Creato da buzzico73 il 29/09/2008

no hay que dar papay

misionero en sur america

 

 

una storia di vita

Post n°3 pubblicato il 29 Settembre 2008 da buzzico73
 

 

Quito  dicembre

Ciao ragazzi,

qui sono le10 e mezza, mentre in Italia sono le 4 e mezza di mattina, dalla mia finestra vedo la montagna,cosparsa di un’infinità di luci, sono le “case baracca” dei capesinos. Fuori piove e questo non aiuta a migliorare lo stato di malinconia che provo… forse è un po’ di nostalgia per l’Italia o forse  lo stato di impotenza che spesso si avverte quando si lavora con i bambini di strada e non sempre si ha successo. Qualche giorno fa  me ne è capitato uno: un colombiano di 16 anni. Era venuto alla fondazione perché aveva bisogno di scaricare la coscienza  ed ha incrociato la mia strada. Dopo tante bugie e lacrime ha cominciato a dire la verità. Era un narcotrafficante della FARC colombiana o come li chiamano qui è uno dei“muli” perché questi ragazzi, come i muli, trasportano la cocaina prodotta in Colombia. A 16 anni aveva già ammazzato 4 persone e quando lo diceva aveva un’espressione gelida negli occhi. Erano 3 mesi che dormiva per strada perché era perseguitato da sicari a cui doveva dei soldi. Voleva entrare alla fondazione solo per giocare a calcio e per avere un pasto caldo. L’ho fatto mangiare e gli o dato 50 centavos di dollaro: 25 per prendere un bus per andare e 25 perché potesse tornare l’indomani dove gli ho detto che lo avrebbe aspettato la polizia minorile, che qui si chiama Dina Pen. L’unico modo per entrare alla fondazione era quello di scontare prima la pena per ciò che aveva commesso. Sapevo bene che il giorno dopo non sarebbe tornato e che gli ero servito per scaricare la coscienza: è uno di quei ragazzi senza ritorno, o come li chiamiamo qui “criminali puri”, dalla vita breve….addio Rudy Gonzales anche se so che questo non era il tuo vero nome…

Beh, volevo solo condividere questo episodio con voi, ma ora tiriamoci su e parliamo di cos’è il Fundeporte .

Il nome “Fundeporte”  deriva da “deporte”, che in spagnolo significa “sport”. Qui, infatti, usiamo lo sport come mezzo di formazione ed elevazione dell’autostima dei ragazzi. Quelli che sono qui, arrivano dalla strada: dalle violenze dal carcere minorile, dalla denutrizione, dalla droga, dalla povertà estrema… La prima volta che entrano qui si legge nei loro occhi spenti il racconto muto di un’infanzia mai vissuta, ma dopo un po’ di giorni il loro sguardo torna vivo e limpido, come sono quello dei bambini riesce ad essere.

La prossima volta continuerò a parlarvi del Fundeporte e di quello che cerchiamo di fare qui per questi ragazzi che, oltre allo sport. , hanno modo di studiare e di esercitarsi in diverse attività… Stavolta ho preferito parlarvi di una storia di vita e della malinconia di un giorno…dedicato all’infanzia bruciata di un ragazzo, che diceva di chiamarsi Rudy Gonzales…

A presto

Antonio

 

 
 
 

diario di un misionario

Post n°2 pubblicato il 29 Settembre 2008 da buzzico73
 
Foto di buzzico73

Quito novembre

 

Ciao ragazzi, mi presento: mi chiamo Antonio,  ho 34 anni e vengo da uno splendido paesino che si chiama da Tolfa in provincia di Roma dove ho un ristorantino che si chiama “Da Bazzico”.

Per molti anni ho lavorato alla Rai e in teatro come ballerino, nei fotoromanzi lancio e nella moda. Devo dire che mi sono veramente divertito… bhe, è un lavoro che ti da  tante soddisfazioni, anche se la mia passione più grande è sempre stata per la cucina.

Tre anni fa l’amore per una ragazza con cui ero fidanzato mi ha portato in Ecuador. Prima di allora non sapevo neanche che esistesse un Paese con questo nome in Sud America! Così mi sono venduto la mia jeep, ho comprato un biglietto aperto un anno, ho salutato i miei amici, i miei genitori e i miei cani, e sono partito  incosciente di ciò che avrei trovato…mi sono detto: 3 mesi e poi ritorno!

I 3 mesi sono diventati un anno e mezzo, anche se all’inizio l’impatto fu duro. Quando arrivi capisci subito la differenza tra l’Italia e il Terzo Mondo: le regole cambiano, la cultura cambia, il clima cambia! Stavo a 3000 metri di quota e quando ti rovi in prossimità dell’equatore, è come vivere le 4 stagioni tutte nello stesso giorno: inizia il freddo la mattina, poi il sole che ti cuoce e dopo pioggia a non finire…

Vivevo con altri volontari in una casa situata nel sud di Quito, la capiatale dell’Ecuador, patrimonio dell’Unesco. Già… il sud! Come la maggior parte dei sud del mondo è la parte più povera. Povera in tutti i sensi, ancora più  se ci si spinge verso Chillogallo: il quartiere nelle favelas dove è situata la fondazione “Fundeporte”. Qui si recuperano 500 ragazzi di strada, con problemi di droga. La mattina fanno sport, nel pomeriggio studiano le materie come in tutte le scuole e i più grandi apprendono un lavoro come il falegname il meccanico o la sarta. La fondazione li aiuta a dimenticare le violenze e le brutture della vita: sono bambini già grandi, raramente conoscono cos’è l’infanzia, ma per le ore che passano alla fondazione tornano ad avere di nuovo la loro età e a permettersi il lusso di giocare e sperare.

Io ho iniziato facendo il volontario lì. Volontario significa dedicarsi agli altri senza guadagnare soldi o  “sin ganar plata” come si dice qui.

Per più di un anno ho cucinato per  500 bambini al giorno, aiutato dalle cuciniere locali che portano sulle loro spalle tutto il peso di una cultura machista. Abbiamo trasformato in commestibile quello che arrivava di donazione, abbiamo fatto miracoli per  dar da mangiare a tutti.

Nel pomeriggio insegnavo “hotelleria”ai bambini che sarebbe turismo e cucina, mentre la notte davo lezioni di cucina a gente del nord di Quito per guadagnare soldi.

Ho passato un anno così pieno ed intenso che non bastano tutte le parole che conosco per spiegarlo e alla fine mi sono reso conto che era più quello che questa gente ha dato a me, che io a loro…

Sono tornato in Italia, mi sono aperto il ristorante ed è passato un altro anno e mezzo…

Ed ora indovinate un po’?! sono tornato qui! Già, mentre vi scrivo sono di nuovo qui in Ecuador, a Quito…

Ma questo ve lo racconterò la prossima volta: vi racconterò le storie di alcuni di questi ragazzi di strada, bambini già grandi, di cosa sono tornato a fare e perché.

Del Perché si lascia tutto per gli altri. Del perché, pur avendo ciò che molti avrebbero desiderato in Italia, non mi ero mai sentito vivo e appagato come ora che sono qui ad aiutare questi ragazzi…

 

A presto!

 

Antonio Morra

 

 

 

 

 
 
 
 
 
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