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Inchiesta messagero MERITOCRAZIA ASL Laziali (Bravo Marrazzo, per fortna che non sei a Mi manda rai tre!!)

Post n°13 pubblicato il 25 Agosto 2009 da pqr9

Il Messaggero Giovedì 21 Maggio 2009
di CLAUDIO MARINCOLA

ROMA - Ventotto associazioni di utenti e consumatori hanno scritto al presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Si sono rivolti all’Aduc per chiedere di rendere pubblici curricula, obiettivi e risultati dei Direttori generali, manager che gestiscono milioni di euro. A dire il vero alla Regione Lazio una commissione per l’accesso all’albo dei Dg ci sarebbe. Ha la documentazione di tutti i manager che guidano le 21 entità laziali. Ma non è competente per la valutazione. I Dg non possono essere giudicati. Sono la cinghia di trasmissione tra i partiti e la sanità. I figli della legge Bindi. Legge datata 1999 che voleva colpire la casta bianca, il baronato universitario e ha introdotto di fatto il tesseramento in corsìa. Trasformato reparti in comitati elettorali. Alimentato fino a esplodere il malessere dei medici e dei pazienti. Dieci anni dopo la musica è sempre la stessa. Il direttore generale prende ordini dal politico. E il primario pure. Che poi sia il primo a scegliere il secondo è poco più un dettaglio. Conta il metodo, l’effetto a cascata, il sistema che ha sostituito la meritocrazia con la partitocrazia. Una tessera per ogni camice. Tutto era cominciato con una domanda retorica: le Usl sono aziende? E allora ecco i manager, emanazione dei governatori, creature partorite in un vortice di correnti. Solo loro, i Dg, a nominare a loro volta i direttori amministrativi, ad avere un ruolo decisivo sugli appalti, a dire l’ultima parola sulla scelta dei primari. Quanti sono? Circa 240, numero che varia in ragione delle aziende in via di accorpamento o liquidazione. Il 48% ha una laurea in medicina, gli altri provengono da varie carriere, ex avvocati, imprenditori, burocrati, persino ex deputati. Ce sono alcuni preparatissimi e versatili. Che hanno già guidato una fabbrica. Non sapevano cos’è un ospedale ma sapevano distinguere tra un pronto soccorso e una catena di montaggio. E altri messi lì solo per dire signorsì. Tutti hanno un contratto di diritto privato; guadagnano all’incirca 200 mila euro l’anno, (ma il 20% del reddito dipende dai risultati). Godono di vari benefit, tra cui autisti a disposizione e autoblu di cilindrata congrua al rango dei trasportati (c’è anche chi gira in Jaguard)... Possono presentare il curriculum anche mesi e mesi dopo l’insediamento. L’unico requisito richiesto è dimostrare di aver lavorato per 5 anni in una posizione dirigenziale. Guadagnano bene ma durano poco. Un rapporto Cergas Bocconi calcolò che il loro tempo di permanenza sulla poltrona è inferiore ai 4 anni. Media che in Calabria scende a 2. Un anno e mezzo fa “Il Sole 24 ore” provò ad assegnare ad ognuno una parrocchia politica di appartenenza. Il quotidiano economico appurò che il 54% dei Dg erano vicini al pd (28,6% ds, 25% Margherita), tutti gli altri al centrodestra, briciole ai cespugli. Ma soprattutto che i “puri”, cioè i tecnici, i ”bravi”erano mosche bianche: solo 3. L’assessore alla Sanità è il loro dio, l’azionista di riferimento. Li sceglie, li benedice, li nomina e al momento giusto li manda via. E’ l’unico che può verificare il grado di efficienza ma secondo parametri che spesso non hanno nulla a che vedere con il benessere degli assistiti. Al politico il manager piace così. Poco importa se le nomine scatenano appetiti i e battaglie. E’ appena il caso di ricordare lo scontro che Francesco Storace, ex governatore del Lazio ebbe con Alessandra Mussolini. Il casus belli fu la mancata nomina di Mauro Floriani, ex capitano della Finanza, marito della Mussolini a direttore generale della Asl dei Castelli Romani. Aveva molte ambizioni ma non la laurea. È in gioco la salute degli italiani e il diritto ad emergere di chi lo merita. In alcune regioni è stata reintrodotta una norma che consente agli ex parlamentari di candidarsi al ruolo di manager. Così che ora l’ex deputato leghista Cesare Ercoli può guidare una Asl in Lombardia. Dove tra i direttori generali (azienda ospedaliera di Lodi) si conta anche Gegé Rossi, apprezzato come medico e ancora di più se possibile come chitarrista dei Distretto 51, la Band varesina col ministro Bobo Maroni alle tastiere. La situazione varia da regione a regione. La Scuola Sant’Anna di Pisa, sull’esempio di quanto già avviene in Spagna, ha individuato 100 indicatori utili per un’eventuale “pagella”. Perché non utilizzarla? «Da tempo - spiega Giovanni Monchiero, presidente della Fiaso, Federazione che raccoglie il maggior numero di aziende sanitarie - noi chiediamo un registro nazionale con criteri uniformi». Monchiero può considerarsi un decano. Era un burocrate della Regione Piemonte. Ora è direttore generale della Asl di Cuneo. «La politica? Stiamo attenti quando diciamo che deve fare un passo indietro. L’autonomia è un valore importante ma lo è anche il rapporto fiduciario tra chi amministra e chi guida la sanità». E la lottizzazione dei primariati? «Può succedere ma nella stragrande maggioranza dei casi non è così. Ci sono regioni, come il Piemonte e l’Emilia, dove non si fa più un elenco degli idonei e la discrezionalità e molto vincolata. La commissione è formata dal direttore sanitario e da due primari, uno interno e l’altro esterno, sorteggiati in una rosa di nomi. Dunque, il metodo per accertare il merito ci sarebbe, basterebbe applicarlo. In quanto alla provenienza e agli studi, va detto che non sempre avere una laurea in medicina è importante. Una delle Asl considerate più efficienti è quella di Firenze. Il Dg è Luigi Marroni, ex direttore della Piaggio a Montedera». Il professore Emanuele Lezocche, preside del Collegio dei professori ordinari di chirurgia alla Sapienza, e stato più volte membro di commissione: «L’invadenza della politica nella gestione della sanità è sotto gli occhi di tutti, di questo passo tra 10 anni dovremmo importare i chirurghi dalla Cina o dall’India. La legge Bindi ha conferito ai direttori generali un potere assoluto e trasformato la sanità nella principale fonte di finanziamento dei partiti. L’unica verifica sull’operato dei dg la fa l’assessore».

 
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