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ABBIAMO UN PADRE E NON E' GIUSTO VERSO NOI STESSI VIVERE COME ORFANI

Post n°766 pubblicato il 10 Marzo 2014 da sebregon

 

 

 I SETTIMANA DI QUARESIMA - MARTEDÌ


 


 

Mt, 6, 7-13

 

Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.

 

Nel terzo secolo, ma forse è più esatto dire dal terzo secolo in poi, la maggior parte degli autori cristiani si è confrontata con la preghiera del “Padre Nostro” scrivendo uno o più commentari a questa che fin da subito viene definita come “La preghiera del Signore” (Oratio Dominica).

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Agostino ne scrive addirittura sette, inserendoli in varie opere oppure a se stanti. La peculiarità di questa preghiera è che è l’unica preghiera formulata esplicitamente ed insegnata da Gesù. Nel vangelo ci sono per il resto esortazioni alla preghiera, rassicurazioni sulla sua efficacia, ma solo in questo passo e nel parallelo di Luca si trova una preghiera formulata esplicitamente ed insegnata come “formula”. Ma è davvero una formula? (le virgolette sono volute e provocatorie).

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Una formula da recitare magari un certo numero di volte per avere accesso a beni più o meno spirituali, in vista di un benessere che, anche se interiore indica comunque una certa apprensione e desiderio di tranquillità? O magari una chiave per vivere una felicità non ben definita in cui sostanzialmente essere liberi di fare, attribuendoli a Dio, i nostri comodi?

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Quello che chi non crede in Dio chiede ai cristiani è che la nostra vita sia coerente con il vangelo che proclamiamo, e che la preghiera non sia come le prediche di socrate nelle “Nuvole” di Aristofane, ma che sia una preghiera che porta la vita a Dio e sia frutto di una esperienza in cui ci facciamo promotori di una vera crescita dell’uomo. Guardando bene le proposizioni del Padre nostro mi sembra piuttosto di poter individuare un cammino.

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Un cammino che nasce ed è segnato non dalla verbosità ma da un rapporto alla cui base c’è la fiducia. Il Padre sa di cosa avete bisogno e il figlio si preoccupa di santificare il suo nome, di operare per la venuta del suo regno, di fare la sua volontà e chiede cose semplici, il pane, il perdono, la pace, il conforto della presenza nei momenti difficili, la libertà dal male. Un cammino che a ben considerare Gesù nel vangelo ha percorso per primo.

 

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Dunque questa è piuttosto il prototipo della preghiera che è un atteggiamento di vita. Nel contesto del capitolo 6 di Matteo infatti i suggerimenti sul digiuno e sull’elemosina sono introdotti da “Quando”, “Qualora” mentre per la preghiera si usa il participio presente che in greco indica una continuità nell’azione. Dunque non una cosa da fare ma un atteggiamento da avere, non una formula ma un cammino, non una verbosità, ma un rapporto di fiducia. Per questo oggi la tradizionale preghiera finale riporta direttamente la preghiera del Pater.

 

La nostra vita e la Parola

 

Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci.

 

P. Elia Spezzano, Ocist.

 

 
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