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L'ultima erezione della Seconda Repubblica

Post n°8 pubblicato il 10 Aprile 2012 da puntacampabella
 
Foto di puntacampabella

Era l'alba della Seconda Repubblica, quel 1993 dove Luca Leoni Orsenigo - deputato della lega Nord - sventolò il cappio contro quei politici "ladroni" colpevoli di essere corrotti e di aver indebitato l'Italia fino a trascinarla nel baratro. In una foto molto più di una testimonianza storica, ma il senso stesso delle radici di un movimento suo malgrado nato dal basso, che non faceva leva (come altri) sull'ignoranza del popolo ma era esso stesso parte di quell'ignoranza. I discorsi da bar del provincialismo lombardo si espandevano a macchia d'olio nel Nord conquistando comuni, province, seggi in quel parlamento romano che loro stessi ripudiavano. Bisognava stare dentro per colpire il sistema, questa la tesi del grande capo, di quel leader indiscusso più simile a un capo tribù che a un segretario di partito.
 
Del fenomeno "Lega" nell'ultimo ventennio si è scritto e teorizzato fino alla nausea. Di certo ci fu l'intuizione di Gianfranco Miglio, che capì prima di altri che quei sentimenti repressi di autonomismo del nord si sarebbero potuti federare, utilizzando come collante il rancore verso il meridione "colpevole" di far cassa con le tasse pagate dall'onesto cittadino padano. Di fatto la "caccia al ladro" è stato il manifesto fondativo del Carroccio. Un concetto che fu portato all'estremo perché il "ladro" era lo stato centrale da cui il nord doveva liberarsi.
Ciò che è innegabile, è che la Lega ha stravolto gli equilibri della politica italiana di allora e degli anni successivi, intaccando trasversalmente i bacini elettorali dei grandi partiti della prima repubblica e posizionandosi come ago della bilancia di un sistema politico che era esploso, da una parte a causa delle inchieste giudiziarie e dall'altra per il radicale cambiamento del sistema elettorale.
Tuttavia, ciò non sarebbe mai bastato se non ci fosse stato qualcuno in grado di impersonificare il tutto e Umberto Bossi è stato questo per 23 anni. E' stato il più longevo leader della Seconda Repubblica, l'unico rimasto sempre in sella persino nei momenti più gravi della sua malattia. E fa un certo effetto il contrasto con quello che nel 1989 - quando nacque la Lega - era il più grande partito organizzato d'Italia, un partito che da allora ha cambiato ben 5 leader (sarebbero 6, considerando che Veltroni è stato sia segretario dei DS che del PD).
 
Simbolicamente è colui che "spegne la luce" sulla Seconda Repubblica, come fanno gli ultimi che escono.
Il linguaggio scurrile, le canottiere, quel costante utilizzo del dito medio che negli anni è diventato quasi un gesto caratterizzante, una dissacrazione del pugno alzato e del saluto romano. E poi quel "Ce l'ho duro" poi mutuato in "La lega ce l'ha duro" a delineare quella rozzezza maschilista e quasi barbara (simbologia molto usata negli anni dalla Lega), che scatenò le ingenue proteste degli ultimi strascichi del movimento femminista, che denunciava la prepotente discesa in campo dell'erezione nella politica italiana. Movimento umiliato in breve tempo dalle tante supporter che affollavano i sempre più numerosi raduni del partito e del suo leader inneggiando palesemente a quella stessa consistenza, motivo di vanto e di sollazzo della donna padana.
Bossi è stato la Lega e sarà difficile immaginare una Lega senza Bossi, perché a differenza del voto "conservatore" che si è impersonificato in Berlusconi dopo essere diventato orfano della DC e che si impersonificherà in altri leader in futuro, una tribù orfana del suo capo rischia di disperdersi. Gli striscioni degli ultimi "irriducibili" in fondo dicono esattamente questo: "Bossi la Lega sei tu".
 
Dall'apice delle ampolle, dei fazzoletti e delle cravatte verdi, da quell'idealizzazione di uno stato nello stato, da quella Padania più delirio che realtà che la politica italiana ha trasversalmente avallato in modo silente, perché quei seggi in Parlamento sono serviti in varie stagioni a tenere in vita governi agonizzanti, fino ai momenti di isolamento e di "esilio" politico del movimento, il capo è sempre stato al suo posto, inamovibile.
Ma come tutti i capi è stato lui stesso artefice del suo potere e del suo inesorabile declino umano e politico.
Fu proprio quella millantata "durezza" che mescolata a una vita non certo salubre e all'inesorabile scorrere degli anni, a provocargli quell'ictus cerebrale che debilitò il suo corpo da "combattente", rendendolo più umano anche agli occhi del suo popolo (la leggenda metropolitana vuole che con lui quella sera ci fosse Luisa Corna - ovviamente intenta a leggere poesie di Neruda - ma la protagonista del gossip ha sempre smentito).
E poi un susseguirsi di fatti e quel lento logoramento della Lega e del suo leader che nel tempo hanno tradito sempre più quella "foto del cappio" ormai sbiadita. Quell'alleanza sempre più ingombrante e difficile da giustificare con chi costringeva gli "onesti" uomini padani a votare leggi sulla giustizia ad personam, a non far processare uomini politici collusi con la camorra. Un partito sempre più colluso con quel palazzo che si era sempre ripromesso di abbattere. E poi l'avvento del "trota", inspiegabile ascesa di quel figlio asino in contraddizione palese con tutte le ingiurie e gli attacchi lanciati negli anni contro il nepotismo, il coinvolgimento di amministratori locali in fatti di corruzione e la struttura del partito ormai logorata e infettata da quel virus incurabile che chi fa politica rischia sempre di contrarre se non ha quell'immunità innata che si chiama onestà.
 
I fatti di questi giorni sono l'epilogo della Seconda Repubblica, che dopo aver perso il personaggio che l'ha impersonificata perde anche il leader e il movimento che l'ha resa possibile rompendo gli equilibri esistenti. E' l'alba della Terza Repubblica, che verosimilmente sarà la "Repubblica dei Tecnici".
E fanno quasi tenerezza i gestacci e gli insulti a mezza bocca del grande capo del Nord verso il solito giornalista "rompiballe", la metafora e la realtà di quel membro ormai molle e decadente che ci saluta con quel dito medio che ormai non ci impressiona più.

 
 
 
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