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Messaggi del 15/11/2014

Risolvere la crisi creando una nuova moneta fiscale_parte 2

Post n°1763 pubblicato il 15 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

parte 2

D26. Le erogazioni saranno pari a 200 miliardi fin dal primo anno ?

 

R26. E’ realistico scaglionare l’intervento nel tempo, perché la maggior domanda dovuta ai CCF stimolerà le aziende a produrre di più, ma rimettere in moto la capacità produttiva oggi inutilizzata richiede tempo. Si può pensare a erogare 90 miliardi il primo anno, salire a 150 il secondo e raggiungere 200 miliardi al terzo. I livelli effettivi e la distribuzione temporale saranno tarati in funzione della risposta dell’economia, facendo in modo che l’occupazione recuperi e senza che l’inflazione risalga in modo eccessivo.

 

 
D27. E la quota destinata alle aziende (ipotizzata, si diceva, in 80 miliardi su un massimo di 200) ?

 

R27. Potrà anch’essa essere modificata nel tempo, sempre con l’obiettivo di mantenere in pareggio i saldi commerciali esteri: né surplus né deficit, se non per importi modesti.

 

 
D28. Il progetto prevede anche l’introduzione dei cosiddetti “BTP fiscali”. Di che cosa si tratta ?

 

R28. Sono titoli di Stato con scadenze varie – anche pluriennali – che (analogamente ai CCF) non pagano interessi e capitale in euro. Interessi e capitali sono pagati in “moneta fiscale”, utilizzabile per onorare impegni finanziari verso la pubblica amministrazione. Esattamente come i CCF, appunto.

 

 
D29. Come verranno introdotti ?

 

R29. In primo luogo, al momento in cui cominceranno le assegnazioni dei CCF, si darà la possibilità a tutti i possessori di titoli di Stato “tradizionali” (BOT, CTZ, BTP, CCT eccetera) di convertirli in BTP fiscali, con scadenze più lunghe e con un tasso d’interesse più alto. Per esempio un BTP con tre anni di vita residua e cedola del 2,5% potrebbe essere convertibile in un BTP fiscale con sei anni di vita residua e cedola del 4,5%. Questa opzione di conversione rimarrà esercitabile (da parte del possessore del titolo) per tutta la vita residua.

 

 
D30. Qual è la finalità ?

 

R30. Si evita che l’annuncio della riforma dia luogo a movimenti speculativi sui mercati finanziari. Se il mercato dovesse reagire negativamente, si potrebbe creare una pressione al ribasso nel valore nei titoli di Stato in circolazione (quelli tradizionali) creando problemi, per esempio, ai bilanci degli investitori istituzionali (banche, assicurazioni eccetera) che li possiedono. Ma se un titolo di Stato è sempre convertibile in BTP fiscali – quindi in un titolo che mantiene sempre, con certezza, un valore, perché è utilizzabile per pagare tasse ecc. e non ha quindi rischio di default – la pressione al ribasso sopra citata incontra una soglia.

 

 
D31. Questo però non è l’unico scopo…

 

R31. No: tanti più titoli “tradizionali” vengono convertiti in BTP fiscali, tanto più diminuisce l’ammontare di titoli che possono dar luogo a default.

 

 
D32. E per quanto riguarda le nuove emissioni ?

 

R32. Anch’esse dovranno avvenire, nella maggior misura possibile, mediante BTP fiscali e non emettendo titoli “tradizionali” (da rimborsare in euro). Il debito in euro, quello che deve essere rimborsato e quindi può dar luogo a default, deve essere ridotto il più rapidamente possibile, idealmente a zero.

 

 
D33. Ci sarà interesse, sul mercato, per queste emissioni di BTP fiscali ?

 

R33. E’ prevedibile che ci sia, anche in funzione del fatto che verranno ridotte – idealmente azzerate – le emissioni di titoli “tradizionali”, e che i loro abituali compratori (specialmente gli investitori istituzionali italiani) dovranno reimpiegare la loro liquidità. Uno strumento d’investimento senza rischio di default è interessante per motivi analoghi a quelli che rendono appetibile un titolo di stato in moneta sovrana.
 

 

D34. Ma i CCF e i BTP fiscali non sono comunque debito pubblico ?

 

R34. Sono una forma di moneta nazionale. Lo Stato italiano li accetterà in pagamento di imposte e altre obbligazioni finanziarie nei suoi confronti, ma non dovrà mai rimborsarli in euro. L’emittente quindi non potrà mai essere forzato al default.

 

 
D35. Quale sarà la reazione dei partner europei ?

 

R35. Il progetto “moneta fiscale”, se adottato da tutti i paesi dell’Eurozona attualmente in difficoltà, è la via per rendere sostenibile il sistema monetario europeo, senza attuare una “transfer union” (che la Germania non accetta). Inoltre, elimina definitivamente il rischio di una deflagrazione dell’Eurozona. Tutto questo senza richiedere alcun contributo finanziario alla Germania, e senza convertire depositi bancari, titoli di Stato e altre attività finanziarie in una moneta destinata a svalutarsi.

 

 
D36. I trattati vanno riformulati ?

 

R36. Nella forma attuale, sono ineseguibili. D’altra parte sono stati concepiti su istanza dei paesi dell’ex area marco, che temono di doversi far carico dei debiti di uno o più paesi del sud. Il progetto “moneta fiscale” produce una forte ripresa economica dei paesi che lo adottano e nello stesso tempo riduce, con l’obiettivo realistico di azzerare, il debito che crea rischio di default.

 

 
D37. Non c’è quindi da attendersi che il progetto “moneta fiscale” venga attaccato in quanto non conforme ai trattati ?

R37. Naturalmente non si può escluderlo. Tuttavia il progetto rende possibile il conseguimento degli obiettivi economici che i trattati si prefiggono, in quanto consente sviluppo economico, occupazione, stabilità monetaria e riduce rapidamente, fino a eliminarli, i rischi di default sui debiti pubblici e i conseguenti dissesti finanziari. Gli obiettivi dei trattati sono conseguiti dal progetto “moneta fiscale”, mentre non lo sono da una serie di altre azioni – l’OMT e le iniziative di sostegno intraprese dalla BCE, in particolare – che peraltro, a loro volta, sono attualmente oggetto di azioni legali (anzi, sull’OMT esiste già una sentenza negativa della Corte Costituzionale tedesca, che ha rinviato il caso alla Corte di Giustizia UE). Si può affermare che il progetto “moneta fiscale” è, rispetto a queste iniziative, almeno altrettanto conforme ai trattati, nonché enormemente più efficace per quanto attiene al raggiungimento dei loro obiettivi.

 

 

D38. Che effetti si verificano riguardo al fiscal compact ?

 

R38. Il fiscal compact impone un percorso accelerato di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL. Per l’Italia (e per vari altri paesi) si tratta di obiettivi totalmente irrealistici. Richiederebbero manovre fiscali pesantissime che abbatterebbero ulteriormente il PIL, e tra l’altro impedirebbero di conseguire la riduzione del rapporto debito / PIL.

 

 
D39. Quindi va abolito ?

 

R39. Oppure va chiarito in maniera inequivocabile che i CCF e i BTP fiscali non sono compresi nel debito, in quanto non creano rischio di default. In questo modo gli obiettivi di riduzione del rapporto debito pubblico / PIL sono raggiungibili. A questo punto gli interessi collimano: il debito pubblico italiano espresso in euro, che la Germania teme, un giorno, di doversi sobbarcare a seguito di un default italiano, scende rapidamente e viene sostituito da emissioni di moneta nazionale italiana (non soggetta a default). Situazione enormemente più tranquilla sia per la Germania che per l’Italia.

 

 
D40. L’emissione di “moneta fiscale” non produrrà inflazione eccessiva ?

 

R40. L’assegnazione di CCF produce un forte recupero della domanda e del PIL, ma questo non è inflazionistico perché in Italia c’è una fortissima quota di disoccupazione, quindi di capacità produttiva inutilizzata. Solo se l’ammontare emesso superasse i livelli che consentono il ripristino della piena occupazione si produrrebbe un eccesso d’inflazione. Va anche ricordato che attribuendo CCF alle aziende in funzione dei loro costi di lavoro, se ne riducono i costi produttivi, e questo ha un effetto mitigante sull’inflazione.

 

 
D41. In definitiva non ci si attende nessun effetto sull’inflazione ?

 

R41. Un qualche incremento è probabile, ma è esattamente quello che serve per riportarla dall’attuale livello zero (con rischio di cadere in deflazione) all’obiettivo BCE del 2%.

 

 
D42. Perché preferire il progetto “moneta fiscale” alla “spaccatura” dell’euro ?

 

R42. Perché è una riforma che può essere tranquillamente discussa e analizzata alla luce del sole e non una “deflagrazione” da attuare di sorpresa, in tempi rapidissimi, con rischi di panico bancario e sui mercati finanziari. Perché non costringe la Germania a lavorare, d’improvviso, con una moneta rivalutata. Perché non c’è svalutazione dei crediti stranieri verso l’Italia. Perché non ci sono effetti redistributivi su aziende e banche, e contenziosi (inevitabili, nel caso della “spaccatura”, in quanto non sarebbe esattamente chiaro quali crediti e debiti si convertono in “Euro Nord” o “Nuovi Marchi”, e quali in “Euro Sud” o “Nuove Lire”). Perché il cittadino italiano non si vede trasformare i suoi risparmi, il suo stipendio, la sua pensione, d’improvviso, in un oggetto diverso.

 

 
D43. Il progetto “moneta fiscale” è applicabile ad altri paesi ?

 

R43. Certamente: tutti i paesi dell’Eurozona che hanno oggi difficoltà, o comunque livelli di competitività inferiori a quelli tedeschi, nonché alta disoccupazione, possono introdurli (anzi è raccomandabile che lo facciano). Ciò nella misura, caso per caso, opportuna per ripristinare competitività e piena occupazione.

 

 
D44. I CCF diventeranno, dopo un certo periodo di tempo, una vera e propria moneta circolante ?


R44. Il progetto funziona anche a prescindere che i CCF vengano utilizzati per transazioni correnti. Tuttavia è probabile che l’utilizzo quotidiano prenda piede e si incrementi, ad esempio usandoli per pagamenti elettronici via carta di credito, e come sottostante nella definizione di contratti di lavoro, affitto, compravendita, eccetera. Dopo qualche anno, si può immaginare che il CCF diventi a tutti gli effetti la moneta circolante principale, riservando all’euro impieghi limitati (ad esempio per particolari transazioni finanziarie).

http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/

 
 
 

Risolvere la crisi creando una nuova moneta fiscale_parte 1

Post n°1762 pubblicato il 15 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

D1. Che cosa propone il progetto “moneta fiscale” riguardo all’Italia ?

 

R1. In primo luogo, di emettere fino a un massimo di 200 miliardi annui di titoli di Stato – i Certificati di Credito Fiscale, o CCF – aventi natura monetaria e non di debito.

 

D2. Che cosa significa “natura monetaria” ?

 

R2. Che lo Stato italiano non si impegnerà a rimborsare questi titoli, bensì ad accettarli, a partire da due anni dopo la loro emissione, a fronte del pagamento di tasse, imposte, contributi previdenziali e sanitari, multe eccetera: qualsiasi obbligazione finanziaria nei confronti della pubblica amministrazione italiana potrà essere estinta utilizzando indifferentemente CCF o euro.
 
D3. Un CCF è quindi una forma di moneta nazionale ?

 

R3. Può essere definita moneta italiana con utilizzo differito.
 
D4. Perché l’utilizzo è differito di due anni ?

 

R4. Perché, nel momento dell’utilizzo, i CCF a parità di condizioni riducono gli euro incassati dallo Stato italiano. Il differimento dà all’economia italiana il tempo di ottenere un significativo recupero di PIL, e quindi anche di entrate fiscali, compensando così l’effetto dell’utilizzo dei CCF quando giungeranno a maturazione.

 

 
D5. A chi verranno assegnati i CCF ?

 

R5. Il progetto attuale prevede tre destinazioni principali. Le aziende private, i lavoratori e lo Stato stesso.

 

 
D6. Per quali dimensioni ?

 

R6. Su 200 miliardi totali massimi all’anno, all’incirca 80 alle aziende private, 70 ai lavoratori e 50 allo Stato.

 

 
D7. Con quali finalità per le aziende private ?

 

R7. Le aziende private riceveranno CCF commisurati ai costi di lavoro da esse sostenuti. E’ previsto un meccanismo a scaglioni, con maggiore incidenza percentuale sui costi pagati a lavoratori con redditi meno elevati. Per ogni 100 euro pagati in retribuzioni, imposte e contributi, l’azienda riceverà 20 euro in CCF. Per i redditi più alti, la percentuale scenderà considerevolmente. Potranno essere previsti meccanismi incentivanti per le aziende che incrementano l’occupazione.
 

 

D8. E per i lavoratori ?

 

R8. Analogo meccanismo, sempre a scaglioni: il lavoratore percepirà, in aggiunta a una retribuzione netta di 100 euro, 20 euro in CCF – con percentuale in discesa per i redditi alti.

 

 
D9. Quindi aziende e lavoratori riceveranno gratuitamente un considerevole importo di CCF, in pratica di moneta utilizzabile due anni dopo l’assegnazione originaria. Che cosa ne faranno ?

 

R9. Chi non avrà esigenze finanziarie immediate, potrà mantenerli come forma di risparmio addizionale. Altrimenti potranno essere monetizzati in anticipo.
 
D10. In che modo ?

 

R10. Si svilupperà un attivo mercato finanziario, in quanto i CCF sono una categoria di titoli di Stato. Ci saranno a regime massimi 400 miliardi di CCF in circolazione (due anni di emissioni, dopo i quali le nuove assegnazioni sostituiranno quelle in scadenza).
 

 

D11. La monetizzazione anticipata comporterà una penalizzazione ?

 

R11. Comporterà uno sconto finanziario, in quanto 100 euro di CCF equivalgono a una banconota da 100 euro che non posso utilizzare se non tra due anni. Ma il valore finale è certo, addirittura più di quello di un BOT a due anni destinato a essere rimborsato in euro.

 

 
D12. Perché è più certo ?

 

R12. Perché lo Stato potrebbe andare in default sui suoi impegni di pagamento di euro, mentre il CCF avrà sempre e comunque un valore.

 

 
D13. Quindi lo sconto finanziario non sarà molto elevato ?

 

R13. Lo determinerà il mercato, ma approssimativamente lo si può stimare in linea con un tasso BOT a due anni.
 

 

D14. Ma chi sarà il compratore di questi CCF scambiati sul mercato ?

 

R14. Il compratore finale sarà un soggetto che avrà esigenze di pagamento nei confronti dello Stato italiano, per tasse o altro, e li utilizzerà quindi alla scadenza.

 

 
D15. Per quali motivo è prevista l’assegnazione di altri 50 miliardi, attribuiti direttamente allo Stato italiano medesimo ?

 

R15. Potranno essere utilizzati per altre forme di sostegno della domanda, quindi di spesa: integrazione di reddito alle categorie disagiate, investimenti pubblici, spesa sociale, interventi di ricostruzione in aree colpite da calamità naturali eccetera.

 

 
D16. Perché viene proposta un’emissione annua di 200 miliardi ?

 

R16. Perché a causa del calo di PIL prodotto nel 2008 dalla crisi finanziaria mondiale, e ulteriormente (soprattutto dal 2012 in poi) dall’eurocrisi, il PIL italiano è fortemente inferiore al suo potenziale.

 

 
D17. In che misura ?

 

R17. Se dal 2007 in poi si fosse avuta una crescita reale media dell’1,5% - tasso considerato già piuttosto modesto in condizioni normali – il PIL 2014 sarebbe più alto di oltre 300 miliardi. Questo è l’output gap da colmare. Una crescita media del 5% all’anno per tre anni è fattibile con la riforma proposta, e colma la maggior parte di questo deficit di PIL.

 

 
D18. Le assegnazioni annue massime previste però sono 200, non 300 miliardi.

 

R18. Perché un’immissione di domanda nell’economia avvia una catena di eventi – il percettore di maggior reddito a sua volta in parte lo spende, aumentando il reddito di altre aziende e/o individui, eccetera. Quindi l’effetto è più che proporzionale.

 

 
D19. La composizione dell’intervento di 200 miliardi – 80 alle aziende private, 70 ai lavoratori, 50 in spesa pubblica – è arbitraria ?

 

R19. La composizione esatta sarà il frutto di decisioni politiche. E’ però fondamentale l’ordine di grandezza destinato alle aziende.

 

 
D20. Perché ?

 

R20. Perché occorre riallineare il costo del lavoro per unità di prodotto italiano a quello dei membri più efficienti dell’eurozona, in particolare della Germania. 80 miliardi sono il 18% circa dei costi di lavoro delle aziende private italiane.

 

 
D21. E questo riporta la competitività italiana a livelli tedeschi ?

 

R21. Esattamente, in modo analogo (anche se con un altro meccanismo) a quanto farebbe la “spaccatura” dell’euro e il conseguente riallineamento valutario.
 

 

D22. Quindi viene meno una fonte di squilibri ?

 

R22. Esatto: se non viene migliorata la competitività italiana, buona parte del sostegno della domanda prodotto dai CCF va ad alimentare la domanda di prodotti esteri e squilibra la bilancia commerciale.

 

 
D23. Invece in questo modo…

 

R23. …le aziende italiane diventeranno immediatamente più competitive ed esporteranno di più, e guadagneranno mercato interno nei confronti delle importazioni.

 

 
D24. Non sarà un danno per la Germania ?

 

R24. No, perché in aggiunta a quanto sopra, l’Italia otterrà anche una forte ripresa economica, il che aumenterà il suo import, compreso di prodotti nordeuropei.

 

 

D25. Quindi rispetto a oggi…

 

R25. Oggi i saldi commerciali italiani sono positivi (partite correnti attive per l’1,5%-2% circa nel 2014), ma solo grazie a una domanda interna molto depressa, che limita le importazioni. Con la ripresa dell’economia, i due effetti si compenseranno – più import per la maggior domanda, maggior export netto per la maggior competitività. La bilancia commerciale italiana resterà in equilibrio, ma a livelli decisamente più alti sia di import che di export.

 

  segue

 

http://bastaconleurocrisi.blogspot.it/

 
 
 

Oltre l’euro,: una nuova moneta fiscale per vincere la crisi_parte 2^

Post n°1761 pubblicato il 15 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

di Marco Cattaneo e Enrico Grazzini

segue dalla parte 1^

Le crisi cicliche della moneta privata

Più si deregolamenta il mercato finanziario, più il mercato mostra i suoi limiti. Nel mercato deregolamentato la circolazione della moneta diventa caotica e soggetta a cicli di sovrabbondanza e di penuria. L'offerta di moneta da parte delle banche è infatti pro-ciclica: più l'economia funziona, più vengono accesi crediti e più crescono i prezzi, soprattutto degli asset finanziari e immobiliari; si formano allora bolle speculative. Quando i primi debiti cessano di essere ripagati, quando si verificano i primi fallimenti, improvvisamente il rubinetto delle banche commerciali cessa di fare fluire la moneta nell'economia e arriva allora la crisi. E con la crisi arriva anche la deflazione: i prezzi stagnano o calano mentre merce rimane invenduta e la produzione si ferma. La disoccupazione impedisce la ripresa dei consumi e della domanda finale.

L'attuale caso europeo di “trappola della liquidità” è esemplare. La BCE cerca di dare ossigeno monetario al sistema – con i limiti imposti dal governo tedesco - ma le banche trattengono la liquidità e non fanno prestiti, in particolare alle piccole e medie imprese. Le banche sono cariche di sofferenze, a causa della crisi economica. Inoltre preferiscono investire nei titoli di stato o nella finanza per ottenere remunerazioni elevate piuttosto che rischiare prestando soldi all'economia reale. La moneta non circola, la domanda manca, le aziende chiudono e l'economia langue o va in recessione

Stato, moneta e democrazia

Tutto questo avviene perché gli Stati, in particolare gli stati dell'Eurozona, non hanno più il controllo della moneta. Uno stato senza moneta è però uno Stato non sovrano: infatti solo controllando la moneta si può mettere in moto la spesa pubblica, ovvero la spesa necessaria per le istituzioni i servizi ai cittadini. Se invece sono le banche private a creare e a controllare il denaro, allora lo Stato diventa inesorabilmente servo delle banche e della loro moneta. Ecco perché non c'è vera democrazia senza gestione nazionale della moneta da parte dello stato e senza il controllo della società civile.

Quando uno stato per finanziarsi dipende dal sistema finanziario nazionale o, peggio, dai mercati finanziari internazionali perché non crea e non controlla la sua moneta, allora diventa uno Stato subordinato e sostanzialmente eterodiretto, uno stato costretto a servire i suoi creditori. I suoi cittadini pagano le tasse per ripagare il debito alla finanza e non possono godere dei servizi pubblici che avrebbero il diritto e la possibilità di godere. E' esattamente ciò che avviene in Italia e nei paesi europei attualmente, in particolare nei paesi del sud Europa.

Occorre sottolineare che non c'è nessun stato che conta nel mondo che non stampi la sua moneta e non abbia la sua banca centrale per proteggere e governare la moneta nazionale. I grandi stati e gli stati emergenti – come USA, Giappone, Gran Bretagna, Cina, India, Russia, Brasile, Corea, Svizzera, Israele, ecc. si basano sulla loro moneta nazionale.

Anche la Germania ha la ...sua moneta: l'euro! La moneta unica impedisce le svalutazioni monetarie dei paesi deboli e le rivalutazioni di quelli forti, esasperando gli squilibri commerciali e finanziari all’interno dell’Eurozona, a favore dei paesi più forti, ovvero dei paesi con la bilancia commerciale in attivo, come la Germania. La Germania, grazie all'euro, non ha mai smesso di governare la sua moneta.

Le proposte di PositiveMoney: la moneta come bene comune

In una prospettiva di riforma radicale del sistema monetario e finanziario, occorrerebbe che la moneta diventasse finalmente un bene comune gestito dallo stato democratico, rappresentante legittimo della comunità nazionale. Sul piano teorico sta avanzando proprio questa prospettiva. Attualmente organizzazioni come PostiveMoney[6] chiedono che:

1) la moneta venga creata e gestita da una Autorità tecnica neutrale indipendente. 2) gli organi rappresentativi dello stato eletti e controllati dai cittadini dovrebbero stabilire in maniera trasparente a chi e per quali fini sarà dedicata la moneta: potrebbe essere distribuita direttamente ai cittadini e al sistema produttivo, o essere utilizzata per diminuire le tasse, per aumentare la spesa pubblica, per diminuire il debito pubblico 3) le banche commerciali dovrebbero mantenere il 100% dei depositi della clientela presso la banca centrale e fungere da intermediari puri. Le banche d'affari dovrebbero essere completamente separate dalle banche commerciali.

Lo Stato dovrebbe emettere nuova moneta fiscale a favore del lavoro e delle imprese

E' ovvio che riforme radicali del sistema finanziario sono difficili e richiedono tempo. Ma è possibile fare subito dei passi in avanti. Innanzitutto è indispensabile e urgente rilanciare la domanda, immettere nuova liquidità nel sistema per rilanciare i consumi e gli investimenti privati e pubblici. Occorre diminuire il peso fiscale senza sacrificare la spesa pubblica per i servizi ai cittadini.

Proponiamo allora che lo Stato italiano emetta gratuitamente a favore dei lavoratori (occupati, disoccupati e pensionati) e delle imprese CCF ad utilizzo differito, validi cioè a partire da due anni dopo l’emissione per pagare qualsiasi tipo di impegno finanziario verso la pubblica amministrazione: tasse, contributi, tariffe, multe, ecc. Il governo italiano emetterebbe CCF per 90-100 miliardi il primo anno, da incrementare, se necessario, nei due anni successivi fino a un massimo di 200 miliardi annui, almeno fino a quando non si verifichi una consistente ripresa della domanda e dell’occupazione[7].

I CCF sarebbero scambiabili sul mercato finanziario analogamente a qualunque altro titolo emesso dallo Stato. Essendo il valore dei CCF garantito dallo Stato, i CCF potrebbero essere utilizzati direttamente come mezzi di pagamento nel mercato interno. Aumenterebbero enormemente e immediatamente la capacità di spesa dei consumatori e delle aziende.

Questa proposta è compatibile con le regole e i vincoli posti dal sistema dell’euro, perché la BCE ha il monopolio sull'emissione di moneta ma ovviamente non sulla creazione di quasi-moneta (come i depositi bancari e i titoli di stato). Ogni stato sovrano ha il diritto di offrire legittimamente sconti fiscali, e quindi anche i CCF. Inoltre i CCF non costituiscono titoli di debito, cioè non devono essere pagati in euro dallo stato, ma rappresentano “solo” dei crediti fiscali.

Il nuovo strumento creato dallo Stato non genererebbe nuovo debito pubblico. Infatti il calo delle entrate pubbliche che si verificherebbe ceteris paribus alla scadenza dei CCF – cioè dopo due anni dalla loro emissione – verrebbe più che compensato dall’aumento dei ricavi fiscali prodotto dal forte recupero del PIL, a sua volta generato dall'incremento di domanda dovuto all'utilizzo dei CCF.

Considerando che la caduta della produzione industriale è stata pari al 25%, e che le risorse produttive (capitale e lavoro) sono oggi fortemente sottoutilizzate, esistono ampi margini di recupero. Il moltiplicatore fiscale sul PIL sarebbe certamente superiore a uno (per ogni euro di CCF emesso il PIL potrebbe aumentare almeno di 1,3 euro). A causa dell'output gap sarebbe possibile immettere nuova liquidità senza aumentare l’inflazione a livelli eccessivi (anzi, impedendo la caduta in una situazione di deflazione cronica).

A puro titolo di esempio, si supponga di assegnare gratuitamente, in tre anni, a partire dal primo gennaio 2015, circa 70 miliardi di CCF ai lavoratori sia dipendenti che autonomi in funzione inversa del loro livello di reddito, così da stimolare la spesa per il consumo; e di assegnare circa 80 miliardi ai datori di lavoro del sistema privato.

Quest’ultimo importo abbatterebbe del 18% circa il costo del lavoro, una percentuale equivalente alla differenza di competitività dell’economia italiana nei confronti della Germania. Si eviterebbe così che l’espansione della domanda interna produca squilibri nei saldi commerciali con l'estero: l'aumento delle importazioni sarebbe infatti bilanciato dalla crescita delle esportazioni derivato dalla diminuzione del costo del lavoro e dall'aumento conseguente di competitività.

Altri 50 miliardi circa di CCF dovrebbero essere utilizzati per finanziare iniziative pubbliche, per esempio per assicurare forme di reddito garantito, per sostenere iniziative ambientali e infrastrutturali, per l'imprenditoria al Sud, per la formazione e per l'occupazione giovanile e femminile, per gli interventi di prevenzione e riparazione dei danni ambientali, ecc.

Grazie alla crescita del PIL, il deficit e il debito pubblico diventerebbero più facilmente sostenibili, con beneficio anche per i creditori nazionali e internazionali. Soprattutto aumenterebbe l'occupazione: l'aumento dell'occupazione avrebbe non solo un enorme significato sociale ma sarebbe il segnale definitivo di uscita dalla crisi.

NOTE

[1] Risolviamo la crisi dell'Italia: adesso! Uscire dalla depressione con l’emissione di “moneta statale” a circolazione interna Manifesto / appello a cura di: Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini, riprodotto (anche in pdf) da http://www.syloslabini.info/online/risolviamo-la-crisi-dellitalia-adesso/

[2] Cattaneo Marco, Zibordi Giovanni “Soluzione per l'euro. 200 miliardi per rimettere in moto l'economia italiana - creare mometa, ridurre le tasse e rilanciare la domanda” con prefazione di Warren Mosler e introduzione di Biagio Bossone, Hoepli, marzo 2014

[3] Vedi Biagio Bossone “ To G-20 Leaders: Urgent Need to Boost Demand in the Eurozonewww.economonitor.com/blog/ , ottobre 2014; Bossone cita Henry Simon, Irving Fisher, John Maynard Keynes, Abba Lerner, Milton Friedman e Ben Bernanke tra gli economisti promotori di soluzioni helicopter money

[4] Colin Crouch “Postdemocrazia” Laterza, 2001; e “Quanto capitalismo può sopportare la società” Laterza, 2014

[5] Bank of England “Money creation in the modern economy”, di M. McLeay, A. Radia e R. Thomas, Quarterly Bulletin 2014 Q1.

[6] Vedi www.positivemoney.org; vedi anche Andrea Baranes “Le banche e il potere di creare moneta”, Sbilanciamoci.info, maggio 2014

[7] Manifesto / appello “Risolviamo la crisi dell'Italia: adesso! Uscire dalla depressione con l’emissione di moneta statale a circolazione interna” già citato


da (7 novembre 2014)

 

da http://temi.repubblica.it/micromega-online/

 

 
 
 

Oltre l’euro,: una nuova moneta fiscale per vincere la crisi_parte 1^

Post n°1760 pubblicato il 15 Novembre 2014 da Lucky340
 
Foto di Lucky340

Un appello di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Luciano Gallino, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini per uscire dalla trappola della liquidità e del debito: “Lo Stato italiano emetta gratuitamente Certificati di Credito Fiscale (CCF) ad uso differito a favore di lavoratori e imprese, una quasi moneta nazionale parallela all’euro”. Obiettivo? Aumentare la capacità di spesa dell’economia senza però creare nuovo debito.

di Marco Cattaneo e Enrico Grazzini

Per uscire dalla crisi lo stato italiano dovrebbe recuperare almeno parzialmente la sua sovranità monetaria. Gli italiani stanno scoprendo sulla loro pelle che lo stato non può fare nulla per uscire dalla crisi se non ha una sua moneta: l'euro è infatti una moneta straniera concepita e creata a somiglianza del marco tedesco, e quindi intrinsecamente deflazionistica.

Senza moneta nazionale, siamo ingabbiati in una doppia trappola, quella della liquidità e quella del debito. Siamo dipendenti dall'euro, dalle decisioni della Germania, il principale azionista dell'Unione Europea e della Banca Centrale Europea: ma né la UE né la BCE ci tireranno fuori dalla crisi, anzi!

Per uscire dalla trappola della liquidità e del debito, Biagio Bossone, Luciano Gallino, Stefano Sylos Labini e gli autori di questo articolo hanno lanciato un appello aperto perché lo stato italiano emetta gratuitamente Certificati di Credito Fiscale (CCF) ad uso differito a favore di lavoratori e imprese[1]. In tal modo lo Stato creerebbe una “quasi moneta” nazionale, parallela all’euro. L’obiettivo è di aumentare la capacità di spesa dell’economia senza però creare nuovo debito, rispettando cioè i parametri (rigidi e assurdi) imposti dalla moneta unica, in attesa di potere riformare radicalmente il sistema monetario europeo senza più essere sotto il pesante ricatto della crisi economica incombente[2].

Riteniamo infatti che un'uscita unilaterale dall'euro, propugnata da economisti come Alberto Bagnai e altri, è difficilmente praticabile, e avrebbe comunque esiti molto incerti, per non dire pericolosi e negativi. L'emissione massiccia (fino a 200 miliardi di euro) di nuova moneta fiscale potrebbe invece rilanciare l'economia italiana che dall'inizio della crisi ha perso 11 punti di PIL e ha conosciuto una caduta della produzione industriale del 25%. Un disastro di proporzioni inaudite che a causa della politica deflazionistica dell'Europa di Juncker-Merkel-Gabriel rischia di prolungarsi all'infinito e di approfondirsi ulteriormente.

Con una logica analoga a quella dell'helicopter money (denaro gettato dall'elicottero), di cui insigni economisti discutono da decenni, i CCF dovrebbero essere emessi dallo stato e distribuiti gratuitamente all'economia reale, cioè ai lavoratori e alle aziende, senza passare dal sistema bancario[3].

Il governo Renzi schiacciato dalle politiche deflazionistiche della UE

Siamo entrati nell'era della post-democrazia: la democrazia è svuotata e comanda solo una elite ristretta, l'1% della popolazione. La finanza ha un ruolo dominante[4]. Ma la post-democrazia in Italia e nei paesi mediterranei dell'eurozona è ancora peggiore. L'economia è diretta, su base formalmente legale, da organi sovranazionali mai eletti, come la Commissione UE e la BCE, e in effetti da stati esteri egemoni sulle istituzioni sovranazionali, come la Germania. I centri di potere sono fuori dai confini (e dalla giurisdizione) nazionali. L'Italia, senza alcun potere monetario, rischia di diventare, o è diventata, una semicolonia.

Il governo Renzi cerca faticosamente – e inutilmente – di ottenere dei piccoli sconti dalla Commissione Europea che intende continuare a stringere i bilanci pubblici fino a soffocare l'economia dei paesi del sud Europa. Il premier, stretto dai pesanti vincoli imposti dalla UE e dalla BCE, al di là della retorica nuovista e modernista, e al di là delle schermaglie con il presidente europeo Jean-Claude Juncker, è costretto ad attuare una politica apertamente anti-sindacale ed esattamente opposta a quella di una sinistra riformatrice e realmente moderna. Altrimenti dovrebbe rompere i trattati vigenti.

L'Europa e la BCE pretendono le (contro) riforme di struttura: abbassamento del costo del lavoro, riduzione del welfare, privatizzazioni dei beni pubblici, riforme istituzionali, riduzione del bilancio pubblico, ecc. E Renzi prosegue, anche se con apparente contrarietà, precisamente la politica di austerità dettata dall'Unione Europea e dall'euro: va avanti con i tagli al costo del lavoro e al welfare – sanità, istruzione, enti locali, ecc – e con l'aumento delle tasse, in sostanza sulla stessa linea del rigore suicida avviata da Monti e Letta.

Lucidamente, Renzi ha avviato con Berlusconi controriforme della Costituzione ed elettorali in senso autoritario e antidemocratico. Renzi sembra perfettamente consapevole che è impossibile fare le sue controriforme sociali senza “riformare” in senso autoritario e decisionista le istituzioni rappresentative nate nel dopoguerra dalle forze democratiche che avevano partecipato alla Resistenza contro il fascismo e il nazismo.

La BCE boccia le banche italiane e salva le banche tedesche e francesi

Il vero problema di Renzi è che la situazione economica e sociale peggiora sempre di più. L'ultimo colpo all'economia italiana è stato dato dalle pagelle che la BCE ha distribuito alle banche europee, penalizzando in particolare quelle italiane. L'Unione Bancaria Europea è cominciata condannando le banche italiane, mentre le banche del nord Europa – che operano con leve finanziarie elevatissime, pari anche a circa 30 volte il loro capitale, e che si dedicano più di quelle italiane al trading speculativo – sono state stranamente risparmiate. Germania promossa, Italia bocciata.

Le banche italiane dovranno ricapitalizzarsi ricorrendo ampiamente al capitale estero: e così, dopo che gran parte del sistema industriale nazionale – Fiat, Pirelli, Telecom, ecc – è migrato o sta migrando all'estero, nel sacro nome dell'Europa anche le nostre banche e il nostro risparmio stanno cadendo in mani straniere. I casi MPS e anche Unicredit sono la prova evidente della internazionalizzazione (subordinata) delle banche italiane. L'economia italiana si sta smembrando e le banche italiane sono prede importanti.

La BCE sta favorendo la creazione di Banche Troppo Grandi per Fallire, cioè sta esattamente creando le condizioni per la prossima grande crisi finanziaria in Europa (e la probabile rottura dell'euro). Infatti è chiaro che, a dispetto degli stress test, senza un comune fondo pubblico europeo – sul quale il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha posto il veto – qualsiasi grande banca europea in difficoltà non potrebbe essere salvata, e crollerebbe trascinando in rovina l'intero sistema bancario e l'eurosistema.

Occorre allora che i governi, in quanto eletti democraticamente dai cittadini – a differenza degli organi esecutivi della UE e della BCE – intervengano decisamente a favore degli interessi della comunità nazionale.

Stato democratico e moneta dovrebbero essere fratelli e rappresentare elementi inseparabili: i cittadini/contribuenti e i loro rappresentanti dovrebbero decidere come controllare l'emissione e la distribuzione della moneta. Ma la realtà è molto diversa: gli stati non controllano, o controllano in maniera solo molto parziale, la moneta.

Bank of England spiega che il denaro è creato dal nulla dalle banche

La situazione attuale è che il sistema bancario privato crea “moneta dal nulla”, e che la banca centrale e lo Stato hanno solo poteri residuali nel campo decisivo della moneta e del credito. Nelle economie moderne il 95 per cento della moneta è creata dalle banche con scrittura elettronica sotto forma di creazione di depositi. Le banconote emesse dalla banca centrale e le monete di conio rappresentano meno del 5% della moneta attualmente utilizzata.

Quindi non sono gli Stati e neppure le banche centrali. a creare la maggior parte del denaro che ci permette di effettuare transazioni e pagamenti. Sono le banche a creare denaro dal nulla, creando prestiti, cioè generando debiti. Il mondo conta ormai 100 triliardi di debiti, una somma insostenibile che non potrà mai essere ripagata. La causa di questa montagna crescente di debiti è che il 95% della moneta viene emessa dalle banche con il computer sotto forma di debito.

La moneta-fiat - ovvero la moneta che non ha un valore intrinseco, come invece hanno per esempio le monete d'oro, e che quindi è un classico bene comune, in quanto può avere valore solo se viene condivisa e se rappresenta la fiducia della comunità – è diventata un bene privato delle banche per il profitto delle banche stesse.

Queste semplici verità, ben conosciute dagli economisti, sono tanto incontrovertibili e clamorose quanto poco note al largo pubblico. E non nascono da teorie cospirative o dalla mente di qualche economista paranoico. La spiegazione di come viene creata la moneta è ufficializzata da un recente bollettino trimestrale della Bank of England intitolato “Money creation in the modern economy[5].

Nelle economie moderne la maggior parte della moneta acquista la forma di depositi bancari. Tuttavia il fenomeno della creazione di depositi bancari è spesso frainteso: il mezzo principale di creare depositi consiste infatti nella produzione di prestiti (cioè di crediti/debiti, ndr) da parte delle banche commerciali. Ogni volta che una banca fa un prestito, simultaneamente crea un deposito nel conto della banca del debitore, e perciò crea moneta”.

Così continua a spiegare la Banca d'Inghilterra: “La realtà di come la moneta viene creata attualmente differisce dalla descrizione che si trova normalmente nei testi di economia: infatti la banca crea (dal nulla, ndr) i depositi, mentre normalmente si pensa che riceva dei depositi legati al risparmio delle famiglie, e che solo successivamente faccia dei prestiti. Normalmente la banca centrale non fissa l'ammontare della moneta in circolazione e non è neppure vera la teoria del moltiplicatore, per cui la moneta emessa dalla banca centrale genera una moltiplicazione di depositi e prestiti.

Insomma neppure le banche centrali riescono a controllare la circolazione monetaria: piuttosto basano la loro politica monetaria sulla fissazione del prezzo delle riserve bancarie, cioè sul tasso primario di interesse.

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 04/05/2010
 

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