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un sonno doloroso, che non reca /
dolcezza e pace,
ma nostalgia
e rimprovero
PIER PAOLO PASOLINI
 

 

 

 

 

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Post N° 993

Post n°993 pubblicato il 28 Novembre 2008 da massimocoppa

Dopo quasi 48 ore il mondo continua a non sapere
e capire quasi nulla di quello che sta accadendo
ATTACCO TERRORISTICO IN INDIA,
LA PIU’ GRANDE SCONFITTA E’ L’INFORMAZIONE


Di sicuro c’è solo che dei terroristi hanno fatto un macello a Bombay (o Mumbay, come deve dirsi ora).

Sono passate quasi 48 ore da quando è cominciata la crisi, e possiamo ben dire che non abbiamo capito niente. E’ una debacle dell’informazione mondiale, non solo italiana (come si sarebbe portati a credere di primo acchito).

E’ incredibile la ridda di affermazioni, smentite, imprecisioni, dubbi e condizionali che si affastellano su questa vicenda sin dalle prime ore. Passi l’incertezza degli inizi, ma è mai possibile che dopo tutto questo tempo non si sappia ancora, esattamente:

- a chi appartengano i terroristi;

- quante persone siano state uccise;

- quante persone siano state ferite;

- quanti terroristi siano stati arrestati;

- quanti terroristi siano morti;

- la nazionalità di tutti gli ostaggi;

- il numero di tutti gli ostaggi?

E questo solo per cominciare: insomma, l’ABC di quella che avrebbe dovuto essere l’informazione sull’argomento. Questo fatto ci fa capire, con evidenza meridiana, che oramai, e da anni (come del resto è stato dimostrato da osservazioni empiriche e da autorevoli studi) la natura stessa delle notizie è in larghissima parte (si parla del 90 %) frutto del lavoro di strutture dedicate: uffici stampa, strutture di comunicazione, piattaforme di relazioni esterne, fonti ufficiali di governi, forze dell’ordine, forze armate, istituzioni, enti, associazioni, dalla Casa Bianca al sindaco del più piccolo paesello.

Persino per il giornalismo americano è finito il mito del cronista che consuma la suola delle scarpe e va a trovarsi la notizia, a constatare con i propri occhi e le proprie orecchie i fatti. Non va meglio per gli inviati in zone di guerra: se c’è una forte autorità, anche ospite, in zona (tipo militari occidentali impegnati in operazioni), i cronisti non hanno libertà di movimento; se c’è caos ed anarchia, sono pochissimi quelli che si avventurano rischiando.

Ecco allora che, nel caso indiano di adesso, ci dobbiamo tutti basare su quanto ci viene detto dalle autorità locali; ma queste hanno l’aria di essere approssimative, pasticcione, confusionarie: non sono in grado (e forse non vogliono, non essendo abituate alla pressione dell’opinione pubblica) di dare informazioni corrette, precise, sistematiche. La gestione del flusso di comunicazione, sull’argomento, è discontinua, lenta e fumosa, come le stesse azioni messe in atto per liberare gli ostaggi, quasi ci trovassimo di fronte ad uno specchio semiotico che riflette nei simboli la sostanza stessa dei fatti.

 
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