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RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - MARCELLO MOSCHEN

Post n°172 pubblicato il 21 Febbraio 2011 da raccontiitaliani

Aquile

I.

Anch'io sono venuto dai boschi neri

che cosa sulla culla soffiasse non lo so

ma un gran rispetto nella vita ci vuole

per qualcosa che non sia fuggevole

Guardo l'alba nebbiosa, raramente:

dal mio letto s'innalza il me più stanco

guardo nell'aria insudiciata e canto

qualche volta, davanti allo specchio

La mia faccia, devo pur confessarlo

può ispirarmi profonda pietà

un uomo è un uomo, su questo non c'è scampo

quando si tuffa nella quotidianità

Fra nemici e alleati può varcare

il giorno come Mosé fece col mare

prima di notte sarà utile un compplice

meglio una donna, tutto sembra più semplice

La salute si sa viene prima di tutto

e un grande avvenire ci aspetta

c'è nel futuro un crescente guadagno

arriveremo in fretta

Il secolo è democratico

concede tutti i dubbi

nessuno creda facile

tener lontano l'erpice

Vengo da una campagna

fatta di sogni e costi

foreste meste

tempeste

Sento che seduce

talvolta il vecchio Ortis

però sine pecunia

l'homo è l'imago mortis

 

II.

Quando guadagni, chiese

dico quanto guadagni in un mese

Ne studiò il viso

il non appesantito turgore

di secondari attributi sessuali

l'onda dei capelli

ai polsi l'oro

e non rispose

III.

Perché, se tutti, non io

s'accaldava addentando

e forbendosi soppesando

col convitato la trasparenza del bicchiere

Ecco, io cerco di farcela

in modo decente, in fondo

ho una mia competenza, un mondo

di relazioni, certo, anche un destino

o un obbiettivo almeno

Stava per dargli un nome

arrivò il cameriere

 

IV.

Cenano, di lui si intuisce

non l'argomento, il muovere di spalle

lei, maremoto di capelli, alta vendetta

d'occhi, i denti un lampo

e fra le dita il fulminato grissino

in mille pezzi, come cosa morta

passeggere, non sai, la sera è corta

 

Affidato alla voce

I.

Paura, fiducia, follia

disse, e la quarta parola era dolore

la quinta nulla e lì

ebbe un indugio come inciampando, come

se fosse stata spenta ora la radio

che ronzava ronzava già da ore

correndo col registratore

II.

Non so se sia contento

se il soffio della sera gli porti

battaglioni di sogni ad occhi aperti

o se magari guardi un poco nubi

muoversi al ritmodei pennuti, se

piova nel suo interno

d'anima, se ci sia una stanza

dilavata dall'odore di polvere

e d'umido e foglia, come quando

la prima goccia è già caduta e mai

mai una volta che tu l'abbia veduta.

III.

Provare a pensarla, affondare

nel colore che hanno gli alberi di notte

o nell'indaco accidioso del mattino

e non basta

provare a tentarla, chiederle

per piacere se può la sua sparuta

presenza darti un'esperienza vissuta

provare un modello, come

il rumore che hanno i pensieri la notte

il profumo del sigaro

ciò che resta e svolazza

solo il gatto ti guarda

sarà così, gli chiedi

o forse

ancor meno, sarà

una corsa pazza.

IV.

Non sapeva di sé maggior dolcezza

né altro annoverato tra i paragrafi

d'un canone d'amore

consegnò le sue reni alla tristezza

alla macumba della solitudine

Alato corre il demone delle ore

l'angelo con l'agenda

Non voleva di sé maggior pienezza

il senso del dovere

gli faceva piacere

Alato corre il demone dell'ordine

l'angelo con la benda

V.

Amò un'ombra, capì

che era infedele

all'alba

Amò un'ombra, sì

disse, è questo il modo d'amare

più corretto (lei

era mobile e scialba, era

perfetta, sotto questo aspetto)

Amò un'ombra, così

non ebbe più da pensare

gli bastava vederla

qualche volta tornare.

 
 
 
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