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L'ultima erezione della Seconda Repubblica

Post n°8 pubblicato il 10 Aprile 2012 da puntacampabella
 
Foto di puntacampabella

Era l'alba della Seconda Repubblica, quel 1993 dove Luca Leoni Orsenigo - deputato della lega Nord - sventolò il cappio contro quei politici "ladroni" colpevoli di essere corrotti e di aver indebitato l'Italia fino a trascinarla nel baratro. In una foto molto più di una testimonianza storica, ma il senso stesso delle radici di un movimento suo malgrado nato dal basso, che non faceva leva (come altri) sull'ignoranza del popolo ma era esso stesso parte di quell'ignoranza. I discorsi da bar del provincialismo lombardo si espandevano a macchia d'olio nel Nord conquistando comuni, province, seggi in quel parlamento romano che loro stessi ripudiavano. Bisognava stare dentro per colpire il sistema, questa la tesi del grande capo, di quel leader indiscusso più simile a un capo tribù che a un segretario di partito.
 
Del fenomeno "Lega" nell'ultimo ventennio si è scritto e teorizzato fino alla nausea. Di certo ci fu l'intuizione di Gianfranco Miglio, che capì prima di altri che quei sentimenti repressi di autonomismo del nord si sarebbero potuti federare, utilizzando come collante il rancore verso il meridione "colpevole" di far cassa con le tasse pagate dall'onesto cittadino padano. Di fatto la "caccia al ladro" è stato il manifesto fondativo del Carroccio. Un concetto che fu portato all'estremo perché il "ladro" era lo stato centrale da cui il nord doveva liberarsi.
Ciò che è innegabile, è che la Lega ha stravolto gli equilibri della politica italiana di allora e degli anni successivi, intaccando trasversalmente i bacini elettorali dei grandi partiti della prima repubblica e posizionandosi come ago della bilancia di un sistema politico che era esploso, da una parte a causa delle inchieste giudiziarie e dall'altra per il radicale cambiamento del sistema elettorale.
Tuttavia, ciò non sarebbe mai bastato se non ci fosse stato qualcuno in grado di impersonificare il tutto e Umberto Bossi è stato questo per 23 anni. E' stato il più longevo leader della Seconda Repubblica, l'unico rimasto sempre in sella persino nei momenti più gravi della sua malattia. E fa un certo effetto il contrasto con quello che nel 1989 - quando nacque la Lega - era il più grande partito organizzato d'Italia, un partito che da allora ha cambiato ben 5 leader (sarebbero 6, considerando che Veltroni è stato sia segretario dei DS che del PD).
 
Simbolicamente è colui che "spegne la luce" sulla Seconda Repubblica, come fanno gli ultimi che escono.
Il linguaggio scurrile, le canottiere, quel costante utilizzo del dito medio che negli anni è diventato quasi un gesto caratterizzante, una dissacrazione del pugno alzato e del saluto romano. E poi quel "Ce l'ho duro" poi mutuato in "La lega ce l'ha duro" a delineare quella rozzezza maschilista e quasi barbara (simbologia molto usata negli anni dalla Lega), che scatenò le ingenue proteste degli ultimi strascichi del movimento femminista, che denunciava la prepotente discesa in campo dell'erezione nella politica italiana. Movimento umiliato in breve tempo dalle tante supporter che affollavano i sempre più numerosi raduni del partito e del suo leader inneggiando palesemente a quella stessa consistenza, motivo di vanto e di sollazzo della donna padana.
Bossi è stato la Lega e sarà difficile immaginare una Lega senza Bossi, perché a differenza del voto "conservatore" che si è impersonificato in Berlusconi dopo essere diventato orfano della DC e che si impersonificherà in altri leader in futuro, una tribù orfana del suo capo rischia di disperdersi. Gli striscioni degli ultimi "irriducibili" in fondo dicono esattamente questo: "Bossi la Lega sei tu".
 
Dall'apice delle ampolle, dei fazzoletti e delle cravatte verdi, da quell'idealizzazione di uno stato nello stato, da quella Padania più delirio che realtà che la politica italiana ha trasversalmente avallato in modo silente, perché quei seggi in Parlamento sono serviti in varie stagioni a tenere in vita governi agonizzanti, fino ai momenti di isolamento e di "esilio" politico del movimento, il capo è sempre stato al suo posto, inamovibile.
Ma come tutti i capi è stato lui stesso artefice del suo potere e del suo inesorabile declino umano e politico.
Fu proprio quella millantata "durezza" che mescolata a una vita non certo salubre e all'inesorabile scorrere degli anni, a provocargli quell'ictus cerebrale che debilitò il suo corpo da "combattente", rendendolo più umano anche agli occhi del suo popolo (la leggenda metropolitana vuole che con lui quella sera ci fosse Luisa Corna - ovviamente intenta a leggere poesie di Neruda - ma la protagonista del gossip ha sempre smentito).
E poi un susseguirsi di fatti e quel lento logoramento della Lega e del suo leader che nel tempo hanno tradito sempre più quella "foto del cappio" ormai sbiadita. Quell'alleanza sempre più ingombrante e difficile da giustificare con chi costringeva gli "onesti" uomini padani a votare leggi sulla giustizia ad personam, a non far processare uomini politici collusi con la camorra. Un partito sempre più colluso con quel palazzo che si era sempre ripromesso di abbattere. E poi l'avvento del "trota", inspiegabile ascesa di quel figlio asino in contraddizione palese con tutte le ingiurie e gli attacchi lanciati negli anni contro il nepotismo, il coinvolgimento di amministratori locali in fatti di corruzione e la struttura del partito ormai logorata e infettata da quel virus incurabile che chi fa politica rischia sempre di contrarre se non ha quell'immunità innata che si chiama onestà.
 
I fatti di questi giorni sono l'epilogo della Seconda Repubblica, che dopo aver perso il personaggio che l'ha impersonificata perde anche il leader e il movimento che l'ha resa possibile rompendo gli equilibri esistenti. E' l'alba della Terza Repubblica, che verosimilmente sarà la "Repubblica dei Tecnici".
E fanno quasi tenerezza i gestacci e gli insulti a mezza bocca del grande capo del Nord verso il solito giornalista "rompiballe", la metafora e la realtà di quel membro ormai molle e decadente che ci saluta con quel dito medio che ormai non ci impressiona più.

 
 
 

Frammenti...

Post n°7 pubblicato il 24 Gennaio 2012 da puntacampabella
 

Sofia, 7/8/2011

 

Questo ritorno in Turchia 2 anni dopo mi vede transitare ancora una volta per Sofia. E non solo perché il prezzo del volo è decisamente inferiore a quello diretto per Istanbul... L'esperienza della traversata notturna in autobus o in treno dalla Bulgaria alla Turchia, i volti che si incrociano in quel viaggio e la sosta notturna nella fredda dogana a pochi chilometri da Edirne, era qualcosa che avevo voglia di rivivere. Per raggiungere la città dall'aeroporto ho dovuto cambiare 2 autobus (i taxi costano poco ma tendono a fregarti e non ho voglia di contrattare subito un prezzo col rude bulgaro di turno). Il primo era un tranquillo bus di linea che mi ha portato fino ad una fermata capolinea da dove avrei potuto scegliere fra ben 4 altri autobus. Decido ovviamente di prendere il primo che passa e nel frattempo scambio due parole nel mio inglese pessimo con la rubiconda bulgara che poc'anzi mi aveva fornito le preziose informazioni su come arrivare alla stazione (essendo scritto tutto in cirillico...). Neanche il tempo di consigliarle di contattare un buon dietologo che la tipa mi indica il bus... Una specie di furgoncino tutto scassato guidato da un brutto ceffo sulla cinquantina che mi fa salire sbuffando. Pagato il biglietto cerco di chiedere allo pseudo conducente quale fosse la fermata per la stazione... La risposta è uno sbuffo e un gesto del tipo "non mi cacare il cazzo". Mi siedo e nel frattempo comincio a pensare come raggiungere la stazione una volta che il furgoncino bulgaro mi avrà portato fino al capolinea senza avvertirmi che dovevo scendere.... Insomma comincio a pensare a come dovrò tornare in centro una volta arrivato nella "tor pagnotta" di Sofia. Ma fortunatamente il capolinea è proprio alla stazione ferroviaria. Una volta arrivati, lo pseudo conducente mi congeda con un gesto del tipo "scendi e levati dal cazzo". Arrivato alla biglietteria scopro che il primo treno per Istanbul è il giorno successivo alle 7 di sera... No... Non mi va di passare un giorno a Sofia. Di fronte la stazione ci sono i capolinea dei bus e fra le tante compagnie c'è solo l'imbarazzo della scelta. Ne trovo uno con mini bar e wc (ormai ho un'età) che con l'equivalente di 20 euro mi fa stare a Istanbul domattina alle 6 partendo alle 22. Ho circa 3 ore per una passeggiata a Sofia, il centro è vicino. Direi che il viaggio è cominciato.

 

**** 

 

Sofia è povera, più povera di come la ricordassi. O forse anch'essa è stata impoverita da ciò che ci fanno chiamare "crisi". Le persone di ogni età che camminano le strade nei pressi della stazione ferroviaria hanno i lineamenti forti e i visi rugosi. Si sposano alla perfezione con gli edifici decadenti e con i tanti cani randagi che girano indisturbati per la città. E se qualcuno cominciasse a tatuare i cani, gli uomini e le bestie sarebbero difficili da distinguere. Nelle poche ore passate a Sofia prima di ripartire per Istanbul ho fatto quattro chiacchiere con la proprietaria di un market dove ho comprato dell'acqua e della cioccolata. La signora non più nel fiore dell'età conosceva qualche parola di italiano e si è fatta capire.«ho sentito da BBC di crisi economica ora anche Spagna e Italia... Noi qui sempre crisi... Si lavora e se non si lavora più si parte e si va a lavorare (risata) poi forse si ritorna... L'importante è felicità».

Sofia è più povera di come la ricordassi e le persone che popolano le sue strade somigliano ai tanti cani randagi che girano indisturbati per la città. Se non fosse per i tatuaggi che i cani non hanno.  Ma se mai un giorno quella che ci fanno chiamare "crisi" ci renderà poveri come gli abitanti di Sofia, non credo che saremo in grado di mantenere la loro stessa dignità. E la capacità di cercare umilmente la felicità.

 

 

Tratta Sofia-Istanbul, 7-8/8/2011

 

Speravo di poter fare un viaggio silenzioso e meditabondo (nonché cercare di dormire qualche ora), ma ciò non è stato possibile a causa di Giuan (che non è il diminutivo di Giovanni), un giovane frikkettone veneto diretto in Iran che attraverserà la Turchia in autostop. Studioso di lingue, gira in opinabili condizioni igieniche con un piccolo zaino e un mini pc dove porta le fotocopie digitalizzate di una grammatica turca e dei dizionari. Dopo aver cercato di convincermi per ore a seguirlo fino a Tehran ha capito che mi sarebbero serviti qualche giorno in più di vacanza e qualche anno in meno. Prima di cadere fra le braccia di Morfeo, mi ha promesso che mi avrebbe inviato via mail il "Bigami" della grammatica turca e il dizionario. Quando dorme non parla ma in compenso russa.

La frontiera fra la Bulgaria e la Turchia è come la ricordavo. Due ore di attesa per passare le due dogane, i primi veli al duty-free e strani pendolari di indecifrabile etnia che con poco bagaglio la attraversano a piedi e di notte. Si riparte, per fortuna quando risalgo sull'autobus Giuan ha già ripreso a dormire e a breve farò lo stesso. Di lui ricorderò gli odori forti, il fatto che alla fine di ogni frase mi diceva "capito vecchio?" (penso sia un'espressione ricorrente dello slang giovanile del nord est) e la naturalezza con cui si puliva i piedi lerci con le mani mentre mi parlava. 

Malgrado l'aria condizionata fin troppo forte l'umidità mi fa sudare e mi riesce difficile prendere sonno. Tuttavia, lentamente la stanchezza ha la meglio, almeno per qualche ora. Mi risveglio alle prime luci dell'alba, dal finestrino un paesaggio familiare fatto di migliaia di case che sembrano essere costruite l'una sull'altra, taxi e auto spericolate e rumorose, minareti che si ergono qua e la come delle piccole oasi in mezzo a uno sconfinato e anarchico delirio architettonico. Buongiorno Istanbul, non sai quanto sono felice di rivederti.   

 

 

Istanbul, 8/8/2011

 

Il servizio navetta della compagnia con cui ho viaggiato mi porta fino a Taksim, nel quartiere di Beyoglu. Sono nel cuore della Istanbul moderna, una zona frequentata da giovani e piena zeppa di locali e discoteche. Decido di snobbare le terrazze di Sultanhamet e pernottare qui. Saluto Giuan che prosegue il suo viaggio sulla via della seta e cerco una stanza in mezzo alla miriade di hotel e ostelli del quartiere. La stanchezza del viaggio comincia a farsi sentire, così come il bisogno di una doccia. L'hotel "Paradise"  ha i prezzi un po' più alti della media ma è comunque abbordabile. Camera singola con bagno, frigo, tv e aria condizionata... Dopo tutte queste ore di viaggio qualche lusso non guasta.

Prelevo le mie prime lire turche e prendo la stanza. Una doccia veloce, prima di  crollare sul letto e risvegliarmi verso mezzogiorno.

Ritemprato dal riposo faccio un giro per Beyoglu, fino alla torre di Galata e poi giù fino al ponte Galata. Le stradine che scendono verso il Bosforo sono zeppe di liutai e di negozi di artigianato locale, nonché dei soliti kebabbari che ne vendono di ogni forma e tipo. Come in tutta la città i gatti girano indisturbati e in quasi ogni negozio se ne trova almeno uno. Si fanno accarezzare e grattare un po' da tutti e molti sono in sovrappeso.  Sceso fino alla sponda orientale del ponte, mi fermo a mangiare nei pressi del mercato del pesce, in uno dei tanti fatiscenti ristoranti sulla riva del Bosforo che normalmente i turisti non frequentano per le discutibili condizioni igienico sanitarie. Ordino delle sardine fritte spezziate e dell'insalata con cipolla. Mangio in compagnia di un gatto di pochi mesi che per tutto il tempo mi si arrampica addosso cercando di rubarmi il pesce. Trovo un accordo di massima (non senza difficoltà, parla solo il turco) e gli cedo le teste e le code.

Finito il pasto con l'immancabile tè e congedatomi dal giovane felino attraverso il ponte Galata fermandomi di tanto in tanto ad osservare alcuni dei tanti pescatori più o meno improvvisati che tirano su piccoli pesci azzurri sporgendo la loro canna a mulinello dalle ringhiere. La loro tecnica è affascinante; la lenza è montata con un piombo di almeno 30 grammi e su di esso decine di piccoli ami ad una distanza di circa 10 cm l'uno dall'altro. Una montatura assai simile a quella che si usa per le lenze quando si pesca dalla barca, che vista su centinaia di canne a mulinello disposte a meno di un paio di metri di distanza fa un certo effetto. Osservando noto che le esche variano a seconda dell'esperienza e delle pretese del pescatore. C'è chi usa il verme ma con scarsi effetti, chi la mollica di pane di cui i “cefalotti” sono ghiotti e chi cozze e gamberetti. Ma i più esperti attaccano all'amo dei piccoli ramoscelli verdi e una volta calata la lenza la fanno muovere su e giù ondeggiando la canna. I ramoscelli nell'acqua simuleranno il movimento di piccoli molluschi e attireranno gli ingenui predatori che verranno tirati su a gruppi di 3 o 4 alla volta; una piccola mattanza. Alcuni di loro vendono il pescato ancora vivo direttamente sul ponte, facendosi magari aiutare dai figli o dalla moglie, altri si portano il pescato la sera a casa per la cena. Certo... Guardando giù dal ponte quell'acqua putrida e sentendo l'odore di fogna che sale, la sola idea di mangiare un pesce pescato lì fa venire il voltastomaco. Ma in fondo penso che le sardine mangiate un centinaio di metri prima non vengano da molto lontano e se sono qui a raccontarlo vuol dire che ho buone probabilità di sopravvivere.

Attraversato il ponte e mi dirigo verso il bazar egiziano. Ad essere sincero ciò che mi ha spinto a tornarvi è una specie di caciocavallo sfilacciato che viene strappato a mani nude dal venditore e pesato. Sfido la sorte e me ne faccio preparare un sacchetto (a dire il vero il tipo me ne stava dando mezzo chilo) e proseguo soddisfatto mangiando gli sfilacci come fossero pop-corn. I venditori i spezie hanno sempre il loro fascino, la loro furbizia nell'esporre i prodotti è invidiabile e sono fra i meno invadenti commercianti dei bazar. Acquisto un po' di spezie e del te alla mela, il tutto viene preparato sotto vuoto con molta accuratezza, accetto il secondo tè della giornata offertomi come ringraziamento per l'acquisto appena fatto e risalgo verso Sultanahmet e il Gran Bazar. 

Comincio a vagare senza una meta peri cunicoli dove si vende di tutto e scelgo volutamente di non passare per la zona più turistica del gigantesco mercato. Osservo negozi e bancarelle che espongono merci incomparabili, dalla biancheria intima per donne col velo ai vestiti da festa dei bambini che vengono vestiti come Aladino in occasione della circoncisione. E poi bigiotterie di scarsa qualità, veli di ogni tipo, finta pelle in quantità impressionante, cellulari, pezzi di cellulari ecc..

I frequentatori di questa zona del bazar sono per lo più turchi o turisti che hanno la classica espressione di chi si è perso. Mi siedo sul seggiolino di una bettola a fianco di 2 anziani che giocano a blakjak e ordino dell'acqua e il solito tè... Che a dire il vero mi viene quasi estorto dal vecchio proprietario del "locale" che parla solo turco ma ha deciso che dobbiamo chiacchierare. Con una certa fatica lo saluto e lo ringrazio con "tesekkür ederim" che è l'unica parola turca che so e vuol dire "grazie", ma quando la dico mi sento un figo.

Scendo nella parte più turistica e patinata del bazar cercando qualche bell'anello da aggiungere alla mia collezione. Purtroppo dopo aver girato un bel po' per la zona dei gioiellieri, non trovo nulla di decente a un prezzo ragionevole. Una scena singolare attrae però la mia attenzione: decine di uomini armati di uno o più cellulari si gridano addosso delle cose, scrivono su un taccuino e parlano al telefono comunicando quello che hanno scritto. Quando uno finisce l'altro sembra rilanciare... Sarà mica la borsa di Istanbul? O forse sono scommesse clandestine? Domande che non troveranno risposta... Mi riprometto di cercare su google qualche informazione in merito.

Decido così di attraversare nuovamente il ponte di Galata per raggiungere la mia prossima meta: lo "Yesildirek Hamami". Qui a dire il vero ha prevalso la mia curiosità morbosa verso i luoghi della perdizione. La guida citava infatti questo hammam come uno dei pochi ritrovi di omosessuali turchi e non solo. Ovviamente si raccomanda discrezione, qui non c'è molta tolleranza... E io raccomando a me stesso di battere ritirata qualora la situazione degenerasse troppo, onde evitare la perdita non voluta di una certa verginità che conservo e tutelo con cura.

Una volta arrivato, ammiro subito la bellezza della struttura. Si tratta infatti di uno dei più antichi hammam della città e si vede. Le stanzette in legno e il marmo bianco uniti all'odore forte di acqua di colonia mi fanno pensare per un attimo di essere tornato indietro nel tempo, fino a quando la voce del rubicondo proprietario che mi porge panni e saponetta mi riporta al presente. Un presente in cui l'obiettivo è "osservare restando integri". Mi cambio ed entro subito nella sikaklik (sala del vapore) e giro furtivo per le stanzette meditando un eventuale piano di fuga, ma la situazione è più tranquilla di quanto pensassi. Oltre a me ci sono circa una dozzina di altri avventori, per lo più turchi e un paio di "coppie" europee. L'unica scena degna di nota è un signore sulla cinquantina che osserva un giovane e biondissimo ragazzo nordico che si lava, ravanandosi (voce del verbo ravanare) l'arnese sotto il panno. 

Mi sdraio e osservo le magnifiche volte ottomane e i fasci di luce che entrano dagli oblò. Dopo qualche minuto mi sento chiamare da uno dei tipi che avevo visto all'entrata che mi propone uno scrub con massaggio. Nella pausa fra la domanda e la risposta, nella mia testa cominciano a rullare pensieri più o meno in questo modo: "e se poi allunga troppo le mani e vuole fare altro?... Beh basta dirgli di no!... E poi lui è uno che lavora qui, perché se la dovrebbe rischiare in questo modo?... Certo il massaggio lo ricordo bellissimo ma farlo qui forse è un po' rischioso.... Che faccio?... La faccia del tipo è rassicurante e poi cavolo, potrebbe essere mio padre... Anzi ci assomiglia pure... Mmmm... Quest'ultima immagine non depone a suo favore... Vabbé... Mi fido.... Lo faccio".

Lo scrub e il massaggio molto energico mi riportano in vita, il signore non attenta alle mie virtù ma si diverte a farmi scricchiolare tutte le vertebre ridendo con il viso pacioccoso ad ogni rumore delle mie malconce articolazioni. Uscito nell'androne mi viene massaggiato il collo con l'acqua di colonia (da un altro tipo sulla cinquantina comparso dal nulla) e ovviamente mi viene offerto l'immancabile tè... Che se continuano così stanotte comincerò a roteare come un sufi per le vie di Beyoglu. Esco dall'hammam felice per il trattamento e per le virtù conservate e un po' deluso perché non potrò raccontare di aver visto scene di sodomia su lastre di marmo secolari con in sottofondo il canto del muezzin "Allahu Akbar".

Tornato in strada decido di proseguire sulla scia "gay friendly" e di andare in un locale che si trova in una traversa di Istikâl Caddesi, per capire dove ascoltare un po' di musica facendomi consigliare dai gay che di solito la sanno lunga in materia. Ma arrivato sul posto (che poi si trova a due traverse di distanza dalla via dell'hotel) non trovo molte persone e quelle che trovo sono poco socievoli. Non deve essere facile essere pubblicamente gay in un paese come la Turchia, ma quelli che ho trovato sono pure un po' sfigati. Cerco di farmi dire dal cameriere del locale dove trovare un po' di movimento ma il suo inglese è peggio del mio (quindi nullo) e a gesti mi fa capire più o meno che girando per le vie limitrofe qualcosa avrei trovato. Prima di salutarci mi chiede di togliermi il cappello per vedermi meglio, io lo faccio e lui fa una specie di gesto di apprezzamento. In risposta sfodero il mio "tesekkür ederim" e lo saluto.

Individuato a grandi linee il posto dove bere, cerco un posto dove mangiare qualcosa... La fame comincia a farsi sentire. Noto una tavola calda self service con una lunga fila di turchi e mi ci fiondo come un rapace. Mangio kebab di agnello con patatine condito con abbondanti salse, riso e insalata di pomodori e cipolle. Mi bevo anche il tipico bibitone bianco a base di yogurt acido per sentirmi turco al 100%. Finita la cena accuso una certa stanchezza, ma non rinuncio a una birra a pochi passi dall'albergo in uno dei tanti pub di Beyoglu... È stata una giornata lunga, è ora di riposare.

 

Istanbul, 9/8/2011

 

Mi sveglio con comodo mezzogiorno e decido di imbarcarmi per il quartiere di Kadiköy, sulla sponda asiatica. La guida parla molto bene delle stradine che si arrampicano sulla collina e del mercato ortofrutticolo di quello che una volta veniva chiamato "villaggio del giudice". Il traghetto che porta a Kadiköy passa di fronte alla stazione di Haydarpasa, una mia vecchia conoscenza... È da lì che presi il treno per Kayseri due anni fa. Il palazzo di quella che è la stazione orientale di Istanbul è meraviglioso, si erge sulle acque del Bosforo e dà l'idea di una frontiera, superata la quale viaggi verso un altro mondo. In effetti un po' lo è... Quando metti piede su quella sponda sei in Asia.

Mentre Haydarpasa mi passa davanti mi viene in mente che dovrei decidere la prossima tappa del viaggio... A dire il vero l'idea è quella di andare a Konya, magari viaggiando in treno di notte. Due anni fa ci feci scalo per poche ore ma non riuscii a vederla, forse è venuto il momento di rendere omaggio alla tomba di Mevlana nella città sacra dei dervisci rotanti. Decido quindi di passare per Haydarpasa tornando da Kadiköy, a piedi sono 15 minuti circa di passeggiata in riva al Bosforo.

I banchi del mercato di Kadiköy in effetti sono molto caratteristici, ho la fortuna di attraversare le stradine nel giorno del mercato del pesce. Le scene ricordano vagamente quelle del mercato di Via Foria a Napoli, con la differenza che i turchi sono un po' meno rumorosi e presentano la merce in maniera decisamente migliore.

Ma una caratteristica del quartiere di Kadiköy che la guida quasi ignora è la quantità di pub e locali che presentano musica dal vivo, nonché l'enorme quantità di negozi di dischi, fumetti e laboratori  di tatoo. È un quartiere frequentato da giovani come Beyoglu, ma più... Frikkettone. Mi siedo in un pub e comincio a parlare con uno spagnolo che mi invita ad assistere al suo concerto la sera stessa in quel locale, gli faccio credere che se non fossi partito per Konya la sera stessa sarei stato in prima fila. Mi becco così una specie di volantino con le date dei suoi concerti in giro per la Turchia... Vuole proprio che lo vada a sentire. Lasciato il pub e il musicista iberico, passeggio fino alla stazione di Haydarpasa rischiando di essere investito almeno un paio di volte al capolinea delle linee di minibus. Una terribile caratteristica dei turchi è quella di guidare da criminali e di usare il clacson quando non serve. E detto da un napoletano fa un certo effetto. 

Arrivato alla stazione leggo che c'è un treno per Konya alle 23.30 con arrivo il giorno dopo a mezzogiorno. Mi sembra una soluzione perfetta e compro il biglietto. Visto il prezzo ragionevole e l'età non più da ragazzino mi prendo una cuccetta; i treni turchi sono pochi e lenti ma quelli che ci sono hanno tutti i comfort e un servizio impeccabile. Mi imbarco e torno a Beyoglu per recuperare lo zaino e mangiare qualcosa. Mi fermo in uno dei tanti "kebabbari" e ne provo uno che mi sembra diverso dagli altri. In effetti è spezziato in modo assai diverso rispetto al solito... Molto buono, ci tornerò quando ripasserò per Istanbul al ritorno.

Finito il breve pasto proseguo sulla strada e intravedo un piccolo hammam senza grosse pretese, ne approfitto per darmi una lavata e cambiarmi. Il posto è molto spatrtano ma pulito. Nulla a che vedere con il fascino dello "Yesildirek Hamami", niente volte e un arredamento moderno, ma il servizio è impeccabile. Esco lavato e profumato e vado a prendere lo zaino; ho ancora un'ora e mezza di tempo e mi dirigo con molta calma all'imbarco del traghetto. Per fortuna trovo subito un traghetto che fa scalo alla stazione, non dovrò rischiare di nuovo la vita al parcheggio dei mini bus. Il treno è già in stazione con molto anticipo e ne approfitto per salire subito in carrozza e sistemare tutte le cose; la cuccetta ha il frigo, il lavabo, l'aria condizionata (fin troppo forte a dire il vero) e la presa per caricare cellulari e iPad. Mi siedo e comincio a leggere e scrivere, nel frattempo l'addetto del vagone mi porta 2 succhi di frutta, 2 merendine e dell'acqua. Il treno parte in perfetto orario, le luci di Istanbul scorrono via velocemente. Do uno sguardo all'immensa periferia della città in continua espansione; case e grattacieli in costruzione che saranno finiti nel giro di pochi mesi e continueranno a cambiare questo paesaggio in continuo mutamento. Sembra quasi il destino di questa immensa città.

Continuo a leggere e scrivere per un paio d'ore, cambio pezzi del racconto che sto ultimando, trovo il posto dove dormire a Konya e quando il treno rallenta in prossimità dei paesini sulla linea ferroviaria mi soffermo a osservare le luci e le persone che li popolano.

 

**** 

 

Anche questa volta Istanbul mi ha rigenerato l'animo. Sarà il bombardamento di luci, suoni e odori, saranno i fasci di luce che entrano dagli oblò degli hammam, saranno i tanti quadretti a cui ho assistito e le persone con cui ho parlato. Uno in particolare mi  rimarrà  impresso; quando osservando i pescatori sul ponte di Galata mi sono soffermato su un'insolita gara fra padre e figlio a chi tirava su più pesci ad ogni calata. In due avevano fatto una strage. Anche questo è Istanbul, il ritorno alle origini delle cose e alla loro funzione originaria, le montature delle lenze pensate per turar su tanto pesce e non per un solo grande pesce, la sostanza che prende il sopravvento sull'immagine, il vero che vince sul falso. Difficile non farsi catturare da un luogo così mutevole, sempre in continuo movimento, pervaso da un'innata frenesia. Istanbul è un enorme mercato rumoroso, ma anche il senso di pace che ti da il Bosforo al tramonto. Quando lo osservi e con la mente cominci a navigare con lo sguardo rivolto a ovest, verso le tue coste, verso i tuoi ricordi. Nei giorni del ramadan immense tavolate di parenti aspettano in religioso silenzio il canto del muezzin per cominciare a mangiare e in questi giorni al calar della sera si festeggia nelle piazze dei paesi e delle città. Sulle terrazze di Istanbul l'effetto di quegli attimi è amplificato e difficilmente descrivibile. Se un giorno avrò la possibilità di ritirarmi a vita migliore probabilmente mi si dovrà cercare in qualche vicolo di di questa che più che una città sembra un enorme essere vivente. Magari sarò nella zona del mercato del ferro o in quella dei liutai. Non sarà facile trovarmi perché probabilmente sarò lì per perdermi. Per ritrovare me stesso.

 

(dal diario di viaggio - Turchia 2011)

 
 
 

Frecciarossa...

Post n°6 pubblicato il 25 Febbraio 2011 da puntacampabella
 

‎3 ore da Milano a Roma. Comodissimo. Ma rimpiango un certo romanticismo, quelle gucciniane "luci nel buio di case intraviste da un treno". I 300 km/h non lasciano molto spazio all'immaginazione, provi a guardare fuori e la storia che provi a collegare a ciò che vedi è già parecchi chilometri indietro. A 300 km/h le storie vanno ridotte all'osso. Insomma... dal finestrino vedo tante eiaculazioni precoci.

 
 
 

2061

Post n°5 pubblicato il 15 Febbraio 2011 da puntacampabella
 

 

«Nonno nonno… E poi cosa è successo? E' morto?»
«No… Pare sia ancora vivo e abiti su un'isola delle Antille»
«Lo mandarono via quelli di quel partito?… Quelli della legge elettorale...?»
«No no… Quelli se ne andarono con lui in un certo senso…»
«Il televoto?»
«No… all'epoca si votava su dei fogli di carta con delle matite»
«Hahahahaha»
«Non ridere! Ai miei tempi non bastava vincere il Grande Fratello per diventare Primo Ministro! Un po' di rispetto!»
«E che bisognava fare?!»
«Mmmm… Dovevi fare altre cose, mo' non mi fare domande difficili che sono vecchio e rincoglionito…»
«Ma come lo cacciaste!? Una rivoluzione!?»
«NO!! Mai fatte queste cose»
«Ma le hanno fatte tutti! Pure in Africa!»
«Non fare il razzista che lo dico a tua madre!»
«Ok ma mi dici come vi liberaste di quello lì?!»
«Fu travolto da un vortice di figa…»
«Un vortice di che?!»
«di figa…»
«Cos'è la figa nonno?!?»
«Non ricordo… Non era una cosa così brutta però… La figa... Non riesco a ricordare... La fi...g...g...»
«Nonno! Che hai?! Ti senti male!?! Nonnoooooooo!!!»

 

 
 
 

La fica che non si paga

Post n°4 pubblicato il 22 Gennaio 2011 da puntacampabella
 
Foto di puntacampabella

Sono giorni difficili per la fica. Oggetto della discordia di un paese intero, vittima elle troppe malelingue che invece di leccarla dolcemente la denigrano in pubblico e la snobbano in privato, preferendole il buco del culo.

La fica merce in vendita nel gran bazar, bagnata artificialmente e offerta al cliente. La fica corpo del reato, oggetto della vergogna e del disprezzo, la fica rinnegata e mortificata, la fica nuda, quasi completamente depilata.

E' sempre difficile per la fica non nascondersi, non farsi condizionare dal potere temporale di quel cazzo che la vuole succube, schiava e sempre pronta ad aprire le labbra a comando. E mentre tutti ne parlano troppo senza neanche nominarla, la fica vive il suo ennesimo storico dramma. Ancora una volta brutalizzata, rischia sempre più la clandestinità per fuggire ai luoghi comuni, ai soliti preti e a tutti coloro che la vogliono debole e subalterna.

Dedicato alla fica. La fica orgogliosa di mostrarsi al Mondo come nel dipinto di Courbet, perché del Mondo è origine. La fica di Stefania Sandrelli ne "la Chiave" di Tinto Brass, la fica che si bagna e che gode senza fermarsi, la fica che si scopa il cazzo fino a sfiancarlo, che ne vuole ancora fino a impazzire. La fica aggressiva e dolce nello stesso attimo, la fica che sanguina di piacere, che si contrae e si dilata, che si lascia trasportare fino al non ritorno e non trattiene il piscio nell'ultimo orgasmo, quello liberatorio e fatale. 

Dedicato alla fica. La fica che non si arrende, la fica che non si paga.

 

 
 
 
 
 

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