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Non intendo sollecitare investimenti.
Chiunque utilizzi spunti derivanti dalla mia analisi  agisce a proprio rischio e pericolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Messaggi di Settembre 2014

ETF Securities lancia in Italia gli Etp sulle valute a leva 5

Post n°1738 pubblicato il 27 Settembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

25/09/2014
I nuovi prodotti, quotati oggi sullo Xetra e sull’ETFplus, offrono altre possibilità di copertura e nuovi approcci d'investimento sui tassi d’interesse

ETF Securities, uno dei provider indipendenti più importanti al mondo di Exchange Traded Product (Etp), ha lanciato il primo set di Etn sulle valute a leva 5 su Borsa Italiana, una serie completa di Euro short e leveraged contro: il Dollaro Australiano, il Dollaro Canadese, il Franco Svizzero, la Sterlina Inglese il Dollaro Statunitense e lo Yen Giapponese (vedi tabella allegata).
L’offerta dei nuovi prodotti sfrutta il successo della preesistente piattaforma di Etp short e leveraged, attualmente la terza più grande in Europa.

Gli investitori italiani hanno dimostrato negli ultimi mesi un grande interesse nell’esprimere le loro visioni tattiche sulle valute nel breve periodo. La piattaforma di ETF Securities di valute a leva 3 ha registrato forti flussi su Borsa Italiana dall’inizio di quest’anno, prevalentemente con il 3x Long Usd/Short Eur, che ha avuto un aumento di volume del 169% e afflussi per 24,6 milioni di dollari americani (fonte: Bloomberg, al 19/09/2014).

Commentando il lancio degli Etp a leva 5 sulle valute, Townsend Lansing, head of Short and Leveraged Platform di ETF Securities, ha detto: “Borsa Italiana ha recentemente annunciato che avrebbe permesso la quotazione di Etp long e short sulle valute fino alla leva 5. Dal nostro punto di vista, questo riflette la fame degli investitori nei confronti di questo tipo di prodotti e siamo orgogliosi di essere i primi a fornirli in Italia. Crediamo che la leva addizionale consentirà prima di tutto agli investitori di usare questi prodotti per proteggersi dal rischio sulle valute e non secondariamente fornirà un’ulteriore opportunità di scambiare a breve termine con competitivi costi di proprietà complessivi.”

Massimo Siano, head of Southern Europe di ETF Securities, ha aggiunto: “L’Italia è il più grande mercato in termini di AuM per la nostra piattaforma short e leveraged, ed è anche il mercato dove abbiamo registrato la crescita più esponenziale. Dato che stiamo potenzialmente entrando in un periodo di aumento dei tassi d’interesse, crediamo che i nostri Etp a leva 5 sulle valute attrarranno un bacino di investitori ancora più grande, interessato a proteggersi dal rischio sulle valute con prodotti quotati indicizzati, liquidi e trasparenti.”

da http://www.etfplus.net


 
 
 

SuperIndice_USA(LEI) in frazionale rialzo ad agosto

Post n°1736 pubblicato il 26 Settembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Venerdì, 19 Settembre 2014

Il Conference Board Leading Economic Index (LEI) per gli Stati Uniti è aumentato dello 0,2 per cento in agosto a 103,8 (2004 = 100), a seguito di un aumento del 1,1 per cento nel mese di luglio, e un aumento del 0,7 per cento nel mese di giugno.

"Gli indicatori anticipatori segnalano una economia che sta continuando a guadagnare trazione, ma molto probabilmente non si ripeterà la sua stellare performance del secondo trimestre nel secondo semestre", ha detto Ken Goldstein, economista del Conference Board.

L'uscita dei  prossimi  dati  è prevista per  giovedi  23 ottobre  2014.

   ^^^^^^^

il LEI è uno dei nostri leading indicator preferiti  poichè:

a) La correlazione tra LEI e PIL è molto elevata  come ci dimostra  Northern Trust nel  grafico, in cui il LEI – anticipato di un trimestre – viene messo a confronto con l’andamento del PIL americano dal 1960 a oggi.

b)  la relazione  tra Leading Indicator e mercato azionario è molto stretta ,  risulta evidente la quasi perfetta correlazione tra le due serie di dati: i punti di massimo e di minimo vengono quasi sempre raggiunti nello stesso periodo.I dati del Leading Indicator anticipano di circa sei mesi i movimenti dell’economia e che la stessa cosa succede con i mercati azionari, Il Conference Board (CB), l’istituto privato che elabora l’indice, considera che un calo del 2% in sei mesi, con la contemporanea flessione della maggior parte dei componenti, possa segnalare l’arrivo di una fase di recessione tra i tre e i nove mesi dopo l’ultima lettura; e viceversa, un rialzo  del 2% in sei mesi possa segnare l'arrivo di una espansione tra i tre e i nove mesi dopo l’ultima lettura .

pertanto noi  continuiamo ad  usare le indicazioni fornite dai  Leading Indicator per  riuscire ad ottenere buoni risultati dall’investimento!

i dieci componenti del The Conference Board Leading Economic Index® sono ora :

Average weekly hours, manufacturing

 

Average weekly initial claims for unemployment insurance

 

Manufacturers’ new orders, consumer goods and materials

 

ISM Index of New Orders

 

Manufacturers' new orders, nondefense capital goods excluding aircraft orders

 

Building permits, new private housing units

 

Stock prices, 500 common stocks

 

Leading Credit Index™

 

Interest rate spread, 10-year Treasury bonds less federal funds

 

Average consumer expectations for business and economic conditions

 


  Click to View

 
 
 

Governo Renzi, rilanciare la domanda o fallire!

Post n°1735 pubblicato il 25 Settembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Flessibilità fiscale per l’Italia ?

 

Con una politica economica fortemente ingessata e uno spazio fiscale residuo pressoché inesistente, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi cerca di ottenere dalla UE margini di flessibilità per un’implementazione più attenuata del fiscal compact.

 

Riteniamo che, semmai tale flessibilità venisse concessa, essa sarebbe largamente insufficiente rispetto all’esigenza di rilancio della domanda interna del Paese. Oltretutto, maggiore flessibilità significherebbe nuovo debito.

 

Lo scorso anno, il deficit di bilancio dell’Italia è rimasto attestato al 3% del PIL e il surplus primario del 2,2%, il più ampio in Europa, ha eguagliato quello della Germania. Sei anni di tasse in aumento, tuttavia, hanno interrotto la crescita e non hanno impedito il continuo aumento del debito, mentre la produzione industriale si è contratta del 25%, l’occupazione è scesa di oltre un milione di unità e la disoccupazione è più che raddoppiata.

 

Non è immaginabile che stimoli adeguati promanino dalla politica monetaria, né che le misure della BCE da sole bastino a riattivare il credito. Né la disoccupazione potrà essere riassorbita da una modesta ripresa delle esportazioni. Non c’è nemmeno ragione per credere che riforme nel campo della giustizia, dell’istruzione, della governabilità e della competitività, per quanto necessarie a modernizzare il Paese, consentano di avviare la ripresa.
 
Un nuovo strumento per crescere

 

In tali condizioni, proponiamo che lo stato italiano emetta dei Certificati di Credito Fiscale (CCF) per assegnarli senza contropartita a imprese e lavoratori in funzione del costo del lavoro sostenuto dalle prime, e della retribuzione netta dei secondi. I CCF non prevederebbero alcun obbligo di rimborso da parte dello stato. A due anni dall’emissione, tuttavia, lo stato s’impegnerebbe ad accettarli per il pagamento di tasse e di qualsiasi altra obbligazione finanziaria ad esso dovuta (contributi pensionistici, previdenziali e sanitari, multe ecc.).

 

I percettori di CCF potrebbero immediatamente convertirli in euro, vendendoli sul mercato finanziario con uno sconto analogo a quello applicabile a un titolo di stato zero coupon a due anni, e spenderli per l’acquisto di beni e servizi. I CCF sarebbero una quasi-moneta. I due anni di differimento servirebbero a dare all’economia il tempo di aumentare la produzione di beni e servizi in funzione dell’accresciuta domanda, generando incassi erariali che compenserebbero la diminuzione degli introiti in euro conseguente ai versamenti effettuati in CCF.

 

Le assegnazioni di CCF rappresentano una notevole riduzione del cuneo fiscale: accrescono il reddito disponibile dei lavoratori e riducono il costo del lavoro per le imprese. Le allocazioni dirette supererebbero l’inefficacia dei meccanismi creditizi tradizionali, generando capacità di spesa senza creare indebitamento. I maggiori redditi disponibili sosterrebbero i consumi mentre la riduzione del costo del lavoro incoraggerebbe occupazione e competitività. La bilancia commerciale resterebbe in equilibrio, in quanto le maggiori esportazioni nette consentite dal recupero di competitività compenserebbero la crescita di import conseguente alla ripresa. Il flusso di allocazioni di CCF e la non esigenza di copertura delle stesse attraverso futura tassazione darebbero luogo a consistenti effetti moltiplicativi della spesa sul PIL.

 

  Impatto dei CCF

 

Con un output gap pari a 300 miliardi di euro rispetto al trend pre-crisi, e ipotizzando stime conservative del moltiplicatore fiscale, l’Italia potrebbe chiudere il gap in 3 o 4 anni, emettendo CCF per 200 miliardi all’anno (con un flusso peraltro modulabile in relazione alla risposta del PIL), senza mai eccedere il limite di Maastricht del 3% e avviando a riduzione il rapporto debito pubblico / PIL. Il taglio al cuneo fiscale diventerebbe permanente, la ripresa della domanda giustificherebbe nuovi investimenti e le migliorate prospettive economiche riattiverebbero il circuito del credito.

 

Peraltro, dato l’alto volume di risorse attualmente non occupate, la nuova spesa indotta dai CCF non alimenterebbe l’inflazione, tenuto conto anche dell’impatto deflattivo dei CCF sul costo del lavoro sostenuto dalle imprese. E comunque, se l’inflazione dovesse moderatamente ravvivarsi, ciò sarebbe coerente con gli obiettivi che la BCE si sta, oggi, sforzando di conseguire.
 
Che ne penserebbero i paesi partner ?

Nelle attuale condizioni di politica economica, nulla può controbilanciare le pressioni deflazionistiche che affliggono le economie periferiche dell’Eurozona, dove la sfida è quella di trovare il modo di sostenere la domanda. I CCF sono la risposta a questa sfida: rilanciano la domanda senza creare debito, poiché i governi che li emettono s’impegnano ad accettarli per il pagamento delle tasse, non a rimborsarne il valore a una qualche data futura.

 

I paesi creditori, comprensibilmente, chiedono il rispetto di vincoli rigidi all’emissione di nuovo debito da parte dei paesi già esposti, ma non hanno ragioni valide per limitare strumenti non di debito, i CCF, che mirano a combattere la depressione. E poiché i CCF non danno luogo a future obbligazioni di debito per gli stati emittenti, la loro allocazione non ricadrebbe tra le regole del fiscal compact e non rientrerebbe nel calcolo del deficit.

 

Rimane, certo, la posizione della Germania, che si oppone a misure utili a sostenere la crescita temendo che il loro successo eliminerebbe lo stimolo all’attuazione delle riforme strutturali che – a suo avviso – sono garanzia del ritorno a una crescita sana.

 

Ma insistere sull’attuazione di riforme strutturali in un contesto di domanda depressa è proprio il modo migliore per impedirne l’attuazione. Le riforme hanno costi di breve-medio termine ed impatti negativi sulla domanda. La stessa Germania, del resto, sforò il limite del 3% nel rapporto deficit pubblico / PIL per riuscire ad avviare le riforme Hartz, nonostante un contesto economico mondiale e, soprattutto, europeo nettamente più favorevole di quello odierno.


In realtà, la soluzione CCF – che è adottabile da ciascuno dei paesi in crisi dell’Eurozona – consentirebbe la ripresa dell’output, rafforzerebbe la sostenibilità fiscale e la possibilità di avviare le necessarie riforme strutturali, in un clima di consenso ottenuto proprio grazie al forte stimolo della domanda reso possibile dai CCF.

http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/

 

nota dell'autore :

il testo riprodotto  è una versione – non una traduzione letterale – dell’articolo uscito su Economonitor. Sarà pubblicato su uno o più siti / organi di stampa (non vi dico quali solo perché più di uno lo sta esaminando, in versioni tra di loro un filo differenti – non nella sostanza, ovviamente !).  A firma congiunta Biagio Bossone – Marco Cattaneo – Warren Mosler – Giovanni Zibordi.


 
 
 

Crisi finanziaria del 1907 : la lezione di J.P. Morgan e l'errore della BCE

Post n°1734 pubblicato il 24 Settembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

 

John Pierpont Morgan era un uomo autorevole e coraggioso. L’imponenza dell’aspetto – in una con il ragguardevolissimo patrimonio accumulato in decenni di attività bancaria – ne facevano, indiscutibilmente, l’uomo più rispettato di Wall Street. E fu dunque a lui che si rivolse il Governo americano quando il Knickerbocker Trust (altra pietra d’angolo della finanza newyorkese) divenne insolvente, avviando la prima crisi sistemica della storia finanziaria contemporanea: il Panico del 1907.

Anche quella crisi era cominciata per i soliti motivi: speculazione alimentata dal credito facile, scommesse sempre più azzardate, mercati in crescita per molto, troppo, tempo e assenza di regolamentazione. Ma se questa era la superficie altamente infiammabile ideale per propalare un incendio, su di essa doveva ancora – come da manuale dello shock finanziario – cadere un qualche cerino ben acceso: alla bisogna sovvenne presto il crollo del prezzo del rame.

Nelle settimane precedenti, il magnate del rame, Otto Heinze si era messo in testa di fare un salto di qualità e controllare completamente il mercato del metallo scalando una delle principali società minerarie: per riuscire nell’impresa doveva indebitarsi a man bassa e pertanto decise di rivolgersi al Knickerbocker Trust, che lo finanziò con generosità. Quando sembrava che tutto potesse andare per il meglio, giunse a guastare la festa una terribile notizia: i Guggenheim avevano scoperto degli immensi giacimenti di rame in Alaska. Naturalmente il prevedibile arrivo di quantità ingenti di metallo sul mercato avviò l’istantanea rovina di Heinze e compari, nonché del venerabile Knickerbocker e delle numerose istituzioni con cui esso aveva relazioni finanziarie. Ne seguì il crollo generalizzato del mercato e una frenetica corsa agli sportelli.

L’enorme naso di J.P. Morgan sentì immediatamente puzza di disastro: messa insieme in un ora la rilevantissima somma di 24 milioni di dollari, egli riuscì a ottenere un ulteriore prestito di 25 milioni dal Governo (la Federal Reserve non esisteva, sarebbe nata solo in seguito a questi fatti) con i quali cominciò a comprare carrettate di titoli e a prestare soldi a istituzioni semi-decotte. L’intervento tempestivo e coraggioso del vecchio Morgan – soprannominato significativamente “Giove” – consentì il superamento della crisi e la ripresa dei corsi in tempi piuttosto rapidi, evitando quella che poteva essere una “grande depressione” ante litteram.

Ecco: questo è esattamente ciò che gli Americani chiamano Quantitative Easing: l’autorità monetaria – Banca Centrale o Governo – stampa danaro e compra asset i cui valori sono depressi (i famosi “titoli tossici”) per riportare fiducia nei mercati, impedire la stretta creditizia e scongiurare la altrimenti inevitabile recessione.

In questa breve digressione ai primi del novecento trovate anche le motivazioni dell’evidente fallimento dell’operazione di Tltro lanciata da Mario Draghi la scorsa settimana: come forse avrete saputo, infatti, un’asta che doveva collocare presso le banche europee circa 150 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva, ha raggiunto “appena” gli 87,5 miliardi. In altre parole le banche europee, innanzi alla generosa offerta di danaro “quasi gratis” hanno cortesemente declinato, lasciando intendere di non avere bisogno di ricorrere ai rubinetti di Francoforte per operare.

Perché? Cosa può indurre una banca a rifiutare danaro facile?

E’ presto detto: le regole di valutazione del merito del credito previste nel contesto della vigilanza bancaria europea sono rigorosissime e, di fatto, impediscono alle banche di iscrivere sui propri bilanci attività di qualità men che eccelsa. A ciò si aggiunga che è attualmente in corso la ben nota “Asset Quality Review”, un test altrettanto attento su ciò che i bilanci delle principali banche già contengono.

E’ un bene dite? Beh, non sarò io ad affermare che le banche debbano prestare soldi a chi non li restituisce o acquistare titoli spazzatura… tuttavia è un fatto che queste regole masochisticamente pro-cicliche impediscono che proprio i settori più deboli dell’economia abbiano ossigeno: il prestatore di ultima istanza (la Bce), come noto, è obbligato a operare solo attraverso le banche; alle banche, d’altro canto, è vietato prestare danaro a chi ne ha davvero bisogno. Il risultato finale è che le stesse banche finiscono per non richiedere nuova liquidità provando, ancora una volta, la natura meramente pubblicitaria delle manovre del mago Mario.

Seguendo le quali, John Pierpont Morgan nel 1907 non avrebbe cavato un ragno dal buco: ci potete scommettere.

 
 
 

Indipendenza Scozia, inutile suspence: vinceranno sicuramente i NO

Post n°1733 pubblicato il 18 Settembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

LONDRA (WSI) - Nel referendum scozzese per l'indipendenza, le probabilità di un si sono scese e sono più basse di quanto suggeriscano i sondaggi, dove spesso la  gente bara. Il miglior modo per capire l'esito delle urne sono i siti di scommesse, dove le persone puntano soldi veri.

Mentre gli scozzesi si stanno recando alle urne, il si è sempre meno scontato secondo gli scommettitori. Il no è dato al 79%. L'affluenza prevista è da record: oltre l'80%.

L'esito del voto popolare rischia di mandare in subbuglio l'intera Europa dove i movimenti che rivendicano l'indipendenza dallo Stato di appartenenza sono numerosi.

Sul sito Betfair l'indipendenza è data 7 a 2 dopo essere stata pagata 3 a 1 alla fine della settimana scorsa. Scommettendo 100 sterline sul 'Si', se ne guadagnerebbero 450. Il "No" in confronto è dato quasi per scontato: garantirebbe solo 127 sterline.

Addirittura la società di scommesse Betfair è così fiduciosa che vinca il comitato del 'No', che sta già pagando chi ha puntato sulla vittoria degli unionisti.

I bookmaker del sito stanno sborsando una somma a sei cifre. Nonostante i sondaggi parlino di un testa a testa, con i 'No' che sarebbero in leggero vantaggio, i mercati non sembrano particolarmente impauriti dalle prospettive di un 'Si'. Questo perchè il trend dei mercati rispecchia quello dei siti di scommesse.

I siti come Betfari e William Hill continuano a dare in vantaggio il campo del 'Better Together' e i mercati finanziari seguono a ruota, dimostrando di fidarsi più dei bookmaker che dei sondaggi.

L'elevata percentuale degli indecisi alla vigilia del voto (10%) porterebbe a pensare a un esito tutt'altro che scontato. Ma ora Betfair vede un 79% di probabilità che vincano i "No".

"Storicamente le scommesse dei bookmaker politici hanno offerto una previsione accurata degli esiti referendari e politici", ha detto Naomi Totten di Betfair.

Da parte loro i mercati finanziari si stanno muovendo con un andamento speculare a quello delle scommesse dei bookmaker.

da wallstreetitalia

 
 
 

BCE: tassi al nuovo minimo storico, parte l’ABS, ma niente QE!

Post n°1732 pubblicato il 05 Settembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

 

Ecco i principali provvedimenti annunciati da Mario Draghi all’attesissima riunione della BCE di questo pomeriggio:
1. taglio del tasso di riferimento dallo 0,15% allo 0,05%;
2. taglio del tasso sui depositi delle banche presso la BCE da -0,1% a -0,2%;
3. 2 aste TLTRO (Targeted Long Term Refinancing Operations), la prima il 18 settembre, la seconda a dicembre. Esse differiscono dai precedenti LTRO (Long Term Refinancing Operations) per la scadenza superiore (4 anni anziché 3), per l’importo (400 MLD rispetto ai precedenti 1000) e soprattutto per essere vincolate all’impiego delle banche a favore del settore privato non finanziario dell’Area Euro. Unicredit, Intesa ed MPS hanno già espresso informalmente l’intenzione di farne richiesta, rispettivamente per 15, 13 e 6 MLD. Se l’emissione dei due LTRO emessi tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 era finalizzata principalmente a sostenere i titoli di stato (al tempo in grossa difficoltà), i TLTRO sono esclusivamente finalizzati ad incrementare il credito delle banche a favore dei privati;
4. Acquisto, da ottobre, di ABS. Gli Asset Backed Security (ABS) sono obbligazioni emesse a fronte di operazioni di cartolarizzazione garantito dagli attivi sottostante. In altre parole, le banche dapprima finanziano famiglie ed imprese, e poi collettivizzano il rischio raccogliendo denaro attraverso l’emissione di ABS, ossia obbligazioni il cui rimborso ed il cui pagamento cedolare è legato alla solvibilità, per l’appunto, delle famiglie e delle imprese cui hanno concesso credito. L’acquisto della BCE degli ABS costituisce un ulteriore canale per fornire liquidità alle banche.

Seppure la resistenza di alcuni membri della BCE (Germania?) ha impedito l’annuncio del QE (modalità con cui la Banca Centrale emette denaro fresco per acquistare titoli di stato), a mio avviso le aspettative sono state complessivamente tutt’altro che deluse.

da http://www.trend-online.com

 
 
 
 
 

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Un blog di: Lucky340
Data di creazione: 04/05/2010
 

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