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Militari gay tra silenzi e violenze

Post n°97 pubblicato il 09 Novembre 2006 da Lyra82
 

Militari gay tra silenzi e violenzeL'esistenza di militari omosessuali è una realtà troppo spesso taciuta o negata. Ma in molti paesi si fanno passi avanti e se ne comincia a discutere senza ipocrisie

immagineMi hanno messo un sacchetto di plastica
in testa, mi hanno strappato i vestiti e
sono stato costretto a fare sesso con altri due
ragazzi. È la prima volta che racconto quanto
 accaduto quella notte. Mi vergognavo
di me stesso”.

Con queste parole il modello statunitense
Reichen Lehmkuhl ha denunciato in
un’intervista Tv la violenza sessuale
subita durante gli anni nei quali prestava
servizio militare nell’Aviazione statunitense.

Rilasciata in occasione dell’uscita della sua
 autobiografia "Here's What We'll Say:
Growing  Up, Coming Out, and the U.S.
Air Force Academy"
(“Ecco cosa vi diremo: crescere, fare ‘outing’ e l’accademia militare nell’Aviazione”),
nell’intervista alla rete nazionale ABC
Lehmkuhl, famoso per la sua avvenenza fisica ma anche
per essere il compagno della popstar americana ex N’Sync Lance Bass e per aver vinto la quarta edizione del reality show “Amazing Race”,
ha manifestato la sua intenzione di squarciare il velo di silenzio che copre l’omofobia dilagante
nell’esercito statunitense,
contro la quale, a giudizio del modello,
troppo poco viene ancora fatto dai vertici politici e militari.
Come tantissimi altri suoi connazionali omosessuali che scelgono
di prestare servizio militare, Lehmkuhl ha dovuto accettare la regola che
vige nell’esercito Usa, quella del “Don’t Ask, don’t Tell” (“non chiedere e non dire”)

che costringe gli omosessuali a nascondere il proprio orientamento sessuale,
ma che non impedisce che le illazioni o le “scoperte” fatte dai commilitoni,
si trasformino in pressioni psicologiche e angherie, fino ai casi più drammatici
come quello denunciato da Reichen.
La politica dell’esercito statunitense prevede infatti il congedo
immediato per coloro che manifestino a parole o nei fatti la propria
omosessualità,
sia essa maschile o femminile, ma non prevede che
siano le autorità a chiedere di esplicitare i propri immagineorientamenti
sessuali al momento dell’arruolamento o dell’addestramento.
Tutto ciò si trasforma in un vero e proprio incubo per tutti coloro che, considerando loro dovere di buoni cittadini americani quello di prestare servizio nell’esercito, pur di non essere scoperti sono costretti a vivere nella menzogna e nel timore, sopportando passivamente un ambiente fortemente omofonico.
Tra il 1994, anno dell’entrata in vigore della nuova legislazione militare riguardante l’omosessualità nell’esercito, e il 2001
sono stati oltre 7.800 i militari
Usa congedati per manifesta omosessualità,
ma il primo caso
di congedo per un militare statunitense gay risale al 1778,

praticamente nel momento stesso della nascita delle forze armate.
Tantissimi altri, come Reichen Lehmkuhl, hanno invece sopportato
in silenzio portando a termine il periodo di servizio, congedandosi
anche con una menzione d’onore.
Tanti paesi occidentali si sono mossi in questi ultimi anni per
contrastare l’omofobia che vige nelle forze armate di ogni paese,
tra questi Gran Bretagna, Germania e Canada, anche se questi sono
ancora lontani dall’”eccellenza” raggiunta da
Israele e Spagna, dove
l’omosessualità non è solo tollerata ma può essere manifestata
apertamente:
notizie al riguardo recentemente diffuse dalla stampa
ci hanno infatti raccontato del
primo matrimonio omosessuale tra due
militari spagnoli
e del
concorso di bellezza, indetto alla luce del sole da
un reparto dell’esercito israeliano, le cui iscrizioni erano aperte ai solo
militari gay,
mettendo in pratica così una forma di goliardia cameratesca
decisamente migliore di quelle diffuse in tanti altri eserciti.
immagineE anche negli Usa le cose sembrano muoversi positivamente, nonostante
le reticenze e ostilità della politica e dei vertici militari:
si moltiplicano le manifestazioni di soldati gay contro
la politica del “Don’t Ask, don’t Tell”,

e ci si augura che le ammissioni di personaggi pubblici come Reichen
Lehmkuhl possano contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica,
troppe volte schiacciata tra l’ipocrisia
e la cattiva informazione.
Purtroppo sono da registrare anche le brutte notizie: immediatamente
dopo l’intervista rilasciata dal modello Usa sono puntualmente arrivate
per lui e il suo compagno le minacce anonime
da parte di chi avrebbe
preferito che la realtà di violenza subita continuasse a essere taciuta.
Ma Lehmkuhl e il suo compagno
non hanno intenzione di tirarsi indietro e hanno ribadito la volontà
di non tornare a nascondersi. Un esempio che ci si augura venga
seguito da sempre più persone, negli Usa e negli altri paesi democratici,
e speriamo presto anche in quelli che continuano a vivere sotto dittatura.
E anche in Italia, dove la politica del “Don’t Ask, don’t Tell”
vige incontrastata da decenni
.

 
 
 
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