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Post n°77 pubblicato il 30 Settembre 2013 da splendore07
Post nostalgico dedicato ai“pluriventicinquenni” e dintorni.
Allora, c’erano le cartelle, borse marroni con quella strana chiusura, quella sorta di due“tasti” metallici a forma di U ormai estinta, perché risalente a una qualche lontanissima era geologica, della quale, le nuove generazioni, non ne hanno nemmeno lontana memoria. Producevano un rumore metallico, uno scatto, quando venivano inseriti nell’apposita scanalatura, simile ad uno scivolo. Mi richiamava alla memoria lo scattare delle trappole per topi, che il nonno, in campagna, d’estate, piazzava strategicamente, lungo il percorso dei suddetti. Era un suono triste, quando venivano appoggiate sui banchi la mattina all’arrivo in classe alle 8,30 e, aperte per tirare fuori libri e quaderni, ma il suono diventava di una incontenibile allegria, sorta di festoso scoppiettare, al suono magico della campanella che sanciva la fine delle lezioni. Le cartelle pesavano poco, ed era possibile anche per i piu’ piccoli, portarle agevolmente. I bimbi “ricchi”, ne sfoggiavano una sofisticata versione con bretelle per essere portata sulle spalle, e il colore non era di un triste marrone, ma di brillanti tinte, spesso piu’ di una combinata nella stessa cartella. L’inizio delle lezioni era fissato per il 1 ottobre: S. Remigio, i piccoli della prima elementare, venivano chiamati teneramente “remigini”. Alle elementari, i libri erano due. Il libro di lettura, finestra sul mondo, illustrato con patetiche figure, sempre sorridenti, per altrettante patetiche “storie”, dove il trionfo dei buoni sentimenti, soprattutto quelli legati alla mamma e al papà, era addirittura imbarazzante. Il sussidiario, micidiale concentrato di orrori che spaziava dalla grammatica, all’aritmetica, passando per la religione che poteva “vantare” l’imprimatur della Curia. Si andava in classe rigorosamente in “uniforme”: grembiule bianco per le femmine e nero per i maschi. Grembiule, accessoriato di colletto, sotto il quale faceva bella mostra di sé un enorme fiocco blu. Il gioco “piu’ gettonato” era quello di slacciarselo a vicenda. L’appuntamento fisso dal cartolaio- sconosciuti i “centri commerciali” dove fare razzia, di cancelleria ,disposta su lunghissime file di scaffali- era per l’acquisto dello stretto necessario che costituiva il “magro corredo” dell’alunno. D’obbligo, l’acquisto di quella scatola di leggero cartoncino di un indefinibile colore, sorta di pallido giallino, recante sul fronte una finestrella dalla quale si intravvedevano le matite colorate. In basso, la storia di Angelo di Bondone, meglio noto come Giotto, raffigurato accucciato mentre disegna su un masso una pecorella, sotto gli occhi attenti e l’espressione severa di Cimabue, posto alle sue spalle. Pochissimi quaderni dalle anonime copertine, accessorio d’obbligo, le sovraccoperte in plastica, per preservare dalla devastazione quaderni e libri. Sui banchi, incredibile ma vero, c’erano ancora i fori per i calamai, retaggio di altre epoche e di altri alunni. Quando qualcuno entrava in classe, era d’obbligo l’alzarsi tutti in piedi, soprattutto la mattina, quando la maestra faceva il suo ingresso nell’aula. Qualche maestra particolarmente severa, usava la bacchetta per colpire i piu’ refrattari alla disciplina. Qualcun’altra arrivava“all’ardire “ dello schiaffo, ma l’aspetto incredibile era che se lo dicevi a casa, rischiavi di “buscarne” altri.
(Splendore)
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La mia giornata scolastica aveva la durata di una giornata lavorativa. Ero una bimba che rimaneva a scuola fino alle 18. Ma le ore pomeridiane, avevano largo spazio per il gioco, a cancellare delusioni, della mattina di lezioni.
Il ricordo piu’ tenero riguarda la merenda. Inservienti, con grosse ceste, colme di michette e mele, arrivavano dalla cucina, passavano rapide tra le file di banchi depositando, in ognuno il pane e un frutto. Ogni tanto, ad accompagnare la michetta, c’era una piccola tavoletta di buonissimo cioccolato fondente, allora quell’umile spuntino, si trasformava in una merenda da re.
Grazie Danny per il tuo sorriso :-)
Così, ha avuto inizio una grande "storia d'amore" che durerà per il resto della mia esistenza.
Grazie Danny, è grande l'appagamento dato dal sapere che io riesca ad emozionare facendo arrivare a chi legge, il mio sentire.
Sempre gradita la tua sosta :-)
Una maestra implacabile che con ritmo cadenzato,"declamava" ad alta voce frasi da scrivere, dispettose lettere che avrebbero dovuto unirsi per trasformarsi in parole, e che io cercavo disperatamente di domare, in quella indicibile tortura che erano i dettati.
Rimanevo regolarmente indietro. Impotente, guardavo le compagne chine sulla pagina del quaderno, riuscendo a tenere il passo con il ritmo della maestra.
Un senso di sconfitta, di vergogna, imporporava le mie guance.
Vero, esisteva il patronato scolastico, per gli alunni piu’ poveri. Ne ho un vivido ricordo a proposito del vocabolario di inglese, per la 1° media. All’interno del suddetto, nella prima pagina, campeggiava una grande scritta blu, lasciata da un vetusto e piuttosto consumato timbro di gomma: dono del patronato scolastico.
Grazie, Dino per la tua poetica testimonianza
Sicuramente i ricordi piu’ belli, sono legati al tempo trascorso tra giochi antichi, ora estinti. Un modo di divertirsi povero ma vero, autentico. Era il trionfo della fantasia, della creatività.
La scuola era qualcosa di completamente diverso. C’erano le classi maschili e le classi femminili, persino gli ingressi erano separati. Grandi palazzi che ricordavano la “grandeur” del periodo fascista, le ospitavano. Aule grandi, con ampie e alte finestre. La mia, aveva le finestre che davano sulla darsena, a Milano. Il mio sguardo, si perdeva seguendo il lento scivolare sull’acqua delle chiatte cariche di sabbia. Sono tornata qualche anno fa a rivedere quell’austero palazzo color mattone. Esiste ancora, ancora ospita le elementari, tuttora le entrate sono divise.
Grazie a te Luciano. Sono felice se sono stata in grado di farti rivivere momenti di dolce nostalgia.
La severità era la norma, non l’eccezione. Severità e autoritarismo che non solo “abitava” le aule scolastiche, ma che “abitava” anche le nostre case, albergava nel comportamento dei genitori nei nostri confronti. Disciplina e severità erano parte integrante della nostra educazione. Ogni cosa detta o fatta dalla maestra, costituiva verità inconfutabile non solo per noi piccoli, ma anche per i genitori.
Ma credo che anche se sia stata un’esperienza non propriamente piacevole, ritornare con la mente, a quel tempo, così lontano, alla nostra età, sia fonte di tenerezza. Rivedersi piccoli, impacciati, intimiditi, strappa almeno un sorriso.
Un abbraccio a te Carolina
Il lavoro, che richiede sempre "prestazioni" maggiori, maggior "produttività" maggiore disponibilità di tempo ed energie.
Mi sfugge il tuo dire "visti i risultati". Sono convinta che piu' di questo non potremmo fare.
Alludi forse a qualche "grosso danno", prodotto dai noi "pluriventicinquenni"? :-)
Ma questo è un altro discorso, affrontato molto piu' approfonditamente, nel post "la filosofia, opportunità per uscire dalla crisi.
Ma è indubbio, siamo una "brutta" generazione.
Laura
Ora, ricordi. Per ognuno diversi per grado di piacevolezza,tenerezza, nostalgia. Ma fanno anche questi parte della "biblioteca" al parti di piccoli volumi, che teniamo costuditi nella mente, assieme ad altri ricordi che compongono tutti i nostri ieri, quelli di cui siamo fatti, e che ci "hanno fatto essere quello che siamo".
Non ho ricordo alcuno in merito a musica "propinata" giornalmente all'inizio delle lezioni. Non ricordo dell'esistenza di casse appese sul soffitto dell'aula. Forse, la mia scuola, ne era priva.
Piacevole sapere che abbia potuto, con il mio piccolo "spaccato", aver reso un tenero,nostalgico "omaggio" a tutti coloro i quali si identificano nel mio "giovanile",- perché noi, così siamo- appellativo, "pluriventicinquenni" :-)
Non ho memoria del primo giorno di scuola. Non ricordo neppure discorsi, grondanti ridondante retorica, o riguardanti lo spirito dell’insegnamento di quegli anni. La "missione" alla quale gli insegnati erano destinati, nell’educare “uomini” e “donne” di domani. La mia timidezza, l’impaccio, lo spavento, il mio sentirmi sempre fuori posto, la pesantezza di un’eterna inadeguatezza, la convinzione, avvalorata dalla maestra, della mia scarsa intelligenza. La fatica che ne derivava, nel seguire le lezioni, erano fonte di grande frustrazione. Tutte le compagne, apparivano, agli occhi di una bimba sempre con le guance paonazze per la vergogna, e la timidezza, lontane galassie, capaci di “splendere” di luce propria. Io un piccolo sperduto asteroide, che cercava disperatamente di inserirsi nell’orbita. Ricordo il laconico “giudizio” avente la caratteristica delle brevità di un telegramma, sul libretto di “licenza elementare” alla fine dei canonici 5 anni: Studiosa ma limitata. Ecco, quell’implacabile giudizio, risuonò nella mente di me “decenne”, come sorta di condanna, un verdetto, che mai avrei potuto sovvertire, dimostrando il contrario. E sono sicura, che non condizionò solo me, ma anche i futuri insegnanti della scuola media. Io, ero così allora, e sono stati necessari parecchi anni, affinchè io acquisissi un minimo di fiducia nelle mie effettive capacità. La scuola era dittatoriale ai nostri tempi. Quello che usciva dalla bocca dell’insegnante era “verità inconfutabile” al pari di un dogma religioso. Quindi, nessuna contestazione, si “imparava” quello che ci veniva “propinato” al pari di “indottrinamento” che supinamente subivamo, senza alternativa alcuna. Eravamo già allora il paese dove la meritocrazia, era un’illustre sconosciuta. E i bimbi provenienti da modeste famiglie, erano comunque invisi alle maestre, Anche se meritevoli, il metodo di valutazione adottato, era quello dei “due pesi, due misure”. Non avevo consapevolezza che la società avesse già imboccato la “via del non ritorno” che avrebbe portato alla dilatazione abnorme dei consumi. D’altra parte, erano gli anni del “boom” economico, ma con un distinguo: le classi povere, non ne furono nemmeno sfiorate. Io al contrario di te, la mano non la alzavo mai. Il timore me lo impediva. Mai chiedevo spiegazioni se non capivo. Impossibile mantenere l’attenzione per tutta la durata delle lezioni, anche se le maestre lo pretendevano. Riguardo all’interesse che avrebbero dovuto suscitare gli argomenti trattati, il livello era molto basso, per non dire nullo. Ricordo la cattedra con la pedana sulla quale era collocata, la lavagna girevole a due facce: da una parte i quadretti, dall’altra le righe. I gessetti che lasciavano uno spesso strato di impalpabile polvere bianca e asciutta sulle dita, la cimossa di panno, per cancellare, la nuvoletta di gesso che immancabilmente si alzava, e andava a depositarsi sul grembiule. Che la scuola la si abbia amata od odiata, ha contribuito in buona parte a farci diventare quello che siamo.
Grazie Roberto, bella la tua testimonianza, dolce e triste allo stesso tempo.
Una vecchia zitella, piccola. magra, occhiali con montatura a punta. Il classico colore azzurrino delle chiome, un tempo, "colore" delle vecchie signore. Ricordava una strega.
Quella sadica signorina, riservava parte dei compiti assegnati, alla scrittura con la mano sinistra. Per poi verificare, se effettivamente erano stati svolti con tale mano. A sostegno di tale "crociata" era il suo dire che ci sarebbe tornato utile in caso di "rottura" del braccio destro.
Per me, paradossalmente, avveniva il contrario, ma ricordo che il "naturale" scrivere con la sinistra, era molto inviso, condannato, come pratica non naturale, e assolutamente da correggere.
Grazie per la tua sosta
…delle 400 anime disperse nelle “tane” del mio villaggio circa 30 eravamo i bimbi delle elementari nei primi anni cinquanta; suddivisi in due pluriclassi:
1° e 2° in una stanza, quella che in precedenza aveva ospitato il desco familiare.
3° e 4° accumunati nell’altra stanza che doveva essere stata la camera da letto.
Per la 5° classe, invece, occorreva, spostarsi a due kilometri verso il centro del paese ..e lì era tutta un’altra storia che dirò di seguito.
L’appartamento, concesso in fitto al comune dal vecchio insegnante era ubicata a poche decine di metri dalla spiaggia …da una spiaggia storica ...della storia che forse non meritiamo neppure di celebrarne la memoria. Questo era il mio villaggio …una cosa grande la cui immagine mi è restata impastata nell’anima come se fossi nato con lei.
Le aspettative di quel mattino del 1° ottobre della fine degli anni quaranta non erano delle migliori …le referenze lo certificavano …trasmesse dai mie fratelli e sorelle, che eran stati “esercitati” negli anni precedenti, mi ero preparato a puntino ...al peggio!
Piccolo, ma mai fesso, avevo appreso che la “barbosa”, così la chiamavano quelli che mi avevano preceduto, che l’anno precedente aveva seguito i più grandicelli e, quindi, per rotazione, quell’anno era pronta ad accogliere i “pulcini” immacolati, era con il suo sacco di granone già pronto …da utilizzare in modo non certo parsimonioso …per sfogare chi sa cosa e chissà perché in nome di una presunta educazione del corpo che mai poteva, secondo me, coinvolgere l’anima .
Qualche centinaio di metri percorsi su di un viottolo che da casa conduceva al mare e da li agganciati Mario D. Luciano S. Enrnestina S. insieme ci inoltrammo fra le dune alte più del minuto bambino che ero. Man mano tutti i bambini ci ritrovammo ai piedi delle dune coperte quasi del tutto dalle foglie carnose del “fico degli ottentotti” ancora ornate dei grandi fiori rosso-carminio e dai respingenti cespi di sparto pungente che si alternavano con la gramigna e la ruchetta marina e qualche residuo giglio marino che s’innalzava per mostrare la sua grazia.
Perché eravamo li raccolti e facile comprenderlo: Pasquale l’unico bidello, addetto a tempo parziale, ci riunì tutti in attesa della corriera che doveva scaricare la cruda “barbosa” …ed i nostri genitori per far bella figura anche loro ci sistemarono in due fila già pronti per entrare nelle citate camere da pranzo e da letto …in modo diversamente utilizzate.
All’improvviso vedemmo giungere una Signora che non ricordo se scese dalla corriera e credo proprio di no …oppure giunse accompagnata dalla carrozzella che faceva da navetta o addirittura da una macchina …magari quella del marito …poi conosciuto come famoso medico internista operante nel capoluogo.
La Signora non aveva affatto le sembianze della “barbosa” …ma quelle di una Fata…un fata reale! Ricordo i suoi occhi azzurri ed i capelli lunghi e biondi …era lei la “MAESTRA” …la mia maestra che il cielo volle donarci per farci accompagnare per i lunghi quattro anni. Lunghi perché ogni giorno c’era qualche cosa da fare …soprattutto attività integrative e l’antistante spiaggia fungeva da nostra palestra.
Al quinto anno, invece, ci tocco spostarci al centro del paese ove esisteva il vero Istituto delle Scuole Elementari; con sette bambini non si poteva di certo costituire una classe e neppure si poteva aggiungerli tutti in una classe già costituita. Si era così consolidata la soluzione di ripartirne uno o due per tutte le quinte classi già esistenti. Un po’ una sorta degli attuali immigrati …ma noi, allora, non sapevamo di esserne stati gli antesignani.
Fu così che mi assegnarono, come unico aggiunto, alla classe nella quale insegnava il fratello del parrocchiano che era abilissimo nelle prediche declamate a voce spiegata dall’alto del pulpito come si faceva a quei tempi. Entrato nell’aula quando tutti gli altri eran già ai loro posti, l’insegnante mi chiamo a se e mentre mi avvicinavo senti tutti gli altri bambini rumoreggiare e sghignazzare e la cosa mi apparve strana …era evidente che loro già sapevano cosa stesse per accadere; …pochi secondi per immaginarlo anche io …quando fui chiamato all’ordine: avrei dovuto aprire le mani per provare la bacchetta …era considerata quasi come una forma di inizializzazione a me totalmente sconosciuta e mai accettata. Li fini l’esperienza in quella classe.
Il giorno dopo fui aggiunto ad un’altra classe …ad un altro insegnante …fu tutta un’altra storia.
Insieme ai suoi figli verso la fine degli anni settanta riuscimmo a donare quasi una vera scuola al mio villaggio come riportato nel mio post n° 457 del 4 settembre - http://blog.libero.it/ITALIANOinATTESA/commenti.php?msgid=12340773&id=231654#comments
Grazie Gio’ per l’occasione che mi hai offerto di rivivere qualche attimo della mia infanzia che partendo da quel “mio” 1° ottobre mi sono qui oltremodo dilungato come una sorta di compensazione per la mia non giustificabile omissione di essere stato soltanto un assorbente lettore dei tuoi stupendi post precedenti. Con profonda stima, M@.
Vero, ora che l’hai ricordato, anche a me capitava spesso di avere quella piccola “coda” sorta di prolungamento peloso del pennino che impotente guardavo cercando di capire da cosa fosse originato. Le lettere tracciate sulle righe del quaderno assumevano la forma di strani animali, dotati di coda, appunto. Allora, con pazienza, mi prodigavo con le dita cercando di rimuovere l’odiato intruso che le due punte terminali del pennino, tenevano prigioniero. Non sempre l’operazione si concludeva felicemente, spesso nonostante i miei diversi tentativi, rimaneva saldamente incastrato, sorta di sottilissimo filo, che impediva di fatto, di tracciare lettere decenti sulle righe. Quello che rimaneva dei miei sforzi, erano le dita macchiate di inchiostro, con le quali, inavvertitamente toccavo le pagine, peggiorando il “disastro” esistente.
La caratteristica delle classi plurime, era comune nei piccoli centri. Era la realtà della campagna. Soprattutto per la scarsità di bimbi e dall’impossibilità di trovare luogo da destinare al solo insegnamento. Ma ti dirò che nella didattica americana, il fatto di avere nella stessa classe, bambini di età diversa- classi “multi-age” come da loro vengono chiamate- è considerata risorsa. Mia figlia, ha frequentato l’”American school” e, 1 anno delle elementari, era in classe con bambini di 3 età diverse. Loro lo considerano utile per sviluppare nei bambini, un’inclinazione naturale dell’aiuto verso i piu’ piccoli e, socializzare con età diverse, già in tenera età, li favorirebbero nell’inevitabile interagire con persone di varie età nell’età adulta, nell’ambito del lavoro, per esempio.
Sei stato fortunato ad avere simile maestra. Io, come già detto, ho avuto per 4 anni, sorta di “cerbero”, che incuteva paura. Faceva dell’inflessibilità, della severità, del rispetto della piu’ ferrea disciplina, i fondamenti del suo insegnamento. Mai il piu’ piccolo accenno ad un sorriso. Anche fisicamente incuteva timore, anche se era piccola, magra, ma l’espressione del viso, riassumeva quanto sopra. Io la temevo.
Bel gesto quello di donare alla tua piccola comunità un edificio preposto all’insegnamento. Andrò a leggere il post che mi hai segnalato.
Come già detto, è appagante apprendere che con il mio piccolo spaccato sulla scuola anni 60, sia riuscita a far rivivere in chi mi abbia letta, memorie, tristi o gioiose, ma pervase sempre da una dolce nostalgia, che si fa rimpianto per un’ età “piccola” che, nonostante varie difficoltà, oggettive, rimane nella nostra mente, come periodo magico, che non potrà essere vissuto nuovamente.
Ti rinnovo ringraziamento per l’apprezzamento espresso con parole di lode nei confronti dei miei post. Sono per me, motivo di orgoglio
Il “ribelle”, chi non si conforma, è tuttora visto come potenziale pericolo, colui che sovverte l’ordine e i dettami rigidi che sono solo da accettare adeguandosi. E la soluzione da adottare per il “diverso” affinchè non possa nuocere, è l’allontanamento, l’emarginazione. Scordando che così facendo, si creano gli embrioni per l’odio e la rabbia, verso la società dei grandi della quale, domani, sarà chiamato a fare parte.
Ricordo le classi differenziali, vera e propria vergogna, nelle quali finivano non solo i “sovversivi”, ma anche chi era affetto, sempre a insindacabile giudizio della maestra, da ritardo e difficoltà nell’apprendimento, e avrebbe “disturbato”, intralciandolo, il normale svolgimento delle lezioni.
A conferma di quanto la scuola primaria, non sia cambiata, e i maestri siano solo meri impiegati statali e possano pregiudicare, con il loro “avventato” responso, il futuro scolastico di un bimbo, mia figlia, che ha seguito con ottimi risultati percorso di studi diverso, era stata “sospettata”, in 1° elementare, di avere ritardo nell’apprendimento. Ora, ha conseguito dottorato di ricerca con il massimo dei voti, all’estero. Credo non servano commenti.
Io, che rimanevo a scuola fino pomeriggio inoltrato, ricordo con piacere le lezioni di musica, impartite da un’insegnante innamorata della classica. Era piacevole ascoltare il racconto della vita e opere dei vari maestri, dei quali aveva conoscenza profonda.
Ricordo anche le interminabili pagine, riempite con aste, cerchietti, lettere minuscole, maiuscole, in corsivo e stampatello, ma quella era la “via” per insegnare la scrittura.
Vero, alla fine del compito, ero d’obbligo la cornicetta, anche se io non disponevo di libro dal quale copiarle. Era la maestra a tracciare l’esempio sulla lavagna.
La mia timidezza, non mi ha permesso di stabilire nessun legame, degno di questo nome. Solo qualche fugace approccio, da consumare durante la ricreazione.
Come dettoti, cara Catia, con te sto riscoprendo la dolcezza del frutto dell’Amicizia femminile, della quale avevo vaghi sentori adolescenziali. E nella maturità, la riscoperta, si è arricchita di forza, di autenticità, che non avrei creduto possibili.
Un vero regalo, raro e prezioso.
Grazie, come sempre per l’apprezzamento che mostri per le mie “composizioni”.
Nessuna pretesa di "tenutaria della verità". Molto piu' bello e "toccante" sapere che riesco con le mie esternazioni a trasmettere tenerezza :-).
Fragile interiorità? non sottovalutarti! hai la consistenza del granito, e lo sai :-)
Faccio mie le tue intime sensazioni, spesso, "si esprimono" meglio delle parole.
Che altro aggiungere?
mi fai arrossire, retaggio di un lontano passato, dolce amica. Ma di piacere, non di inadeguatezza, o timidezza. Una grande conquista!