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cronache sparse dal piccolo osservatorio di una provincia difficile

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Il romanzo delle stragi

Io so.Ma non ho le prove.Non ho nemmeno indizi.Io so perchè sono un intellettuale,uno scrittore che cerca di seguire tutto ciò che succede ,di conoscere tutto ciò che se ne scrive ,di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace ;che coordina fatti anche lontani ,che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico ,che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà,la foliia e il mistero.

PierPaolo Pasolini

 

Libri

 

perduto tempo

 
 

 

Se questo è un uomo

Post n°87 pubblicato il 25 Gennaio 2009 da dalail


 Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.


Primo Levi (poesia di introduzione al libro Se questo è un uomo)

 
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Ciao Fabrizio , caro amico fragile

Post n°86 pubblicato il 11 Gennaio 2009 da dalail

e più di una volta ho la sensazione di viaggiare "in direzione ostinata e contraria" ...

SMISURATA PREGHIERA - Anime salve (1996)- Fabrizio De Andrè

Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità

Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie

Coltivando tranquilla
l'orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un'anestesia
come un'abitudine
per chi viaggia in direzione ostinata e contraria

col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità

per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità

ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere

 
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Carlo Marx a colazione

Post n°85 pubblicato il 07 Dicembre 2008 da dalail

L’altra mattina ho visto uno dei tanti  pagliacci che si vedono di questi tempi in televisione .Sulle prime non avevo capito che dietro l’immagine di un goffo barbone si nascondesse la brutta imitazione di Carlo Marx.

Quando l’ho capito ho provato davvero un grande schifo e tanta pena per l’idea e gli ideatori.

Con quello spot per il canone Rai(perché diavolo c’è bisogno di spendere soldi per fare pubblicità al canone proprio non lo comprendo) si offendono consapevolmente la sua memoria ,i suoi ideali e quello di milioni di altri uomini.

 

Ironia delle cose è che nelle nostre presunte civiltà giuridiche moderne ci si batte (forse anche esageratamente) per tutelare la privacy dei vivi e non si fa niente per rispettare la memoria dei morti.

A fare il pagliaccio in uno spot televisivo non sarebbe piaciuto a Marx ,come non sarebbe piaciuto a Gandhi a Dante ,Garibaldi o Alessandro Manzoni.

Cosa dovremo aspettarci per il futuro ?Qualunque altra schifezza .Tanto il mondo è in mano a pubblicitari senza scrupoli che continueranno a creare falsi idoli e a mistificare gli idoli veri.

 
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Ciao SANDRO

Post n°84 pubblicato il 23 Novembre 2008 da dalail

La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,

siamo noi, bella ciao, che partiamo.

La storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano.

La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano

 
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Omaggio di Saviano alla Makeba

Post n°83 pubblicato il 16 Novembre 2008 da dalail

articolo pubblicato su la repubblica dell' 11/11/2008

Cosa è il blues?, si chiede lo scrittore afroamericano Ralph Ellison. Il blues è quello che i neri hanno al posto della libertà. Dopo aver saputo della morte di Miriam Makeba, mi è subito venuta in mente questa frase. Mama Africa è stata ciò che per molti anni i sudafricani hanno avuto al posto della libertà: è stata la loro voce. Nel 1963 ha portato la propria testimonianza al comitato contro l'apartheid delle Nazioni Unite. Come risposta il governo sudafricano ha messo al bando i suoi dischi e ha condannato Miriam all'esilio. Trent'anni d'esilio.

Da quel momento la sua biografia si è fatta testimonianza di impegno politico e sociale, una vita itinerante, come la sua musica vietata.

Nelle perquisizioni ai militanti del partito di Nelson Mandela vengono sequestrati i suoi dischi, considerati "prova" della loro attività sovversiva. Bastava possedere la sua voce per essere fermati dalla polizia bianca sudafricana. Ma la potenza delle sue note le conferisce cittadinanza universale fa divenire il sudafrica terra di tutti. E soprattutto l'inferno dell'apartheid un inferno che riguarda tutti. Negli anni Sessanta, approdata negli Stati Uniti, Miriam Makeba si innamora di Stokley Carmichael, leader delle Pantere Nere e i discografici in America le cancellano i contratti, perché Mama Africa non combatte con i mezzi della militanza politica ma con la voce. E questo fa paura. Lei arriva alla gente attraverso la sua musica, attraverso successi mondiali come Pata Pata che tutti ballano, che piacciono a tutti, con una forza dirompente e vitale che il governo dell'apartheid come i razzisti di tutto il mondo non sanno come arginare o combattere.

Così, a 76 anni, è venuta a cantare persino in un posto che sembra dimenticato da dio, dove persone solerti hanno organizzato un concerto per portare un po' di dignità a una terra in ginocchio. E l'altra sera mi hanno chiamato di notte. Checco che aveva seguito l'organizzazione del concerto, mi ha detto che Miriam Makeba non si sentiva bene, "ma la signora vuole cantare lo stesso, vuole il tuo libro nell'edizione americana nel camerino, Robbè, è tosta!". Quando mi avevano detto che Miriam Makeba aveva accettato di cantare a Castel Volturno nel concerto in mia vicinanza che chiudeva gli "Stati generali della scuola del Sud", al primo momento stentavo a crederci. Invece lei che per anni aveva lottato e aveva viaggiato cantando per tutta l'Africa e il resto del mondo, voleva venire anche in questo angolo sperduto dove quasi due mesi prima c'era stata una strage di sette africani. Ché per lei erano africani, non ghanesi, ivoriani o del Togo.

In questa idea panafricana che fu di Lumumba e che mai come oggi sembra per sempre purtroppo sepolta. Mama Africa si è esibita a pochi metri da dove hanno ammazzato l'imprenditore Domenico Novello, un morto innocente, nativo di queste terre, che invece è morto solo, senza partecipazione collettiva, rivolta, fratellanza. La morte di Miriam Makeba, venuta a portarmi la sua solidarietà e testimoniarla alla comunità africana ed italiana che resiste al potere dei clan, è stato per me un enorme dolore. Enorme come lo stupore con cui ho accolto la dimostrazione di passione e forza di una terra lontana come quella sudafricana che già nei mesi passati mi aveva espresso la sua vicinanza attraverso l'arcivescovo Desmond Tutu. Invece, grazie alla loro storia, persone come Tutu o come Miriam Makeba sanno meglio di altri che è attraverso gli sguardi del mondo che è possibile risolvere le contraddizioni, attraverso l'attenzione e l'adesione, il sentirsi chiamati in causa anche per accadimenti molto lontani. E non con l'isolamento, con la noncuranza, con l'ignoranza reciproca.

Il Sudafrica vive una pressione dei cartelli criminali enorme, ma i suoi intellettuali e artisti continuano ad essere attenti, vitali e combattivi. Desmond Tutu stesso definì il Sudafrica "rainbow nation", nazione arcobaleno, lanciando il sogno di una terra molto più varia e ricca e colorata di un semplice ribaltamento di potere fra il bianco e il nero. Miriam Makeba era e rimane la voce di quel sogno. Se c'è un conforto nella sua tragedia si può dire che non è morta lontano. Ma è morta vicina, vicina alla sua gente, tra gli africani della diaspora arrivati qui a migliaia e che hanno reso propri questi luoghi, lavorandoci, vivendoci, dormendo insieme, sopravvivendo nelle case abbandonate nel Villaggio Coppola, costruendoci dentro una loro realtà che viene chiamata Soweto d'Italia. È morta mentre cercava di abbattere un'altra township col mero suono potente della sua voce. Miriam Makeba è morta in Africa. Non l'Africa geografica ma quella trasportata qui dalla sua gente, che si è mescolata a questa terra a cui pochi mesi fa ha insegnato la rabbia della dignità. E, spero pure, la rabbia della fratellanza.

 
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