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« RIGNANO FLAMINIO. SARANN...LE FONTI DI ERRORE NELLA... »

come diritto e psicologia trattano i bambini abusati sessualmente

Post n°223 pubblicato il 28 Maggio 2007 da psicologiaforense
 

ATTENZIONE: QUESTO POST E IL SUCCESSIVO SONO STATI SCRITTI PER QUEI SETTE   AMICI BLOGGATORI CHE ,FACENDO SEGUITO AI NOTI FATTI DI RIGNANO FLAMINIO, MI HANNO CHIESTO CHIARIMENTI PONENDOMI SPECIFICI QUESITI.  MI SONO IMPEGNATA A RENDERE TUTTO COMPRENSIBILE MA DUBITO DI ESSERCI  RIUSCITA ....

La violenza sessuale all’infanzia è un reato che difficilmente ha spettatori e testimoni e che, di conseguenza, si fonda sostanzialmente sulle dichiarazioni del minore-parte offesa. A tal proposito, nel processo penale, si apprezzano due situazioni gravate da significative aporie: la prima si riferisce alla ricerca di possibili riscontri oggettivi alle parole del minore; la seconda - diventata teatro abituale di scontro forense - riguarda i limiti e le caratteristiche della testimonianza infantile, ovvero, in termini più specifici, la complessa problematica che trova il suo momento centrico ed epicritico nella valutazione dell’attendibilità e della credibilità delle informazioni ottenute dal minore che, dal punto di vista testimoniale, spesso appare un soggetto “a rischio” per la sua immaturità psichica e per le peculiari carenze, anche cognitive, legate alla specificità della fase evolutiva che attraversa. In merito ci sono stati, e continuano ad esserci, atteggiamenti controversi nei confronti del ruolo testimoniale assunto dal minore-p.o. nel procedimento penale riconducibili, ad esempio, alla convinzione che i bambini fino ad una certa età, per lo stadio del loro sviluppo cognitivo o per la labilità del loro sistema emotivo, non possano essere dei soggetti attendibili . Tuttavia, se nel passato è prevalsa questa percezione pregiudiziale di inattendibilità nei confronti dei minori, attualmente, invece, si registra un’inversione di rotta che, da un lato, è alimentata da una rinnovata sensibilità, di cui lo stesso Legislatore si è fatto portavoce ma, dall’altro, sembra risentire forse eccessivamente di un’emotività che può alimentare atteggiamenti ugualmente pregiudizievoli, anche se in senso opposto.  NELLA MANIFESTA VOLONTÀ DI PERSEGUIRE I RESPONSABILI SI PUÒ FINIRE, INFATTI, PER ACQUISIRE LE DICHIARAZIONI DEL MINORE IN TOTO, SENZA PORRE ALCUN FILTRO CRITICO, SENZA UNA CAUTA E PRUDENTE RIFLESSIONE IN ORDINE AL CONTESTO IN CUI TALI DICHIARAZIONI SONO INSERIBILI E SUL VERO SIGNIFICATO CHE A QUESTE PUÒ ESSERE ATTRIBUITO. 
Tutto ciò chiama prepotentemente in causa il ruolo e le funzioni dello psicologo e/o dello psichiatra forense nell’ambito dei procedimenti penali riguardanti casi di abuso sessuale su minori. Ad essere “sotto accusa” sono soprattutto le modalità con cui periti o CT affrontano l’esame del minore, e più precisamente il loro porsi di fronte ai casi di abuso sessuale in un’ottica prevalentemente verificazionista, che impedisce di mettere in discussione i propri convincimenti personali, e correlativamente, di tener conto dei dati e degli elementi che potrebbero invalidarli. Infatti, troppo spesso, alcuni specialisti del settore, sembrano avere un’idea stereotipata del problema relativo all’accertamento delle situazioni di abuso sessuale e  tenderebbero a mantenerla anche quando viene contraddetta dalla loro stessa casistica.  Alcuni “esperti”, in sostanza non saprebbero liberarsi da preconcetti e deformazioni professionali che ostacolerebbero la corretta valutazione dei fatti raccolti.  Inoltre, come sopra segnalato, i guasti maggiori deriverebbero dalla prevalenza della tendenza verificazionista su quella falsificazionista .  In altri termini, alcuni specialisti cederebbero alla tendenza a non mettere in discussione i propri convincimenti e a non tener conto di tutto ciò che potrebbe invalidarli. Così si arriverebbe al noto paradosso hegeliano: “Se i fatti non confermano la teoria, tanto peggio per i fatti”. Si vuol significare, con questo, che anziché valutare se i fatti possano servire a confermare le ipotesi, si interpreterebbero i fatti come se le ipotesi fossero già state provate. Agendo in quest’ottica verificazionista lo specialista con funzioni di perito o di  CT finirebbe per rendere infalsificabili le accuse.  In tale prospettiva, succederebbe, in buona sostanza, quello che Kuhn (1989) ha segnalato a proposito dello sviluppo della scienza: “Quando gli scienziati abbracciano l’ipotesi legata ad una teoria, di fronte a contro fatti che dovrebbero mettere in discussione la fondatezza delle ipotesi, creano una cintura protettiva volta a riparare l’ipotesi considerando il controfatto o come irrilevante o come anomalo”.Discende da queste premesse la necessità che lo psicologo forense segua correttamente le regole fondamentali dell’accertamento dei fatti e cioè:
1.      verifica delle prove;

2.      controverifica per la traccia opposta allo scopo di non “legarsi” ad una tesi, perché può essere vero il contrario di quello che si pensa.

Perchè, può accadere che i fatti su cui gli ausiliari tecnici del giudice, a volte, ragionano non siano fatti ma “fattoidi” cioè avvenimenti che non sono fatti ma che dei fatti hanno l’apparenza .immagine

E' indispensabile guardarsi dal rischio di capitare in quest’area di massima turbolenza dove si scontrano non saperi diversi (per il sapere si può trovare l’accordo) ma ignoranze e pregiudizi diversi (il bambino è la voce della verità / i bambini sono inattendibili).

psicologiaforense ... 

(segue nei prossimi post)

 

 
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