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galileo galilei

Post n°1394 pubblicato il 23 Dicembre 2011 da lilu67

«Finché l'umanità continuerà a brancolare nella sua nebbia millenaria di superstizioni e di venerande sentenze, finché sarà troppo ignorante per sviluppare le sue proprie energie, non sarà nemmeno capace di sviluppare le energie della natura che le vengono svelate». dal dramma di Bertol Brecht, Vita di Galileo

Nasce, il 15 febbrario 1564, a Pisa da nobile famiglia fiorentina, sebbene oramai avviata a decadenza economica. Il padre Vincenzo è un insigne musicista e teorico della musica. Quindi a Firenze, dove la famiglia si trasferisce nel 1574, Galileo riceve una raffinata educazione di stampo prevalentemente artistico e letterario. Poi però il padre stesso, spinto dalla speranza di ridare lustro alla famiglia decaduta, lo avvia all'esercizio di una professione più lucrativa, facendogli intraprendere lo studio della medicina. Così nel 1581 Galileo entra all'università di Pisa, dove segue i corsi dei maestri aristotelici, legge Platone ed Aristotele, e soprattutto approfondisce lo studio della matematica.

È di quegli anni la prima scoperta: la legge dell'isocronismo del moto pendolare, compiuta, secondo il tipico processo galileano, osservando oscillare una lampada nel duomo di Pisa. Nell'85 lascia Pisa senza conseguire alcun titolo accademico, e torna a Firenze. Qui, approfondendo sempre più lo studio della geometria, in particolar modo di Archimede, giunge sia alle fondamentali ricerche sul baricentro dei solidi, esposte nel Theoremata circa centrum gravitatis solidorum (1585), sia all'invenzione della bilancetta idrostatica, descritta nel trattatello in volgare La bilancetta (1586).

Intanto, come rivelano i suoi scritti letterari, le Due lezioni all'Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell'«Inferno » dantesco, le Postille all'Ariosto, le Considerazioni al Tasso, non viene meno in lui quell'amore per le lettere, che continuerà a coltivare per tutta la vita.

Grazie all'appoggio dell'astronomo e matematico Guido Dal Monte, ottiene nel 1589 la cattedra di matematica nello Studio di Pisa. Spinto da una forte insoddisfazione nei confronti della scienza aristotelica, intraprende, «con grande scontento di tutti i filosofi» nemici delle novità, le ricerche sul moto ed inizia a scrivere il De motu, rimasto a lungo inedito. Intanto, in seguito alla morte del padre, che gli lascia la responsabilità della madre, delle due sorelle e del fratello, la sua situazione economica diviene assai difficile. Quindi, desideroso di migliori condizioni economiche e lavorative, nel 1592 riesce a farsi assegnare la cattedra di matematica allo Studio di Padova. E vi rimane per diciotto anni, gli anni più sereni e felici della sua vita, sebbene le difficoltà economiche lo costringano ancora a impartire lezioni private. Stringe rapporti con gli uomini di cultura più in vista (soprattutto con Paolo Sarpi), e relazioni epistolari con i maggiori scienziati europei, Keplero, Gassendi, Welser. Vari e ricchi sono gli interessi di questo periodo padovano, come rivelano i titoli delle sue opere: il Trattato di fortificazione, la Breve istruzione dell'architettura militare e Le Mecaniche, il Trattato della sfera ovvero cosmografia, e Le operazioni del compasso geometrico e militare. Frattanto, dalla convivenza con la veneziana Marina Gamba ha tre figli, due femmine e un maschio.

In seguito alla riscoperta e al perfezionamento del cannocchiale, nel 1609 compie il passo decisivo che lo avvia a verificare la validità del sistema copernicano, di cui da tempo è oramai convinto. Rivolgendo lo strumento al cielo e applicandolo all'osservazione dei fenomeni celesti, compie una serie di scoperte (la natura montuosa della luna, l'individuazione di stelle prima sconosciute e dei quattro satelliti di Giove, chiamati Astri Medicei), che all'inizio del 1610 viene presentata alla comunità scientifica internazionale nel Sidereus Nuncius, dedicato al granduca di Toscana, Cosimo II de' Medici.

Quindi acquista un prestigio tale che viene nominato primario matematico e filosofo granducale, senza obbligo di insegnamento e a onorevoli condizioni economiche. In quello stesso anno scopre gli anelli di Saturno, le macchie solari, le fasi di Venere. Poi, spinto dalla necessità di staccarsi dal retrivo ambiente accademico e dalla possibilità di dedicarsi con maggiore libertà alle sue ricerche, torna a Firenze. Nel 1611, dopo aver ottenuto le adesioni dei maggiori astronomi e matematici del tempo, va ad illustrare le sue scoperte, duramente osteggiate dagli scienziati tradizionalisti, proprio a Roma, ove ottiene l'approvazione dai Gesuiti del Collegio Romano, probabilmente ancora inconsapevoli delle implicazioni del programma galileiano. Ma già si destano i primi sospetti d'eresia da parte dell'Inquisizione.

Galileo, dal canto suo, accentua la polemica antiaristotelica contro la scienza ufficiale. Prima, nel 1612, pubblica, il Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono. Poi, nel 1613, entra in polemica diretta con un gesuita nelle tre lettere indirizzate a Marco Welser, edite col titolo l'Istoria e dimostrazione intorno alle macchie solari e loro accidenti. Inoltre, prima di stendere la grande opera sul sistema copernicano del mondo, si trova costretto a porre i limiti tra scienza e fede. E nelle quattro famose Lettere copernicane (una a Benedetto Castelli, due a Monsignor Dini, e una più ampia alla granduchessa Cristina di Lorena), viene a rivendicare l'indipendenza della scienza dalla religione e il diritto alla libera ricerca scientifica. Così, nonostante gli amici influenti, il 24 febbraio del 1616, da un decreto del cardinal Bellarmino, Galileo viene ammonito ad astenersi, pena il carcere, dal professare e dall'insegnare la teoria copernicana, in quanto inconciliabile con la fede cattolica.

Profondamente amareggiato, tuttavia saldo nelle proprie convinzioni, riprende la polemica, e con Il Saggiatore - edito a cura degli Accademici dei Lincei nel 1623, e dedicato al suo vecchio amico, il nuovo papa Urbano VIII - risponde al trattato, Libra astronomica ac philosophica, scritto nel 1618, in occasione della comparsa di tre comete, dal gesuita Orazio Grassi. Sulla scia del grande successo conseguito con Il Saggiatore, suo capolavoro polemico, e sperando in una maggiore apertura della Chiesa verso la nuova scienza, nel 1624 intraprende la composizione del Dialogo dei massimi sistemi. Dopo una stesura protratta per anni e dopo vari negoziati ed aggiustamenti per ottenere il permesso di stampa, nel febbraio del 1632, esce il capolavoro della letteratura scientifica di ogni tempo. Ma la carica rivoluzionaria dell'opera scatena immediatamente la reazione dell'Inquisizione, che sequestra il libro e ordina all'autore di recarsi immediatamente a Roma, dove Galileo, «veementemente sospetto d'eresia» viene processato e condannato per aver disobbedito all'ingiunzione del 1616. Nel 1633, dopo cinque mesi, il processo si conclude con la sentenza che proibisce il Dialogo, con l'abiura, e con la condanna al carcere formale. Grazie al suo prestigio internazionale e al suo atto di sottomissione, Galileo non viene incarcerato, ma relegato, prima a Siena presso l'arcivescovo Ascanio Piccolomini, e poi nella villa di Arcetri, presso Firenze.

Vecchio, debilitato e cieco, continua a mantenere rapporti con gli scienziati di tutta Europa; e sotto l'occhio vigile dell'Inquisizione, riprende e porta a termine il capolavoro in cui vengono gettate le basi della dinamica moderna, il trattato Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed i movimenti locali, edito nel 1638 a Leida. Non solo, ma assistito dal fedele allievo Vincenzo Viviani, scrive nel 1640 la Lettera sul candore della luna.

Vigile e sereno, muore ad Arcetri, nel suo «continuato carcere ed esilio», l'8 gennaio del 1642. Le sue spoglie vengono deposte nella basilica di Santa Croce a Firenze solamente nel 1736.

Dialogo dei massimi sistemi

Nel 1623 tutto lascia sperare in una maggiore apertura della Chiesa verso la nuova scienza. Sale sul soglio pontificio, con il nome di papa Urbano VIII, il cardinale Maffeo Barberini, estimatore della «virtù ond'era ornato il signor Galileo» fin dai tempi del trionfale viaggio a Roma, quando, in una solenne adunanza accademica, i gesuiti del Collegio Romano avevano, pieni d'ammirazione, approvato le scoperte celesti dello scienziato. In quello stesso anno, inoltre, grande è il successo conseguito da Il Saggiatore, un’opera polemica dedicata proprio a quel vecchio amico divenuto pontefice.

Dunque, Galileo, oramai convinto di aver dato le prove fisiche della realtà del sistema copernicano, ritiene, illudendosi, che sia giunto il momento atteso pazientemente da ben venticinque anni: il momento in cui finalmente la forza delle argomentazioni, avrebbero potuto ottenere il sopravvento. Così nel 1624, trasgredendo all'ingiunzione di astenersi dal professare, a voce e per iscritto, la teoria copernicana, inizia a scrivere l'opera cosmologica che avrebbe rivelato al mondo un universo nuovo: il Dialogo dei Massimi sistemi.

Non solo, ma in questo capolavoro tanto a lungo meditato, il primo grande scienziato moderno si rivela anche fondatore di una nuova prosa scientifica, di grande e sapiente rigore letterario. La prosa galileiana, infatti, con la sua vena ariostesca, con il suo linguaggio preciso, puntuale, nitido e concreto, con la sua salda e ampia struttura argomentativa, si fa specchio dell'atteggiamento dello scienziato dinanzi alla realtà.

Non può non incidere e non trovare una funzionale rispondenza sul piano linguistico e letterario, il suo metodo scientifico empiristico e sperimentale, che, scagliandosi contro il dogmatismo dei retrivi filosofi in libris seguaci d'Aristotele, si configura non più come conservazione e commento di un sapere ereditario, bensì come ricerca, ipotesi e verifica, come scoperta, innovazione e progresso.

Storicamente importanti e straordinariamente innovative risultano pertanto le operazioni compiute nel Dialogo dei Massimi sistemi. Innanzi tutto, Galileo ritiene che l'Italia, dopo aver fondato la res publica litterarum dell'Europa umanistica, possa ora farsi guida e modello di una res publica scientiarum europea. Quindi, spinto dall'«oramai assoluta insofferenza delle usanze universitarie», elegge come nuova lingua scientifica europea, al posto del latino, la lingua italiana. Inoltre scegliendo il volgare (letterario-bembesco), ed esaltando il valore conoscitivo e comunicativo del linguaggio, intende allargare la cerchia dei lettori, ed includervi i tecnici, i mercanti, gli imprenditori, gli uomini politici e i marinai: insomma i "meccanici", di ingegno libero ed aperto, così tanto disprezzati dai letterati umanisti.

Poi, viene abbandonata la forma tradizionale del trattato di impianto sistematico, e scegliendo la forma del dialogo, si dà vita ad una vera e propria - a dirla con Tommaso Campanella - vivacissima «comedia filosofica», in cui la tesi copernicana, se da un lato, per sfuggire ai sospetti dell'Inquisizione, appare cautamente velarsi e dissimularsi. Dall'altro lato, di contro, sembra rivelarsi e scoprirsi proprio nell'ironia generata dal confronto e dallo scontro tra i tre interlocutori: tra la salda e razionale coscienza scientifica di Sagredo e Salviati - sostenitori del sistema copernicano - e l'ingenuità, «l'instabilità e l'ostinazione» del comico personaggio di Simplicio, «filosofo peripatetico, al quale pareva che niuna cosa ostasse maggiormente per l'intelligenza del vero, che la fama acquistata nell'interpretazioni Aristoteliche».

Ma fatalmente sono proprio le qualità artistiche del Dialogo, l'ironia, la sottile e attenta caratterizzazione umana ed intellettuale dei personaggi, a rivelare, in modo non equivoco, ai contemporanei la portata rivoluzionaria dell'opera, e ad avviare così il suo autore ad un drammatico destino. Per l'appunto, proprio nel ritratto di Simplicio, così audacemente attaccato nelle sue rassicuranti certezze, si riconoscerà il papa Urbano VIII. Quindi il Dialogo dei Massimi sistemi verrà sequestrato, il suo autore verrà processato e costretto ad abiurare, la scienza italiana si chiuderà in ambiti appartati e specialistici, ed i grandi progressi della nuova scienza finiranno per imporsi soprattutto fuori d'Italia.

Anche oggi il Dialogo continua a parlare agli uomini che guardano in alto, con un linguaggio semplice e di una straordinaria purezza, costruendo progressivamente attraverso il dialogo dei protagonisti l’architettura dell’universo, su cui si modella il cielo dell’uomo moderno.

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