Creato da carlopicone1960 il 13/01/2008

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Il '68 degli eroi

Post n°541 pubblicato il 20 Ottobre 2019 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

Fino a quando rimarremo prigionieri della nostalgia del Sessantotto, della retorica di quando si era giovani e forti, chiusi nella malinconia del bel tempo che fu, non avremo reso il giusto servizio a quella che si chiama “memoria storica”. Ma anche al pensiero critico. 

Negli ultimi giorni ad Avellino, in due diversi appuntamenti, si è tornato a parlare di Sessantotto, che poi, da queste parti, c’è stato due anni dopo rispetto alla sua cronologia nazionale ed internazionale, e, come per lo più accade, si è finiti in una autoreferenziale discesa nel reducismo. 

Senza nulla togliere alla positività di simili iniziative, utili a rimestare il ricordo del progressismo che impregnò la vita politica ed i costumi anche in una realtà come quella del capoluogo irpino, quando viene a mancare una visione storica approfondita, quella che dovrebbe essere quanto più analitica e completa, è facile che, invece di proporre un modello di intervento nella società da restituire alle nuove generazioni, oggi confuse e disorientate, si cada nel solito luogo comune di un periodo irripetibile, fine a sé stesso, quando si respirava dappertutto un clima di rinnovamento e di impegno diffuso. 

Perché non si tengono nella dovuta considerazione, quasi non ci fosse stato altro, le stagioni successive del movimentismo: innanzitutto, quel Settantasette, figlio del Movimento precedente, che segnò in un certo senso la ripresa delle sue istanze, senza evitare di isolare storicamente l’“Arcadia” del Sessantotto ad Avellino, scollegandola da ogni altra esperienza. 

Invece, per le generazioni successive, anche per quelle protagoniste degli ultimi bagliori di rivendicazioni politiche e culturali della sinistra comunista ed antagonista, l’“Arcadia” contestatrice pare essere stata rappresentata esclusivamente dalle affollate riunioni in parrocchia con due punti di riferimento, che non possono essere stati gli unici, come don Michele Grella e padre Pio Falcolini. 

È innegabile che da loro venne un’azione educativa straordinaria per i tempi, che dalla lettura “sociale” del messaggio della Chiesa, in grande fermento, riportando da queste parti gli imprescindibili insegnamenti di don Lorenzo Milani, ma ridurre il ricordo del ’68 ad un movimento di cattolici illuminati, ci sembra una prospettiva storica assai limitativa e poco laica, mentre le rivendicazioni di studenti e operai furono in larga misura laiche. E se da noi non lo furono, costituisce essenzialmente il limite e la criticità del Movimento in Irpinia. Provincia “bianca” con tinteggiature “rosse”, che quasi contemporaneamente produsse la corrente di Base della Democrazia Cristiana, e personalità della politica nazionale come Fiorentino Sullo e Ciriaco De Mita.       

Ma ricordare può fare brutti scherzi, a volte ci fa esaltare anche ciò che non siamo  stati, perché la memoria, se non la si esercita bene, può farci credere di aver vissuto momenti ed esperienze mai compiute. Così, nel clima di malinconica nostalgia generale ci è capitato di assistere al rito della consacrazione, per l’ennesima volta, di “eroi” che avrebbero disdegnato di essere tali, assieme alla negazione di ogni dignità politica di movimenti ed organizzazioni che non fossero stati quelli di parrocchia, tollerati per la loro buonista interpretazione della lotta di classe e delle rivendicazioni sociali del ’68, che investirono la cultura, la politica ed i costumi di un mondo profondamente arretrato. 

In realtà, inneggiare al passato demonizzando il presente, pur denso di negatività, esaltando le gesta memorabili di un gruppo di bravi ragazzi che si sono trovati nei formidabili anni di Mario Capanna, non può che apparire una forma di intellettualismo, se non ci si interroga sul valore emancipativo delle loro lotte nei confronti delle generazioni successive: su come hanno influito sul cambiamento della società avellinese. 

Piuttosto, si indugia nel dimenticare, se non proprio confondere, quello che fu il primo antagonismo anche nella nostra città. Insomma, una visione parziale di quello che siamo stati. Perché sentire che Autonomia operaia non svolse nessun ruolo nelle proteste del Sessantotto è un non-senso, perché Autop, colpevolmente equiparata alle Brigate Rosse, ancora non esisteva e le stesse Br erano solo agli albori. 

Mentre le lotte politiche del periodo furono caratterizzate non solo dai ragazzi di San Ciro, ma fuori dalle sacrestie anche da una formazione organizzata qual era Potere Operaio. 

Proprio dal suo scioglimento, dopo il movimentismo di alcuni personaggi noti nel panorama avellinese, nacquero negli anni successivi i Collettivi autonomi, che pure un segno hanno lasciato da queste parti, malgrado si faccia di tutto per deporli nell’oblio. 

Ebbene solo una storia più estesa e analiticamente completa, che riesca ad uscire da quell’aura di buona religione, di cristianesimo attivo e democratico, potrà fornirci una giusta valutazione del nostro passato.

 

Intanto che l’onda inesorabile del riflusso pare abbia spento ogni volontà di impegno nella società; la lotta di classe è stata rimossa nelle menti dei tanti che sono passati dall’attivismo alla tranquillità di un posto di professionista nella società borghese.   

 
 
 
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