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CHIMICA sperimentale

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Capitolo di metallurgia - Parte quarta

Post n°403 pubblicato il 19 Aprile 2018 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

 

Capitolo di metallurgia, tratto da un manoscritto sulle miniere della Provincia Bellunese…

(Parte quarta/5 – Ved. Post precedente)

 

Par. V – Torrefazione

 

Gli stoni rifusi si recano nei luoghi destinati per le arrostiture, dove si collocano di bel nuovo sopra i carboni per torrefarli.

Tale operazione viene replicata cinque o sei volte di seguito, prima di sottomettere gli stoni ad una nuova fondita; e con queste ripetute arrostiture si separano le ultime porzioni dello zolfo, e si facilita sempre più la concentrazione del rame.

Durante questo processo si possono vedere sulla superficie dei pezzi che si abbrustoliscono, i più bei saggi di rame ossidulato rosso, e di rame carbonato verde, ambedue sotto forma di concrezioni fungiformi, leggierissime, e facilmente polverizzabili.

L’azione del fuoco ha dunque potuto operare la conversione dei fili di rame, in rame ossidulato, il cui aspetto è poco o nulla dissimile da quello che distingue il rame rosso di Cornovaglia analizzato dal Chevenix; e l’azione combinata del fuoco, del carbonio, e dell’aria ha dato origine alla malachite.

Per avere una conoscenza esatta della natura di quest’ultima specie, non mi sono accontentato dell’effervescenza che vi suscitò l’acido nitrico versato a gocce sulla medesima, ma vi volli far passare nell’acqua di calce il gas acido che da essa si dipartiva, per osservarne gli effetti.

L’intorbidamento dell’acqua mi raffermò nell’opinione che io aveva intorno all’indole del minerale.

Questo interessante fenomeno avvalora l’idea concepita dal Breislak sull’origine della calcaria primitiva; il Sig. Breislak difende la fluidità ignea della terra, e crede, che allorquando la materia andavasi raffreddando, l’ossigeno si sia unito al carbonio, ed abbia generato l’acido carbonico, il quale, combinandosi con la calce elementare, diede formazione ai monti calcarei primitivi.

Anzi se vogliamo ben esaminare le circostanze che concorrono alla genesi del carbonato di Agordo, si troverà che l’opinione di questo celebre geologo viene appoggiata direttamente dalla mia osservazione, che dalle esperienze dell’Hall, e dal Bucholz, sopra cui egli fonda la sua ipotesi.

Il Sig. Hall, mediante la compressione ed il calore, convertì le polveri della calcaria in una pietra effervescente negli acidi, dura, e di una grana analoga a quella dei marmi salini: ed il Bucholz, spingendo ad un fuoco violento la creta polverizzata, ottenne, senza la compressione, una massa dura, solida, semifusa, e d’un bianco giallastro, che inclinava alcun poco al rossastro.

Si vede che i due chimici hanno sperimentato sopra la calce unita all’acido carbonico, mentre negli stoni di Agordo, questo acido non preesisteva alla formazione della malachite, ma si è invece generato nel progresso della combustione; come appunto il Breislak immaginò essere accaduto, nell’epoca in cui si sono formate le gran masse di calcaria primitiva.

Non mi venne mai di adocchiare, fra le specie minerali generate dal fuoco, nella terza arrostitura, il rame bleu, sebbene, sulle cognizioni che abbiamo sulla di lui natura, non mancassero i materiali necessarj alla produzione di questo sale.

Sono entrato perciò nel sospetto, che la varietà del colore dei due sali di rame, non provenga dallo stato nel quale si trovano le loro basi, e conseguentemente non si abbia ancora potuto assegnare la vera cagione della differenza che passa tra un carbonato e l’altro.

Pelletier si studiò d’indagare la causa che produceva questa diversità di colore nelle specie in discorso, e credè di trovarla nella minore o maggiore quantità di ossigeno di cui erano provvedute le basi metalliche..

Quindi la tinta verde della malachite fu dal Pelletier attribuita al perossido di rame, perché tale era lo stato del metallo in questa specie, laddove il rame bleu conteneva in assai minor dose l’ossigeno.

Ma in questo mezzo comparve l’analisi del Klaproth, che mostrò tutto il contrario; per lo chè hanno dovuto i mineralogisti modificare le loro idee sulla costituzione chimica delle due specie.

Noi potremmo tuttavia muover dubbio sulla legittimità delle conseguenze che si vollero dedurre dalle analisi, imperocchè, se la differenza di colore nei due minerali derivasse dalle varie dosi d’ossigeno contenute nelle loro basi, si avrebbe dovuto trovare, fra gli stoni di Agordo, il rame bleu, giacchè i due ossidi di questo metallo si possono ravvisare tanto sulle maggiori superficie dei pezzi arrostiti, che sulle cellule di cui è sparsa la loro frattura.

L’osservazione mi ha fatto conoscere che il rame verde si forma costantemente sulla parte esteriore degli stoni, ch’è la più ossidata, come lo indica la sua tinta bruno carica; mentre nei vani della spezzatura, vi ho sempre incontrato l’ossido minore di rame, o rame rosso, di cui si è fatto parola più sopra.

L’acido carbonico, col quale si trovano sempre al contatto i due ossidi, diede origine alla malachite; ed avrebbe potuto generare anco il rame bleu, se la mancanza di un qualche mezzo, che noi ignoriamo, non avesse arrestata la sua formazione.

Sembra dunque che il processo seguito dalla natura, nell’imprimere nei due sali un colore diverso, sia più recondito di quello che si è finora immaginato (Klaproth ha ricavato meno ossigeno dal rame contenuto nella malachite che dall’altro separato dal rame bleu).

Fine quarta parte

 

 
 
 
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