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SCUSA MA NON CHIAMARLO AMORE

Post n°568 pubblicato il 06 Febbraio 2008 da psicologiaforense
 

COMMENTO

Un baldo e palestrato macellaio vicentino di trenta­quattro anni (VEDI IL PRECEDENTE POST)  si è incapric­ciato di una ragazzina tre­dicenne. L'ha fatta salire in macchina e  ha avuto un rapporto sessuale con lei.  Poi l'ha nuovamente incontrata e , "clandestinamente" ha tenuto in piedi  con la ragazzina ( frequentante la seconda media) una "storia" di quattro mesi. SCOPERTO, DENUNCIATO E PROCESSATO  si è appellato ... all'AMORE. 

E, alla fine, ci ha creduto pure il tribunale di Vicenza. Così, invece dei dodici anni previsti dal co­dice per stupro o  i cinque e mezzo richiesti dall'accu­sa  il focoso playboy   ha subito una pena ( si fa per dire ) di un anno e quattro mesi e la condanna a versare 20mila euro di risarcimento alla piccola vittima. Perchè, in fondo, «era amore». Un «ve­ro, autentico, sentito e irresistibile  sentimento d'amore». Che dire?
A noi sem­bra tutto folle.

Non conosciamo la tredi­cenne in questione e non com­metteremmo mai l'errore di sottovalutare il potere di una lolita. Nè quello di una madre distratta. Specialmente oggi che, secondo una ricerca da poco pubblicata, il primo rap­porto sessuale avviene proprio verso i tredici anni. Quando è solo dai quattordici in poi che si è considerati legalmente "maturi" da quel punto di vi­sta. Per carità, sono tutti quesiti interessanti e tutt'altro che se­condari. Che ci appassionano un po' meno solo perchè, oggi, dall'altra parte, c'è un "bam­boccione" ( il macellaio) economicamente evoluto, socialmente evoluto che ritiene che tra lui e la bambina  di ventun anni più giovanedi lui fosse «vero amore».

Per carità, nella vita tutto può succedere. Ne siamo drammaticamente consci. Ma scambiare il sembiante dell' amore per amore, è una cosa che smette di succede­re quando si entra nell'età adulta. E’ una cosa che, ap­punto, succede agli adole­scenti con loro passioni bol­lenti scambiate per ultime quando in realtà sono solo le prime, scambiate per uni­che quando, in realtà, ne se­guiranno a dozzine. Sono pulite e assolute.

Rese eterne  dai poeti come quella di Giulietta e Romeo raccontata da Shakespeare. Che non a caso erano ado­lescenti, che non a caso era­no coetanei. E' quello che succede quando si è piccini, appunto. Se accade dopo, tocca dargli un altro nome. Oppure, tocca darsi un'altra vita. Cercarsene una. Come dovrebbe fare, indipenden­temente dalla sua pena "low cost", il signor Antonio Di Pascale di anni trentaquat­tro. Macellaio e vicentino. Capace di grandi conquiste e di ancor più grandi convincimenti. Perchè ha fatto capitolare una tredicenne e perchè in tribunale ha tirato fuori il cellulare, come in un libro di Moccia. Come in una scena girata da Muccino, come un sabato sul ponte Milvio tra lucchetti e motorini. Mes­saggi e messaggini, con pa­rolette e paroline ricevute da lei. A dimostrazione del fatto che... Vedete? «Era amore».

Sì, signor Di Pascale. Ma­gari quello è pure amore. Solo che non è a lei che deve arrivare addosso. E’ lei che fa pena e , mi scusi, repugnanza. E’ lei che per certi "amori" è scadu­to, come un prodotto ava­riato.

 
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