Sforzo che continuerò a fare mentre sarò in fila alla posta: niente, il vuoto più totale e una gran voglia di ridere perché una situazione così ridicola poteva capitare solo a me. In quel momento ho preso una solenne decisione: ingrassare!
Non oso pensare che ho messo anche la retromarcia, se l’ho fatto, ho rimosso tutto.


 
 
 
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