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Messaggi del 09/07/2014

 

TUTTE LE PAROLE UMANE MESSE IN FILA NON BASTEREBBERO A FARCI CAPIRE QUANTO DIO CI AMA

Post n°824 pubblicato il 09 Luglio 2014 da sebregon



XIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO



 





Os 11, 1-4; 8c-9


Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. A Èfraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira.


Nella parabola del figliol Prodigo ( O Padre Misericordioso che dir si voglia) c’è un verbo che rappresenta un atteggiamento chiave di Dio. Questo verbo ( Esplanknizein) è un verbo che indica letteralmente movimento alle viscere. Significa che Dio, quando vede da lontano il figlio ritornare ha letteralmente, il mal di pancia. Un po’ come quando noi ci innamoriamo di qualcuna o facciamo qualcosa d’importante nella nostra vita, ci viene un mal di pancia da stress emotivo.

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Atteggiamento che non ci aspetteremmo di trovare in chi rimprovera l’indifferenza di colui a cui ha fatto tanto bene. Eppure in questo brano del profeta Osea, Dio reagisce allo stesso modo. E’ presente infatti questo stesso verbo ma la cosa più comica è la motivazione di questo atteggiamento: io sono Dio e non uomo. Ma è proprio questo che fa la differenza fra Dio e noi. Dio continua a voler bene anche quando è rifiutato, noi ci fermiamo al nostro io ferito e al nostro orgoglio in frantumi, e stiamo a piangerli, senza comprendere che se a poco a poco andassimo oltre noi stessi troveremmo una forza che ci sorprende: l’amore che va oltre, oltre a noi stessi oltre la nostra stessa capacità di amare.

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Dio non solo si dimentica mai di noi ma ci fa sperimentare ogni giorno questa realtà: che lui soffre ogni volta che noi ci tentiamo ( ma non riusciamo mai davvero! ) di allontanarci da lui. Ed è questo che in Osea qualifica l’essere di Dio: Dio fa così perché è Dio e non uomo. Potremmo dire a questo punto: “ bravo! Ma che costanza! ” E però restare tutto il tempo fuori dalla porta, come il figlio maggiore della suddetta parabola a non volere entrare. Franz Kafka in un libro sintetizza questo raccontando un sogno, sogna una porta aperta attraverso cui vuole entrare ma ogni volta che chiede gli viene risposto di no.

 

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Poi alla fine capisce che in realtà nella porta aperta poteva entrare sempre senza chiedere, il suo stesso chiedere era in realtà un negarsi l’entrata. Sarebbe davvero semplice per tutti noi accorgersi che c’è un Dio che ci ama, da cui non dobbiamo discostarci ma accogliere nella nostra vita. Sempre lui ci cercherà, anche incredibile a dirsi, nel nostro peccato.

La nostra vita e la Parola

Dio che ci ami, Dio che ci cerchi, Dio che dici alla nostra vita una parola di tenerezza, prendici ancora per mano, amaci ancora come nella nostra giovinezza e regalaci il gusto di arrenderci ogni giorno al tuo amore. Amen

P. Elia Spezzano O. Cist

 
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