Creato da angi137 il 26/08/2010
"Solo la penombra permette di ammirare la beltà..." J.Tanizaki

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Angela Fabbri

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Tavole e teatri

Post n°83 pubblicato il 16 Agosto 2016 da angi137
 
Foto di angi137

 

PALAZZO TE

 

Il Rinascimento fu un periodo, al pari di molti altri nella storia, feroce, tuttavia produsse cose mirabili, come se una solare esplosione avesse investito gli aspetti più materiali dell'esistenza, rendendoli d'un tratto degni di considerazione. Così il tripudio di Palazzo Te va al di là della celebrazione famigliare e dinastica per diventare un inno alla sensualità, alla voluttà, quasi al carpe diem.

Le corti dei signori rinascimentali, pur tessute di guerre e di intrighi, aspirano a diventare giardini delle Esperidi. Non a caso proprio il giardino diventa un componente fondamentale del palazzo signorile. Con la sua natura rigogliosa, ma addomesticata, riafferma il potere e la gloria del signore. E se la natura non basta è la mano dell'uomo che la reinventa, la reinterpreta, la sogna. Ecco allora le grotte incrostate di conchiglie e pietre dure, con statue che sembrano animarsi dalla viva pietra, di colonne che imitano stalattiti e stalagmiti, di fontane traboccanti di tritoni e naiadi. Ecco i giochi d'acqua: cascate e fontane, laghetti e fossati in cui veleggiano i cigni e nuotano le carpe. Ecco i prati verdissimi dove aspettano maestosi pavoni, fagiani, e gabbie di animali esotici (perché ogni signore che si rispetti deve possedere la sua collezione di rarità, viventi e non).

Tutto lo sfarzo, la voluttà e l'ostentazione dei principi rinascimentali trovano però la loro apoteosi nei banchetti: vero banco di prova di ogni signore che volesse aspirare ad una dimensione più che provinciale.

Il banchetto rinascimentale è il trionfo dell'apparenza: l'apparecchiatura è un teatro e commensali, scalchi e coppieri, valletti e famigli, sono personaggi di una rigorosa rappresentazione. Così la sala dei banchetti di Palazzo Te è affrescata con una storia che, più che specchio delle peregrinazioni dell'anima, diventa qui favola amorosa e voluttuosa: teatro dei sensi.

Al centro del banchetto "nobile", infatti, c'è la credenza  in cui è sapientemente  messo in mostra il vasellame prezioso: piatti, brocche, ciotole, fruttiere, scodelle, zuppiere, acquamanili... il tutto sotto un pergolato di viti rigogliose che la incorniciano come un'abside. Intorno un baccanale non privo di una certa compostezza, con divinità ignude e fiere esotiche. Di cibo vero neanche una traccia, se si escludono la frutta, la selvaggina portata in spalla da un lontano cacciatore e il vino che gonfia l'enorme otre che un satiro tiene sulla spalla.

Sulla parete vicina, nel "banchetto rustico", la tavola coperta da una tovaglia bianca è un po' spostata sulla destra, mentre il centro della composizione è occupato dal dio Pan che appoggia sul tavolo dei pani presi da una cesta (il pane è cibo terrestre, ma altamente simbolico). Per il resto anche questa tavola è vuota, anche se cosparsa di fiori e frutta versata dai canestri che putti, ninfe e satiri portano tripudianti, ma evidentemente poco affamati, come il Mercurio che, a destra, pare arrivare corrucciato a dire che facciano poco chiasso, ché gli dèi lì vicino stanno facendo conversazione.

Il cibo vero, coperto di piume e di oro, materia scultorea con cui sorprendere e incuriosire i convitati, passava sotto quegli dèi festanti fino alle tavole dove veniva smembrato e diviso con arte rigorosa e puntigliosissima. I resti poi finivano prima nelle cucine e poi gettati al popolo in attesa, che aspettava ansioso quel fastoso regalo non tanto forse per il suo valore (di solito grandi fette di pane unto, croste di pasticcio e qualche osso non del tutto spolpato) quanto per l'idea di far parte anch'esso di quel cerimoniale grandioso che si svolgeva sotto i suoi occhi ammirati.

Sono molte le cronache del tempo che descrivono minuziosamente le portate dei banchetti famosi: animali argentati e dorati, cotti e rivestiti della propria pelle, pasticci in forma di castelli e di insegne nobiliari, vivande rare come struzzi e limoni, zucchero e spezie a profusione. E poi musica, danze, spettacoli di mimi e acrobati, declamazioni di versi, tutto per il diletto del Signore e della sua Corte.

 

 È il momento in cui gli edifici, di solito freddi, umidi e bui, si attrezzano di grandi camini, di ampie finestre con i vetri, di lucernari veri o trompe-l'oeil. Tutto si apre all'esterno, tutto fa spettacolo. Se si entra nel monumentale Salone dei Cavalli si rimane subito colpiti, oltre che dai singolari affreschi, dalla luce, dall'ariosità dell'ambiente che la finzione di un loggiato aperto sulla campagna mantovana rende ancora più vasto. Ecco poi, a rimarcare l'illusione, i sei bellissimi cavalli, favoriti di Francesco II, affrescati fra le finte colonne del finto loggiato con 'aria di essere ad una parata o di attendere il padrone. I Gonzaga avevano delle scuderie famose ed è chiaro che il buon duca teneva forse più ai suoi magnifici animali che al resto della sua famiglia. Sembra ancora di vedere guizzare il lucidissimo manto o di sentirne gli sbuffi nervosi. Tutti qualificati, dove ancora leggibile, da nomi altisonanti: Glorioso, Battaglia, Dario, Morel Favorito... Ma il paesaggio dietro di loro è sereno e non ci sono suoni di guerra a turbare gli ospiti: questi cavalli sono lì solo per dare piacere ai sensi e glorificare chi li possiede.

Opprimente, invece, la camera delle aquile, con gli enormi uccelli araldici di stucco che incombono dagli angoli della volta e la caduta di Fetonte vista attraverso un falso lucernario. Secondo gli studiosi era questa la camera da letto del duca e se in questo ambiente claustrofobico e minaccioso non aveva gli incubi, forse qualche pensiero gli si sarà rivolto alla caducità delle umane fortune.

Altra esaltazione di potenza, mirante a stupire e intimidire, è la sala dei giganti, dove alle espressioni grottesche e patetiche dei Titani precipitati fa riscontro l'agitato ma freddo cerchio degli dèi vittoriosi, con l'ardito scorcio del trono di Zeus e profusioni di nuvole. Tuttavia il re degli dèi appare stranamente più convincente nei suoi slanci seduttivi e amorosi nella Sala di Psiche, piuttosto che nel ruolo di fulminatore circonfuso di nembi. C'è, nella Sala dei Giganti, più movimento, più potenza, ma assai meno calore: le delizie del banchetto cedono il passo alle urgenze della guerra e nella serenità di questo novello Olimpo non si può dimenticare il fragore delle armi.

Questa è solo una parentesi illusoria, un castello di Atlante per felici smemorati che, prima o poi, si svegliano.

 

 

 
 
 
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