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Primarie del Partito Democratico: vota LETTA

 

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Chi dopo Prodi? Enrico Letta. E' l'uomo giusto al posto giusto

Post n°36 pubblicato il 28 Dicembre 2007 da gallicese
 

E se dopo il governo Prodi ci fosse un governo Letta? Non nel senso di Gianni, l'anziano braccio destro di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Governo Letta nel senso di Enrico, il giovane braccio destro di Romano Prodi nell'attuale governo di Centrosinistra?

L'ipotesi non è del tutto peregrina.Anzi, nei Palazzi più alti-compreso il Colle- è sotto attento esame Prodi, si sa,nonostante yuna conferenza stampa di fine anno lucida e battagliera, annaspa nei sondaggi e nelle contraddizioni della sua maggioranza litigiosa e impotente, prendendo sberle da tutte le parti, al di là dei suo stessi demeriti. Sicché il governo tira a campare per non tirare le cuoia, senza la forza politica e parlamentare necessaria per affrontare quelle azioni strutturali di cui il Paese ha bisogno, quei nodi-dalla politica estera, al deficit energetico, dalle grandi infrastutture, alla questione fiscale e ai nodi della bioetica-che culminano nella riforma delle riforme, quella elettorale, per superare la “porcata” di Calderoli, madre dell'ingovernabilità e del finto bipolarismo all'italiana, in cui i piccoli partiti, con i loro poteri di veto, contano più dei grandi.

Bene, se, come tutti concordano, sono vere queste due premesse:

1) non si può fare a meno della riforma elettorale (anche perché sullo sfondo c'è la minaccia del referendum cui il 16 gennaio la Corte Costituzionale dovrebbe dare il via libera);

2) la maggioranza che sostiene Prodi da sola non ce la fa,nè è in grado di attrarre i voti necessari dal Centrodestra.

Come si esce dal cul de sac? Sciogliendo le Camere e indicendo nuove elezioni?Con questa legge elettorale saremmo punto e daccapo.Stessa ingovernabilità, stessa maggioranza risicata al Senato.Unica differenza più che probabile, SilvioBerlusconi a Palazzo Chigi.

Se si vuole invece imprimere davvero una svolta, fau uscire davvero il Paese da un impasse che rischia di sprofondarlo nel declino e avviare quella democrazia che decide auspicata da tutti e in particolare da Walter Veltroni, se ne esce in un solo modo: con un governo forte, che perciò non può che essere bipartisan, frutto cioè della convergenza dei voti sia della destra che della sinistra. Un governo del Presidente, che si cerchi i voti bipartisan in Parlamento sulla base di un programma asciutto ed essenziale: la riforma elettorale e magari anche quella istituzionale e dei regolamenti parlamentari. Un governo ponte, che ci porti al voto nel 2009, in concomitanza con le elezioni europee (facendo così contenti i parlamentari di prima nomina, che così si sarebbero portati a casa la certezza della pensione e non ostacolerebbero più lo scioglimento anticipato delle Camere).

Ma quale nuovo governo? Guidato da chi? Di nomi ne sono circolati molti, ma nessuno convince del tutto, per un motivo o per l’altro. Si è parlato di Franco Marini, seconda carica dello Stato, ma non è giovanissimo, è un po' old e non brilla per la capacità di guida dell Senato. Si è parlato del sempreverde Giuliano Amato, ma la sua performance al ministero dell'Interno è stata insoddisfacente e non gli giovano le contraddizioni del suo passato socialista. Si è parlato del governatore di Bankitalia Mario Draghi, ma è ancora politicamente molto acerbo, un corpo estraneo alle manovre del Palazzo romano, un marziano. Si è parlato di Gianni Letta, ma, sebbene si sforzi di definirsi un tecnico e giuri di non essere mai entrato in una sede di Forza Italia, è identificato come l'alter-ego di Berlusconi, sicché proporlo equivarrebbe a un ribaltone in una legislatura in cui comunque ha vinto il Centrosinistra, anche se di pochissimo.Si è parlato di Mario Monti, ma ormai se n'è parlato troppo e la sua candidatura ha ormai perso lo smalto iniziale.E poi è un economista, non è detto che sia un leader. Si è infine parlato di Luca di Montezemolo,il più brillante e smart ma, pur stimato dai massimi vertici dello Stato, non è considerato in possesso dello standing e del profilo politico-istituzionale necessari.Lo sarà dopo le elezioni, se nel frattempo sarà sceso in campo e si sarà battezzato alla politica. E allora?

E allora eccola la candidatura vincente, quella del giovane ex democristiano e popolare Enrico Letta, delfino con Dario Franceschini di Franco Marini. Ha una buona caratura politica essendo stato stato presidente dei Giovani Democristiani Europei (1991-1995), vicesegretario nazionale del Partito Popolare Italiano (1997-1998), responsabile nazionale per l'economia della Margherita (dal 2001). Ma ha un forte profilo tecnico, da grand commìs dell'Ena,, apprezzatissimo da Carlo Azeglio Ciampi sin da quando lavorò al suo fianco ai tempi dell'introduzione dell'euro, come segretario generale del Comitato Euro del Ministero del Tesoro (1996-1997). Vanta una non banale esperienza internazionale: alle elezioni europee del 2004 è stato eletto parlamentare europeo per la lista di Uniti nell'Ulivo nella circoscrizione nord-est, ricevendo 176 mila preferenze. Iscritto al gruppo parlamentare dell'Alleanza dei Liberali e Democratici per l'Europa, è stato membro della Commissione per i problemi economici e monetari; della Commissione temporanea sulle sfide e i mezzi finanziari dell'Unione allargata nel periodo 2007-2013 e della Delegazione per le relazioni con i paesi del Maghreb e l'Unione del Maghreb arabo (compresa la Libia).

Last but non the least, ha appena 41 anni ma ha già una buona esperienza di governo: è di fatto il numero due (sempre più autorevole) di Prodi, per il quale ha gestito le partite economiche più importanti, a partire dalla riforme del welfare e delle pensioni. Ma è stato apprezzato ministro per due volte: delle Politiche Comunitarie (1998-1999) e dell'Industria (1999-2001).

Ed è uno dei 45 membri del Comitato nazionale per il Partito Democratico. Non è un veltroniano (anzi, si è presentato alle primarie del 14 ottobre come antagonista del sindaco di Roma, riscuotendo un ottimo successo personale, ma stando attento a non rompere troppo, come invece ha fatto la Bindi) e questo potrebbe essere un plus, specie tra i dalemiani e i cattolici.

Del Pd ha un’idea molto precisa: "Vorrei fare in modo che il nuovo partito sia costruito un po' come l'enciclopedia Wikipedia, un po' come un quadro di Van Gogh. Come accade con Wikipedia, anche nel Pd ognuno delle centinaia di migliaia di partecipanti deve portare il proprio contributo, le proprie competenze, che in certi campi sono di sicuro maggiori delle mie e di quelle dei leader del Centrosinistra. E, come i quadri di Van Gogh, il nuovo partito deve avere tinte forti: un giallo che sia giallo, un blu che sia blu".

Raccoglie il sostegno di varie personalità e gruppi del Centrosinistra: stanno con lui il ministro delle Politiche Agricole, Paolo De Castro, l'associazione Innovatori Europei, personalità politiche quali Davide Corritore, suo riferimento a Milano, l'europarlamentare ex Ds Gianni Pittella, il presidente della Commissione esteri della Camera Umberto Ranieri, l'ex sottosegretario agli interni Giannicola Sinisi, amministratori locali come il presidente della regione Basilicata Vito De Filippo e il sindaco di Piacenza, Roberto Reggi. Ha espresso sostegno alla sua candidatura anche l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

A destra ha buoni rapporti, che potrebbero rivelarsi preziosissimi,  con Giulio Tremonti, con il quale condivide l'appartenenza all'Aspen Institute, "un'associazione internazionale non-profit dedicata alla discussione, all'approfondimento e allo scambio di conoscenze, informazioni e valori", di cui Enrico Letta è stato vicepresidente e di cui fanno parte Margaret Thatcher, Jimmy Carter e Condoleezza Rice.

E infine è il nipote di Gianni Letta, che, insieme con Tremonti, potrebbe fargli da sponda all'interno dei partiti dell'opposizione. Conosce e ben gestisce il mondo dei media (apprezzatissima e originale la sua discesa in campo nelle primarie del Pd attraverso un video su You Tube, come Hillary Clinton). Si muove molto bene tra i giornalisti anche perché ne ha in casa una,  la brava Anna Fregonara, del Corriere della Sera, sposata in seconde nozze, che gli ha dato due figli. E infine sa essere molto ricercato e trendy quando riunisce i trentenni di successo attorno ai tornei di subbuteo e calcio balilla, gioca a calcetto e glorifica gli anni '80.

Il suo programma di governo è già scritto in quel Viaggio nell'economia italiana, scritto a quattro mani pochi mesi fa con un collega, Pierluigi Bersani, cui è legato da un rapporto di stima e amicizia. Un libro su quei distretti industriali, diffusi a macchia di leopardo su tutto il territorio italiano, molto numerosi al Nord e al Centro, che rappresentano un mondo dinamico cui si deve il cinquanta per cento delle esportazioni e dell'immagine dell'Italia all'estero, dai gioielli all'abbigliamento, fino agli alimentari. Negli ultimi tre anni, però, questo settore ha conosciuto un calo dell'export pari a sei miliardi di euro. Nel volume, risultato di un viaggio compiuto dai due ex ministri invitati dagli imprenditori per una serie di incontri e dibattiti, si tocca con mano un'Italia silenziosa, ma ricca di idee, cui è necessario dare fiducia e misure concrete.LìItalia su cui punta Letta. 

Nel suo ultimo libro, uscito pochi mesi fa, era stato profetico, fin dal titolo: "In questo momento sta nascendo un bambino" (Rizzoli 159 pagine). Letta racconta la politica italiana utilizzando la prospettiva di un bambino che nasce oggi, partendo da tre semplici parole-chiave: mobilità,libertà, natalità.

In quel libro, nella sua introduzione, è contenuto il suo metodo e il suo possibile programma:

"In questo momento, in un ospedale italiano sta nascendo un bambino. Quale scuola lo accoglierà nel 2013? Quali possibilità gli aprirà l’università nel 2025. Troverà un lavoro che gli consentirà di affrontare serenamente le responsabilità di una famiglia, o sarà costretto a restare troppo a lungo nella casa dei genitori, per mancanze di alternative? La sua vita adulta sarà zavorrata dalla montagna di debiti accumulati dalla generazione precedente, come accade agli italiani di oggi? Se è una bambina, avrà uguali opportunità di realizzazione?

Sono alcune domande che una politica degna di questo nome dovrebbe mettere al centro della sua attenzione, invece di accontentarsi di navigare a vista tra gli egoismi personali e il bisogno di mantenere il potere conquistato. Lo scopo di una politica che può ancora appassionare i cittadini deve essere la costruzione del futuro".

Eccolo dunque l'uomo giusto al posto giusto? Se Prodi non ce la fa, Enrico Letta, molto stimato al Quirinale, ha il curriculum giusto

Affari Italiani

 
 
 

DIECI PUNTI PER AVVIARE UNA RIFLESSIONE SUL RUOLO DEL PD PER CAMBIARE LA CALABRIA

Post n°35 pubblicato il 03 Ottobre 2007 da gallicese
 

1)IL RUOLO NUOVO DELLE ISTITUZIONI

La Calabria non ha ancora un assetto istituzionale adeguato al quadro delle responsabilità che risulta dalla più recente Riforma Costituzionale, e che riscuota una credibilità propria non condizionata dall’influenza troppo spesso negativa dei rappresentanti politici.
Malgrado gli sforzi della parte autenticamente riformista, permane una resistenza per il mantenimento di un forte centralismo regionale al quale si contrappongono le fortissime difficoltà, finanziarie e gestionali, in cui versano gli Enti locali.
Spetterà al Partito Democratico, contribuire alla definizione completa e ordinata di un nuovo assetto istituzionale in cui alla Regione spetti solo il compito di programmare e di porre, insieme al governo nazionale, le condizioni perchè gli Enti locali gestiscano autonomamente e con efficacia la cosa pubblica in un sistema di premialità istituzionale.
Contestualmente saranno aboliti tutti gli enti intermedi, privi di rilevanza costituzionale per mettere fine alla proliferazione insensata delle sedi decisionali e al loro progressivo sfaldamento.
Spetterà, inoltre, al Partito Democratico promuovere, tra cittadini e amministratori, attenzione e comportamenti innovativi la cui mancanza ha impedito, finora, l’esecutività delle riforme intraprese e il miglioramento della qualità delle stesse riforme che necessitano comunque di revisioni.

2) RILANCIO DELLA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA

Una comunità cresce se le scelte avvengono attraverso la partecipazione attiva dei suoi individui, basata sul coinvolgimento e sulla responsabilità di ciascuno.
Occorre allargare la base economica e sociale della partecipazione, coinvolgere i soggetti tradizionalmente ai margini dei processi decisionali, perché demotivati o esclusi, eppure portatori di saperi e esperienze determinanti per la qualità finale delle decisioni.
Una politica di qualità non puٍ fare a meno della partecipazione, che non significa deresponsabilizzazione nel momento delle scelte, ma al contrario la chiara individuazione dei centri di responsabilità.
Rilancio della democrazia partecipativa significa anche porre un freno alla crisi di rappresentanza della politica e una migliore qualità della programmazione.
La democrazia partecipativa vuole, dunque, correggere i diversi punti deboli del nostro sistema democratico.

3) LEGALITA’ ED EFFICIENZA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Oggi, in Calabria, il tema della legalità è fortemente interconnesso alla necessità di ridare efficienza e trasparenza alla pubblica amministrazione regionale.
Fino a quando la criminalità si potrà nutrire anche del cattivo funzionamento delle istituzioni le buone intenzioni si sprecheranno.
Per questo occorre anzitutto una strategia basata sui fattori di contesto che richiedono un forte miglioramento delle capacità istituzionali e dell’azione complessiva della P.A. calabrese.
Smantellamento dei privilegi, meritocrazia, impossibilità di rivestire cariche a qualunque titolo nella P.A. a quanti abbiano avuto precedenti di giustizia, utilizzo della potestà regolamentare per strumenti di contrasto originali nella gestione degli appalti e dei fondi pubblici già in uso in altre realtà.
La legalità più che un risultato, deve essere un processo. Un processo di integrazione all’istruzione, alla occupazione regolare, alla vita democratica.


4) COSTI DELLA POLITICA OVVERO SOBRIETA’ IN POLITICA

E’ necessario rivedere i regolamenti del funzionamento del Parlamento, degli organi regionali e degli Enti locali per giungere ad una effettiva riduzione dei costi della politica attraverso la soppressione di enti, commissioni, comitati, osservatori che risultino ad oggi inutili o improduttivi.
E’ dalla necessità del buon funzionamento degli organi che deve discendere il numero degli eletti che, quindi, riteniamo vada rivisto e ricondotto alla ottimizzazione del rapporto tra rappresentanza e funzione di governo.
Tutto ciٍ nella consapevolezza che il problema dei ‘costi della politica’ non è rappresentato dai costi in sé ma dall’attuale deficit di rendimento istituzionale.
Un’attenzione particolare dovrà essere posta, dunque, alla capacità di produrre beni pubblici di qualità che giustifichino i costi, comunque da ridurre, sostenuti dalla collettività.


5) LEGISLAZIONE REGIONALE DI QUALITA’

Il complessivo impatto sul sistema regionale sia delle riforme del titolo V della Costituzione, sia delle altre riforme che le hanno precedute e seguite, non è stato ancora colto appieno nella nostra regione.
Il mancato intervento legislativo regionale su tutta una serie di importanti ambiti, non è solo un atto necessitato dalla circostanza che molti settori prioritari della vita calabrese sono ormai saldamente nelle mani della Regione.
Nel nuovo quadro emerso dalle riforme costituzionali, è la autonoma prerogativa che abbiamo di migliorare la nostra capacità istituzionale e l’azione complessiva della pubblica amministrazione locale.
Al contrario la politica legislativa della nostra assemblea è insufficiente.
C’è un uso ampiamente propagandistico della legislazione regionale.
Molti annunci, soprattutto nella fase di presentazione.
Pochi risultati.
Soprattutto una scarsa cultura del monitoraggio, dell’analisi d’impatto, che ci impedisce di avere un quadro d’assieme delle risultanze della nostra attività, della attività legislativa.
Oppure leggi regionali sempre più “leggi manifesto”, impregnate di buoni propositi e di dichiarazioni di principio cui non segue nessun concreto beneficio per i cittadini.
Su questo argomento è possibile fare di più immediatamente, a partire da una legislazione che, attraverso le più recenti tecniche di analisi di fattibilità e analisi d’impatto della regolazione, misurino l’effettiva qualità della legislazione regionale per la vita dei cittadini.
Solo con questo tipo di attenta riqualificazione dell’attuale ordinamento legislativo sarà possibile procedere a una nuova e ordinata impalcatura legislativa che, attraverso la realizzazione di testi unici di settore, sia anche di sostegno, e garantisca l’attuazione della programmazione della spesa regionale, nazionale e comunitaria.


6) UN NUOVO FEDERALISMO FISCALE

Gli obiettivi posti dal patto interno sono stati sempre costantemente rispettati, ma ogni anno aumentano le situazioni di difficoltà da parte di singoli enti, la cui allocazione geografica si addensa nelle regioni con livelli di spesa pro capite meno elevati e maggiore dipendenza da trasferimenti esterni.
Ciٍ fa prevedere, che nel prossimo esercizio, nel quale la disciplina del patto è appuntata di nuovo sul saldo, gli enti dotati di scarse basi imponibili, come la Calabria, disporranno della sola leva della moderazione della spesa per rispettare l’obiettivo.
In questo quadro, il nuovo federalismo fiscale che proponiamo è quello basato su un saldo territoriale regionale, che abbia in considerazione la valutazione del PIL regionale.
Ciٍ significherebbe responsabilizzare unitariamente tutte le forme di governo territoriali, e “costringerli” ad affrontare il governo della cosa pubblica in un’ottica integrata.
I sistemi di monitoraggio e controllo andrebbero definiti a livello regionale, cosى come le incentivazioni per le Amministrazioni che hanno rispettato i vincoli e le sanzioni da irrogare agli enti inadempienti.
Tra le incentivazioni e le sanzioni si possono, rispettivamente, prevedere meccanismi premiali o penalizzazioni per il ricorso ai finanziamenti regionali, e queste misure possono essere graduate in relazione alla distanza dal raggiungimento dell’obiettivo.
La perequazione a sostegno delle regioni più povere deve essere visibile.
Di contro potranno essere individuati una serie di indicatori, che dimostrino come il grado di evasione fiscale sia effettivamente ridotto al minimo, e ad essi legare misure di incentivazione o di sanzione.


7) FINE DEGLI INCENTIVI ECONOMICI NON GARANTITI

La Calabria è la regione con il più alto grado di truffe alla UE sugli incentivi per la creazione di nuova occupazione.
Ciٍ determina, la necessità di investire nella crescita di una cultura imprenditoriale e del lavoro regolare, ma anche di migliorare di molto la capacità amministrativa di programmare e gestire le politiche di incentivazione.
Tali politiche devono essere maggiormente ispirate a principi di mercato e strutturate su meccanismi di competizione, che privilegino la selezione in base al merito e alle potenzialità concrete di ciascuno.
La valutazione dovrà premiare qualità progettuale, competenza e capacità, ma anche guardare alla sostenibilità nel tempo dell’investimento oltre che alla sua fattibilità immediata.
Un ruolo cruciale occorre assegnare al sistema dei controlli, tanto sul piano procedurale di assegnazione del finanziamento, quanto su quello delle realizzazioni e degli impatti prodotti.
Il rafforzamento dei controlli tecnici anche, e soprattutto, per consentire e garantire la capacità di “controllo politico” sulle “promesse” degli impatti degli investimenti, in particolare quelli ad alta attesa sociale come l’occupazione e la crescita del benessere e della qualità della vita.


8) NUOVO WELFARE REGIONALE

Il sistema di welfare regionale risulta, ormai da tempo, inadeguato rispetto a una domanda sociale sempre più drammatica e pressante.
La Calabria è la regione con la più bassa spesa pro capite per servizi sociali della nazione.
Anche i più recenti provvedimenti regionali non vanno nella direzione della costruzione di un sistema adeguato agli standard già raggiunti in altre aree del Paese.
Alleggerire il carico familiare per la cura alle persone, specie bambini e anziani, che oggi grava maggiormente sulle donne produrrà come effetto una maggiore partecipazione delle donne alla vita sociale e lavorativa.
Si favorirà la realizzazione di un sistema integrato di diritti e servizi sociali, gestito dagli enti locali, con il concorso del terzo settore di qualità che opera nella regione.


9) SERVIZI PUBBLICI LOCALI

La Calabria vive da dieci anni il commissariamento di settori strategici del comparto dei servizi pubblici locali.
Ciٍ determina una pesante e involuta disarticolazione del settore che, al contrario, per essere produttiva ed efficiente abbisogna di una forte e convinta gestione unitaria.
Altrove la gestione di questi servizi produce ricavi, redditività e occupazione.
Si puٍ avviare, anche da noi, una industria calabrese dei servizi, rispettosa dei principi di universalità, socialità, accessibilità, eguaglianza, continuità, qualità, trasparenza, ma anche dei criteri di concorrenza.
Per questo si avvierà un processo di riforma nel settore dei servizi pubblici locali definendo un “patto” fra i protagonisti di questo settore - Regione, Comuni, aziende, sindacati, consumatori – con l’obiettivo di intraprendere politiche industriali che producano il miglioramento della qualità dei servizi a costi sostenibili per i cittadini.
Solo un “patto largo e partecipato” è garanzia, che si possano rompere i meccanismi di tentazione di intrecci tra politica e affari attraverso l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali.


10) LA POLITICA DEL LIMITE

Tutto quanto finora illustrato non potrà avere uno sbocco positivo se la politica non si riappropria del senso del suo limite, soprattutto in Calabria.
In Calabria c’è troppa politica, troppa cattiva politica.
Non c’è manifestazione, evento, convegno, serata, sagra o qualsiasi altra manifestazione della vitalità sociale, che non cerchi in Calabria, il sostegno economico, la sponda visiva della politica.
Per come congeniata adesso, la politica sottrae spazi al protagonismo della società.
La Calabria ha bisogno di una politica meno pervasiva, che abbandoni gli spazi impropri.
Ma il raggiungimento di tale obiettivo presuppone la promozione del protagonismo reale e responsabile della cosiddetta “società civile”.
Questo non significa separare società e politica, ma attribuire a ciascuna di esse spazi propri, iniziative proprie, idee proprie.
Maggiore partecipazione e meritocrazia sono i due imperativi cui il Partito Democratico dovrà ispirarsi.
Uguali opportunità per tutti, singoli, associazioni e gruppi sociali, di partecipare alla vita democratica, ma contendibilità delle posizioni tanto all’interno della nuova formazione democratica, quanto nelle istituzioni per il solo effetto dei propri meriti e capacità individuali.
Un ultimo impegno, non retorico, riguarda i giovani cui il Partito Democratico deve guardare non solo come gruppo sociale portatore di bisogni da soddisfare, ma come nuovi soggetti da cui trarre energie e stimoli per eludere derive oligarchiche e individuare percorsi innovativi per il cambiamento.

 
 
 

Più soldi solo a chi fa ricerca

Post n°34 pubblicato il 03 Ottobre 2007 da gallicese
 

di Enrico Letta, "Europa", 29 settembre 2007

La ricerca è la fonte dello sviluppo economico e sociale di un paese. Non si tratta di un luogo comune: senza ricerca non c’è futuro per le economie Avanzate. E un partito realmente nuovo, quale il Pd ha l’ambizione di essere, non puٍ che conferirle un rilievo prioritario nella sua carta fondativa. In particolare se crediamo – come sto ripetendo in queste settimane di campagna per le primarie – che la costruzione del futuro debba rappresentare il punto di partenza e, al tempo stesso, il nerbo della proposta politica del Partito democratico.
Difendere e rilanciare la ricerca in Italia significa preparare il terreno per un futuro migliore, per noi stessi e per i nostri figli. Per questo il grido di allarme lanciato ai candidati alla segreteria del Pd da una parte importante del mondo della ricerca italiana, e pubblicato martedى scorso da Europa, merita attenzione nell’analisi e cautela nella formulazione di eventuali soluzioni. Soprattutto perché, se prevalesse ancora una volta la delusione, perderemmo, forse definitivamente, la fiducia di un pezzo irrinunciabile dell’intelligenza del paese.
Partiamo da alcune evidenze. Da oltre un decennio il sistema della ricerca paga lo scotto di un quadro della finanza pubblica deteriorato, che, schiacciato sotto il peso di un enorme debito, continua a penalizzare gli investimenti in settori chiave per la nostra economia.Non solo la ricerca, ma anche l’innovazione tecnologica, le grandi infrastrutture, le energie rinnovabili.
Negli ultimi anni a questa oggettiva criticità si sono accompagnati i contraccolpi di una concorrenza mondiale durissima, proveniente soprattutto dai paesi emergenti. In un simile contesto, in assenza di una risposta di sistema, dietro l’angolo potrebbe esserci l’ennesima emorragia di eccellenti ricercatori. Il tutto a discapito evidentemente di quella valorizzazione del capitale umano e della creatività che da anni invochiamo come un fattore chiave per recuperare slancio e competitività.
Il governo Prodi ha avviato alcune misure per rispondere alle istanze sempre più diffuse e autorevoli avanzate dal mondo della ricerca.
Dal varo dell’Agenzia per la valutazione al piano di risanamento finanziario per le università concordato tra il ministro Mussi e il ministro Padoa-Schioppa. Fino all’apertura, recentissima, del bando Prin. Molto ancora c’è da fare, lo sappiamo. In particolare, è fondamentale dare risposte tangibili, con investimenti cospicui, per quanto riguarda il piano per i nuovi ricercatori e lo sblocco dei concorsi, con l’obiettivo di favorire l’immissione in ruolo di tanti giovani da anni in attesa della propria, legittima, opportunità. L’Agenzia di valutazione deve partire subito.
Il Cnr deve ritornare al suo ruolo di motore fondamentale della ricerca, governato, come accade in tutti i paesi europei, da scienziati di fama e non da manager.
Si tratta di obiettivi ambiziosi e di breve termine, possibili da raggiungere se intorno ad essi saremo in grado di convogliare l’attenzione e il consenso dell’intera maggioranza di governo. Esistono poi obiettivi più a lunga gittata, sui quali il Partito democratico, fin dalla sua costituzione, puٍ pungolare insistentemente il dibattito. Contribuendo anzitutto a superare l’equivoco concettuale secondo cui le politiche per la ricerca sono settoriali, appannaggio esclusivo di un solo ministero. E ricordando a tutti che la fuga dei cervelli – riflesso e allo stesso tempo concausa dello stato in cui versa la ricerca italiana – rischia di trasformarsi in una sconfitta d’immagine per il nostro paese, nella dimostrazione della nostra incapacità di offrire occasioni di futuro alle nostre eccellenze.
Premesso che è facile e quasi banale affermare che occorre garantire finanziamenti adeguati alla ricerca e non interromperne il flusso, come purtroppo negli ultimi anni è accaduto, vorrei esporre anche alcune idee forse un po’ eterodosse rispetto alle attese dei firmatari dell’appello, ma credo che, proprio perché l’ambizione del Pd è quella di disegnare il futuro del paese, sia opportuno misurarsi sulle questioni difficili.
Primo. Sono convinto che occorra separare i canali di finanziamento delle università in due parti: una proporzionale al numero degli studenti iscritti e con premialità per i servizi alla didattica migliori; l’altra rigorosamente proporzionale alla ricerca.
Secondo. Credo che anche una ricerca che possa diventare attività imprenditoriale debba essere incentivata: corsi di dottorato con un corpo docenti internazionale, tenuti in inglese, con l’obiettivo non necessariamente di preparare alla carriera accademica, ma magari di inserire uomini e progetti innovativi nell’industria e, perché no?, nell’alta amministrazione pubblica.
In conclusione, su questi temi è necessario ragionare senza pregiudizi e a tutto campo, e che la valorizzazione dei cervelli e della ricerca scientifica non è solo questione di soldi (come, del resto, i firmatari dell’appello sanno benissimo).

 
 
 

La Costituzione va difesa e aggiornata

Post n°33 pubblicato il 03 Ottobre 2007 da gallicese
 

di Enrico Letta, "La Repubblica", 2 ottobre 2007

Raccolgo volentieri l’appello rivolto ai candidati alla guida del Pd da Franco Bassanini e altri autorevoli intellettuali. Innanzitutto, ribadisco il pieno riconoscimento del Pd nei valori e nelle istituzioni sanciti dalla Costituzione. Ciٍ significa anche preservare la Carta da modifiche partigiane a colpi di maggioranza. In questa prospettiva l’elevamento dei quorum dell’art. 138 puٍ risultare particolarmente opportuno.
Difendere oggi la Costituzione significa perٍ essere anche consapevoli della necessità di un suo aggiornamento: ciٍ vale sicuramente per la seconda parte. Bisogna riformare la legge elettorale, rafforzare i poteri di indirizzo politico del premier, rendere più celere il procedimento legislativo, eliminando il bicameralismo perfetto e affidando al Senato compiti di rappresentanza e garanzia del sistema delle autonomie. Bisogna poi attuare una più razionale distribuzione di competenze tra Stato, regioni ed enti locali, eliminando sovrapposizioni e poteri di veto e, allo stesso tempo, assicurando alle autonomie, con un buon sistema di federalismo fiscale, le risorse necessarie allo svolgimento delle loro funzioni.
Ma se vogliamo anche esaltare i valori della prima parte della Costituzione, dobbiamo essere capaci di farli vivere nella legislazione e nelle politiche pubbliche, e magari di aggiornarli, con l’affermazione dei diritti delle generazioni future, la protezione delle risorse comuni, a cominciare dall’ambiente, il riconoscimento del principio di concorrenza, la garanzia dei diritti dei consumatori.
Mi preme molto anche il tema dei rapporti tra politica ed economia, sfere che devono restare separate. Al riguardo, il Pd potrebbe adottare un apposito codice etico.
Sulla base di queste preoccupazioni, ho promosso e sostenuto le liberalizzazioni portate aventi dai governi di centrosinistra, fino a quelle varate in questo anno e mezzo dall’esecutivo Prodi. Va nella stessa direzione il disegno di legge – al quale ho lavorato in prima persona - di riforma delle autorità indipendenti.
In questo contesto, diventa finalmente possibile anche ridurre i costi della politica. Mi auguro che, proprio quando il Parlamento discuterà delle pensioni degli italiani, anche la mia proposta per eliminare i privilegi pensionistici dei parlamentari, sul modello europeo di un fondo su base volontaria, trovi adeguato spazio.
A livello locale incominciano a dare i primi frutti i provvedimenti adottati dal governo Prodi; cosى come sono già molti a livello statale gli enti pubblici e le commissioni inutili cancellati o ridimensionati. Ma abbiamo bisogno che siano rapidamente approvate anche le proposte di riduzione del numero dei parlamentari e di complessiva lotta a sprechi e privilegi. Soltanto se avremo concreto coraggio riformista il Pd potrà combattere con successo le sue campagne, riaffermando il valore e la dignità della politica.

Permettetemi di copiare anche un commento molto significativo:

GIANNI CAVICCHIOLI [2007-10-02 11:44:33]

"Difendere oggi la Costituzione significa perٍ essere anche consapevoli della necessità di un suo aggiornamento".
In queste parole mi sento di dire che c'è tutto il PD e la sua ragione di essere. Nella Costituzione ci sono infatti tutti i valori fondanti del partito, nella necessità di aggiornarnamento c'è la sua mission. Aggiornare non significa cambiare, significa declinare al presente e proietttare verso il futuro gli stessi valori, non altri.
Quegli stessi valori che, rimasti declinati al passato, hanno lasciato spazio nel presente ai loro contrari: l'arbitrio al posto della libertà, l'egoismo al posto della solidarietà, la furbizia o la spregiudicatezza al posto dell'etica.
 
 
 

PD: STABILIRE PATTO CON I LIBERALDEMOCRATICI DI DINI

Post n°32 pubblicato il 03 Ottobre 2007 da gallicese
 

''Si stabilisca con Lamberto Dini e con il suo movimento dei liberal democratici un patto per immaginare il loro ingresso nel Pd''. E' l’appello rivolto oggi da Enrico Letta, candidato segretario del Partito Democratico. ''Se sarٍ eletto segretario nazionale del Pd - ha aggiunto Letta - mi farٍ paladino di questo accordo perché i valori liberal democratici di Dini sono utili a tutto il centro sinistra''.

 
 
 
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