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Il toro di Torre

Post n°584 pubblicato il 22 Dicembre 2014 da pedro_luca
 
Tag: Brevi

Il toro di Torre

Dedicato a Dino, ai miei zii Elisa e Angelo di Torre d'Isola

I parte

 

E’ sabato, in uno dei tanti paesi disseminati lungo il serpeggiare capriccioso del Ticino si fa festa, è vigilia di sagra, alcuni lavorano ma sono molti di più quelli che sono in vacanza. La giornata è serena, il sole primaverile scalda leggero, gli alberi si sono rinverditi, la campagna inizia a lussureggiare  e la gente s’è scrollata da dosso le ruggini invernali. Nella piazza principale un gruppo di giovani sta addobbando il palco delle premiazioni sotto la direzione del parroco, detto al  prevostèn a causa della statura più simile a quella dei ragazzi che l’attorniano che a quella di un adulto.  Giancarlèn, la guardia comunale, ligio al dovere, i maligni dicono indefesso,  controlla attentamente la posizione delle bancarelle degli ambulanti affinché non occupino lo spazio che non spetta a loro. I negozi sono aperti e nonostante l’ora mattutina e l’atmosfera festaiola c’è già un po’ di gente in giro, ma è un via vai tranquillo, è il muoversi lento tipico del mondo contadino che rende bene l’aggettivo bucolico, con quella loro innata capacità di assecondare il tempo senza rincorrerlo.  Persino i bambini che s’attardano con fare trasognato davanti alle poche giostrine ancora chiuse non palesano l’ansia, l’eccitazione chi li pervade. Sono questi i momenti fatidici, quando sembra che tutta vada per il meglio, quando si ha la sensazione di aver raggiunto il traguardo della tranquillità che piomba imprevisto l’incidente. Anche in questo sabato mattina, sulla piccola piazza di Torre, si ha l’ennesima conferma di questa regola non scritta.
Improvvisamente un gran botto scuote l’aria e rimbomba fin dentro le case, subito dopo c’è il  rotolare di oggetti metallici sul selciato. Nemmeno il tempo di voltarsi che la gente urla e fugge spaventata in ogni dove.  Panico, negli occhi sbarrati, nei muscoli tesi e nelle urla stridule c’è l’inconfondibile nota della paura. Il tempo di rigirarsi e la piccola piazza è già deserta,  i ragazzi che stavano allestendo il palco si sono rifugiati in chiesa, gli ambulanti delle bancarelle hanno abbandonato il posto di lavoro e si sono ritirati, chi nel bar e chi dal ferramenta, le donne hanno smesso immediatamente di far la spesa si sono infilate nella prima porta disponibile, e non sempre questa corrisponde  a quella della propria casa.  Grancarlèn ha un momento di esitazione, in fin dei conti è a lui che si deve l’ordine pubblico, la sicurezza della cittadinanza, ma l’incertezza dura poco, uno scatto ed è subito al sicuro nel palazzo comunale dietro la porta che ha subitamente chiuso con il catenaccio. Cosa è mai successo di tanto spaventoso da costringere tutti a rintanarsi così frettolosamente?
Dal polverone di ciò che rimane ancora in piedi del primo banco rovesciato, quello dei casalinghi, appare in tutta la sua maestosità regale Nerone, il grosso toro da monta del comènda Aristide. Un pelo nero d’inferno, una mole da rinoceronte, due occhi che più bovini non si può e le corna lunghe e affilate incutono terrore solo a guardarlo. Un vero campione della sua razza, premiato dagli uomini alla fiera delle bestie e ambito maschio dalle giumente del circondario, e non solo quelle, grazie anche alla fama che s’è conquistato in una vita di onesto lavoro.
Quel bestione se ne sta lì in mezzo alla piazza, sbuffa nuvolette di fiato dalle narici, si guarda attorno, pare che sia indeciso sul da farsi. Da dietro la bancarella dei formaggi e salumi spunta lentamente un berrettino bianco, poi, sempre lentamente la faccia stravolta dallo spavento di Giuliano il beccaio. Non è riuscito a scappare perché è rimasto impigliato con il grembiule nella pesa. E’ pur vero che chi si nasconde non deve provare paura, perché è lei stessa che lo segnala, così è con la tremarella del beccaio che scuote il legno del banco richiamando l’attenzione del toro. E si sa che i tori non hanno molta dimestichezza con la riflessione, agiscono d’impeto, come dire, si buttano senza pensarci su. La fortuna di Giuliano è che non è più agganciato con il grembiule perché si vede la pesa volare come fosse un piccione prima di cascare con un botto fragoroso sul palco delle premiazioni. Approfittando dell’incornata passata senza danni, prima che il bestione si rigiri il beccaio s’infila come un  missile nella farmacia. Mai scelta è più azzeccata di questa, il dottor Antonio ne aveva viste tante nella sua lunga carriera, ma la lacerazione che mostra il pantalone di Giuliano all’altezza della chiappa destra è enorme, praticamente ha le chiappe al vento ma fortunatamente non  mostra senza ferite, tranne una riga rossa trasversale.
“Non ti sei accorto di niente? Non senti male?”
Quando la paura fa novanta si è in ascolto esclusivamente del numero, i dolori si sentono dopo.  
Nerone ritorna la centro della piazza, e stavolta pare infuriato, raschia il terreno con lo zoccolo della zampa anteriore destra a preparare la carica, la brezza che s’è improvvisamente alzata scuote gli abiti appesi alla bancarella dell’abbigliamento,  quest’anno va di moda il rosso, che il toro dimostra di non gradire affatto. Un botta tremenda e così ora, sparsi per il selciato ci sono pezzi di legno, appendiabiti e stoffe di tutte le fogge.
Nella barberia dei fratelli Masnelli non vola una mosca, tutti i presenti sono rimasti immobilizzati nella posizione in cui erano quando è scoppiato il tranbusto in piazza. I fratelli hanno il terrore che quel bestione sfondi la vetrina mentre i clienti che sfondi il loro deretano. 

 
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