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« Santa Beatriz.Pirati dei Cavedii »

Prigioniero della seconda rotonda.

Post n°205 pubblicato il 19 Giugno 2011 da Santajusta_Cultura
 

Porco qui, porco là, porco su, porco giù...  e accidenti a me e a quando ho dato retta al nonno, che mi ha detto che, alla mia età, non posso presentarmi all'assemblea ordinaria dell'Alianza col sandalone strategico da trekking. Perché non pensa alla sua, di età: ha festeggiato il novantesimo compleanno sul court central del Roland Garros! In tribuna, of course: c'è un limite a tutto! E così, ieri, con Celedoni tutto contento di poter ancora una volta spendere tutto il suo budget settimanale in fesserie, mi sono messo in macchina per andare a comprare un paio di scarpe comme il faut.

Sabato mattina, e coda di automobili sulla strada di scorrimento, ancora più lunga e ferma dei giorni lavorativi, ancora più pesante del sermón de las tres horas, e come liturgia, mi sembra un segno evidente di decadenza. E' sabato, sono le undici, tutti in pellegrinaggio ai centri commerciali! Ah, come vorrei vivere nel paesello delle mie vacanze infantili: tappa al vapoforno, tappa dal pizzicagnolo, puntata dal macellaio e a casa nella natura. Non oso tornarci per paura di scoprire che, dopo tanti anni, le cose sono cambiate anche colà.

Finalmente trovo un buco nel parcheggio, ma comincio già a sentirmi come il Michael Douglas omicida di un film del quale non ricordo mai il nome. Poi, potenza di Julio che da un anno mi coinvolge in sue opere che rivangano il nostro passato, mi rivedo diciotto anni fa, nella provincia del pugno chiuso, ma non alzato, bersaglio di tutta la vigilanza, pubblica e privata; un posto che non ha niente da difendere, ma lo difende molto bene.

E difatti, incappo in una identification au faciés, un'identificazione dall'aspetto. Entro in un supermercato per comprare solo il giornale (sfido chiunque a muovere un carrello in quella bolgia) e suscito, un quarto d'ora dopo essere entrato, il vindice intervento del security di turno, quello che ferma solo neri e immigrati dell'est. Comincia a gridare “Lei! Lei! Lei!” finalmente mi giro, last but not least e, neanche fossimo in uno di quei film di guerra sui marines americani, tuona un “venga qui!”

L'ingiunzione è semplice: vuole impacchettarmi lo zainetto personale, quello dove tengo portafoglio, telefono made in china e similari, senza contare l'agenda, non sia mai che un cliente distolga l'attenzione dallo sfornatutto in bella mostra al reparto elettrodomestici e mi chieda un appuntamento trovandomi impreparato. Celedoni, che ormai mi conosce, si rassegna a venirmi in soccorso “Allora impacchetti anche la mia” dice, esibendo la tracolla col celebre monogramma, più grande del mio zaino. Ma una tracolla col monogramma è un'assoluta garanzia di onestà “No, quella no”. “Appena torno a casa, vado in giardino e ne faccio un autodafé”, penso.

Mi trattengo dal mandare il forzuto a quel paese, ci manca solo la querela per ingiuria del week-end e mi precipito fuori dal baraccone senza comprare niente e perdendo, nella foga, uno dei miei sandali da trekking. Chissà che Beatriz non lo trovi e me lo riporti... i sogni son desideri...

E' la fine della stagione: sarò pure esaurito, non dico di no, e se ne devono essere accorti giovedì al Nacional, Fangoria in testa, l'agente all'Avana della Gringa subito dopo (adesso ha qualcuno che “mette il prezzo alle saraghe” (1) al posto suo). Ma insomma, l'ho già provato sulla mia pelle: quando sono in forma mi scambiano per inglese (sarà contento Jean-Paul I), quando non lo sono, per un profugo dell'est, e mi perquisiscono. Mai per un relojense medio, come il figlio della vecchia squaw, che pure non mi pare un prodigio di distinzione, con le sue canotte ed i suoi shorts.

Che il nonno si rassegni, che Celedoni si disperi, non me ne importa niente: andrò all'assemblea in espadrillas, e anche col pinocchietto, se mi gira, e persino con la papalina di Totò ne “L'imperatore di Capri”. Ma mai più mi vedrete, un sabato mattina, prendere la strada del centro commerciale. E se non vi sta bene, rivolgetevi al mio ufficio reclami.

 

(1) Espressione ferreñafense che vuol dire, più o meno, bighellonare in un posto dove si lavora.

 

© 2011 Pavia Malandra

 
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