Creato da anchise.enzo il 30/01/2012

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La meta di paglia

Post n°79 pubblicato il 17 Marzo 2012 da anchise.enzo

 
Una volta si utlizzavano le aie per battere e ventilare il grano della raccolta. Con la comparsa delle prime trebbie, si pose fine a quel lavoro infernale che richiedeva sudore e tempo infinito.



Con le macchine trebbiatrici, azionate tramite lunga cinghia di cuoio da un trattore, si otteneva senza molta fatica sia il grano sia il prezioso scarto, la paglia che veniva allontanata dalla macchina mediante il lavoro manuale di un addetto, munito di forca.

Un gruppo di contadini, che entrava in azione a trebbiatura finita, sistemava il gran mucchio di paglia informe innalzando a regola d'arte la meta, che era un vero e proprio capolavoro. Aveva la forma di un enorme parallelepido, di cui si curava la simmetria e soprattutto la sommità, pena l'inevitabile disfacimento.

C'era chi, per evitare che il vento portasse via la paglia, ci gettava sopra la paglia delle fave, e chi, invece, sistemava sulla superficie superiore un lungo filo di ferro a cui legava due sassi che pendevano da una parte e dall'altra. Poi le piogge autunnali pensavano a rassettare il tutto.

Il prelievo della paglia andava fatto sempre dalla parte che guardava a sud, al fine di non permettere alla bora di danneggiare con l'infiltrazione delle acque l'interno della meta.

La paglia era necessaria a tutti i contadini per le "lettiere" degli animali ricoverati nelle stalle. Di paglia si rifornivano quotidianamente anche i fornai per alimentare il fuoco dei due forni del paese.

Uno di essi era mio padre che, credendo di far vita migliore, aveva rilevato il forno di San Rocco. Però pagavano in pochi e solo col pane. Mio padre il 13 giugno 1950 fu graziato da San Antonio. Recatosi a prelevare la paglia, la meta franò e mio padre vi rimase sotto per più di un'ora. Pensava di soffocare, quando, gridando aiuto al Santo, improvvisamente fu libero.

Il giorno dopo si liberò anche del forno.


 
 
 
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