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SI FA PRESTO A DIRE: "IL TEMPO GUARISCE".

Post n°8681 pubblicato il 25 Agosto 2016 da psicologiaforense

La mia amica e collega ALESSANDRA GRAZIOTTIN  scrive:
“Il tempo guarisce” si dice. È vero? La variabile critica è come si vive quel tempo. Vale per la salute, per le ferite d’amore, per le delusioni nel lavoro e nella vita. Nella salute ogni trauma – un’infezione, una ferita, un’ulcera – scatena un’infiammazione amica quando è finalizzata, di intensità proporzionale al danno da riparare e di durata sufficiente a ripristinare l’architettura del tessuto, con le diverse cellule al posto giusto, per un pieno recupero della funzione.
A volte,  però il  tempo passa ma non guarisce affatto: anzi cronicizza la  sofferenza  e la patologia.

 

Lo stesso vale per le delusioni d’amore: c’è la prima fase della ferita affettiva, con un’infiammazione emotiva che è anche “neuroinfiammazione”, ossia incendio biochimico del cervello. È questa la base biologica della depressione, dei disturbi del sonno e dell’appetito, dell’astenia, dell’affaticabilità, dei dolori fisici che accompagnano le ferite affettive. Di nuovo, anche nella psiche il tempo è amico se è finalizzato per analizzare la ferita, ripulirla e curarla, con intensità proporzionata alla gravità del trauma emotivo e di durata sufficiente a ripararlo. Quando invece ci si incista a guardare il passato, a recriminare sul danno subito, a sprofondare nel gorgo maligno del rimpianto anche l’infiammazione da ferite emotive diventa patologica e nemica della salute. Possono passare mesi e anni, ma il dolore della perdita è sempre lì, anzi diventa patologico: “Non si è più ripreso/a”. A volte quest’infiammazione può essere così grave da devastare la competenza del sistema immunitario, o della funzione cardiaca. Ed ecco l’emergere di un tumore dopo uno stress emotivo prolungato, o la morte, letteralmente, per “crepacuore”, quando la vasocostrizione delle arterie coronarie da prolungata sofferenza emotiva può causare un infarto fatale. Non basta dunque che il tempo ”passi” ma deve avere una sua danza: tra un necessario tempo “passivo”, per dare a corpo e mente modi e tempi per ritrovare un nuovo assetto dopo la fase acuta e un tempo quietamente attivo, nell’ascolto del corpo e del dolore del cuore. Se c’è stato un lutto, il trauma emotivo in assoluto più difficile da superare, il tempo kairòs, il tempo benedetto, è quello che ci porta a interiorizzare la persona perduta, a sentirla presente e viva nella nostra mente e nel nostro cuore, per guardare avanti con ritrovata serenità.

 
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