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CHIMICA sperimentale

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Capitolo di metallurgia - Parte quinta

Post n°404 pubblicato il 25 Aprile 2018 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

 

Capitolo di metallurgia, tratto da un manoscritto sulle miniere della Provincia Bellunese…

(Parte quinta e ultima– Ved. Post precedente)

 

Par. VI – Terza fondita

 I kretz staccati dalla manica, dopo compita la seconda fusione, vengono uniti agli stoni rifusi calcinati, e dalla fondita di tali sostanze si conseguisce lo ston sottile, o metallina.

Il prodotto che fornisce questa operazione è di tinta grigia, offre il brillante del piombo, ma più appannato, e presenta una frattura composta di piccoli cannelini, dentro i quali si vedono i fili di rame metallico.

I pezzi sono assai fragili, ed hanno due linee circa di grossezza.

 

Par. VII – 4° Torrefazione

La metallina non si abbrustolisce che una sola volta; e a fronte del poco tempo che rimane esposta al fuoco delle roste, si formano nulla meno sopra di essa la malachite ed il rame ossidulato, la cui tinta risalta molto più di vaghezza che l’altra, che distingue le due specie illustrate nel quinto paragrafo, e si mantiene per un tempo assai più lungo.

Da questa operazione si ottengono dei pezzi che hanno la forma di grosse concrezioni tubercolose, le quali conservano tutta l’apparenza del rame metallico, sebbene alquanto sudicio.

 

Par. VIII – Quarta fondita

Con la metallina calcinata, si fondono le deposizioni raccolte nel bagno acqueo, dove s’immerge il rame rosetta per raffreddarlo; lo spolvero (rame sublimato in globetti) del camino annesso al forno di raffinazione, ed i kretz della fondita antecedente.

Il prodotto che si ritrae da questa operazione, è una massa compatta del colore del tartaro che si cava dalle botti, e porta il nome di rame nero.

Talvolta si ottiene il rame nero dalla fondita degli stoni rifusi calcinati; ma in questo caso conviene passarlo alla rosta, prima di assoggettarlo all’ultima fusione.

 

Par. IX – Ultima torrefazione

Il rame nero si estrae dal bacino sotto forma di dischi del diametro di due piedi, e della grossezza di quattro o cinque linee; e dopo di averlo raffreddato nel bagno, lo si adagia sul terreno, e si ricopre di legna e di carbone polverizzato.

Appiccatovi il fuoco, si cerca di regolare l’operazione in modo che il metallo non abbia a soffrire alcun principio di fusione; poi si levano i dischi metallici, e con mazze di ferro si percuote la loro superficie, onde separarne le scaglie ferruginose, che sopra vi aderiscono.

 

Par. X – Ultima fondita

Detersa che sia la superficie dei dischi dalle scaglie ferruginose, si traporta il metallo nel forno di raffinazione, e lo si fonde, affine di ossidare o scorificare il resto del ferro che lo rende impuro.

Il prodotto che ci somministra quest’ultima fusione presenta tutti i caratteri del rame metallico puro.

Tali sono le operazioni che si eseguiscono in Agordo sopra la pirite cuprea, onde ottenere il rame nello stato di purità.

 

                               …°°°OOO°°°…

 

Qui termina il capitolo del manoscritto di Tomaso Antonio Catullo sulla miniera Agordina, dal quale voglio trarre solo un paio di conclusioni sostanziali:

- quanto fossero lunghissime, laboriose e dispendiose le operazioni per estrarre il metallo dal minerale;

- quanto il buon esito di tutto il lavoro fosse soggetto alla capacità personale dei mastri minerari e metallurgisti.

Essi dovevano decidere quasi tutto in base alla loro esperienza, dalla quale in definitiva dipendeva il rendimento economico della miniera.

Senza contare il dispendio energetico umano, allora di poco conto (c’erano anche tanti teneri e vispi fanciulli che collaboravano!, oltre al durissimo lavoro del minatore), il dispendio energetico in termini di combustibile (legna e carbone) era evidentemente enorme, ed a farne le spese erano, nel caso in oggetto, le foreste bellunesi, apparentemente inesauribile fonte vegetale sia per gli interminabili fuochi necessari per l’estrazione mineraria del Doge sia per il legno delle sue navi.

Dal punto di vista puramente tecnico ricordo un particolare fondamentale del testo del Prof. Catullo ma che può sfuggire ad una lettura affrettata: il medesimo sottolinea l’importanza (ved. parte terza) dell’aggiunta dello schisto argilloso durante il processo di fusione, auspicandone anzi l’integrazione con minerale quarzoso, al fine di separare il più possibile il ferro dal rame sotto forma di scoria.

Tale processo è infatti fondamentale nel caso di minerali ferro-cupriferi,  secondo la reazione che semplificando al massimo può essere riassunta:

FeO + SiO2 = FeO.SiO2      silicato ferroso

che combina selettivamente il ferro (ossidato nei processi di torrefazione) a formare un silicato facilmente fusibile e separabile; il rame, più pesante, si concentra sul fondo del forno ed il silicato, portandosi via il ferro, galleggia come scoria e viene separato.

I campioncini di Marco di cui parlavo all’inizio dovrebbero essere proprio di questa natura; vedremo in seguito se un po’ di rame ne sarà rimasto inglobato.

 

 

 
 
 
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