Creato da sottoilsette il 24/03/2005

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Uno sguardo tra tanti

 

 

« FumoArte Moderna »

Bianco

Post n°159 pubblicato il 20 Dicembre 2012 da sottoilsette
 
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-         Dai, torna a letto. Fa freddo.

-         No.

-         Proprio non riesci a dormire?

-         No.

-         Bella, però?

-         Mh.

-         Ti faccio un latte caldo.

-         Ok.

Marco continuava a guardare quello spettacolo irreale fuori dalla finestra. La neve a Roma.

Ma non una neve qualunque. Uno spettacolo perfettamente normale in mezza Italia, lì sembrava un film di fantascienza. Per fortuna era capitato nel fine settimana, si diceva. Aveva avuto il suo bel daffare, nel pomeriggio, quando la città era andata nel panico.

Aveva sentito cose assurde. Gente che aveva abbandonato la macchina sul raccordo anulare, altri che avevano percorso a piedi sui binari l’ultimo chilometro prima di Cesano per andare a bussare alle caserme, dopo aver dovuto abbandonare il treno, rimasto senza corrente sulla linea.

La centrale operativa era stata subissata di telefonate fino al collasso. Il coordinamento delle emergenze era andato completamente a puttane, dopo che gli allarmi della protezione civile erano stati sottovalutati e i colleghi non erano stati precettati.

Come se poi ce ne fossero tanti, dopo le “razionalizzazioni” delle caserme.

Tutto sommato, a lui era andata bene.

Quello strano caso della ragazza scomparsa in quella giornata così pazzesca lo aveva tenuto in zona; non aveva potuto mollare l’osso praticamente fino al tramonto, mentre tutte le altre persone in servizio venivano sbattute di qua e di là senza logica, in mezzo al caos incontrollato di quella città abituata a vedere la neve una volta ogni trenta  anni. Al calare del sole, quando aveva fatto rapporto, nessuno gli aveva chiesto niente, a parte un “lascia il cellulare acceso” del capo, nemmeno troppo convinto e alle prese con il cellulare che squillava in continuazione.

Nessuno lo avrebbe cercato fino a lunedì.

Era praticamente tornato a casa a piedi. Adesso la palla restava a chi doveva gestire la giornata di Sabato. Cioè nessuno, di fatto. Tanto, domani le persone sarebbero state tutte a fare casino in quella Roma che sembrava il Trentino.

Il massimo dei problemi lo avrebbero avuto i pronto soccorso degli ospedali per qualche caduta dagli slittini improvvisati.

Con quel casino, non ci sarebbe stato nemmeno uno scippo, ne era sicuro.

Che roba! Fuori, quella pazzesca bufera stava ricoprendo tutto. Domani ci sarebbe stato la solita follia da “guerra nel golfo”. Gente che tirava fuori i moon boot per andare a svuotare gli scaffali dei supermercati, pupazzi e palle di neve. E quella panchina sarebbe stata sepolta. E ghiacciata.

-         Cazzo!

-         Che succede – fece Paola, ancora mezza addormentata.

-         Devo uscire.

-         Adesso? Ma sei scemo? Ma dove vuoi andare?

-         Mi sono ricordato di una cosa.

-         Può aspettare fino a domani. Sono le due di notte. Vuoi congelare?

-         Lasciami il latte nel bricco. Quando torno lo scaldo.

-         No. Tu sei sicuramente scemo. Il freddo ti ha dato al cervello.

-         Vai a dormire e non preoccuparti – fece Marco mentre si vestiva al volo con le cose più pesanti che trovava al volo – dove sono gli scarponcini da trekking?

-         Te li cerchi da solo!

-         Ma porca… si tuffò nell’armadio ripescando le scarpe dimenticate dall’ultima gita in Abruzzo. Si mise due maglioni e un giaccone da moto. Fece per uscire quando si ricordò della cosa più importante.

-         La torcia!

-         Terzo cassetto della cucina – gli fece la voce di sua moglie dal buio della camera da letto.

-         Ti amo! – le rispose.

-         Se non ci resti secco ti ammazzo io, stavolta.

Fece una smorfia, incuneò le spalle e si tuffò nel buio di quella notte irreale. Perse un quarto d’ora buono a cercare le catene nel caos del box e altri dieci minuti per montarle alla bell’e meglio, maledicendo il tempo perso.

In cinque minuti fu all’ingresso del parco. Nessuno in un paio di quartieri si stava muovendo. Prese la torcia, ricordandosi che non si era portato delle batterie di scorta.

Dovrà bastare, pensò.

Si incamminò nel buio del parco, verso il punto dove dicevano di aver visto la ragazza per l’ultima volta. C’era qualcosa che lo guidava che non riusciva a definire. La sensazione terribile di aver sbagliato qualcosa, in quella giornata. Le telefonate, la convulsione, il caos tutto intorno dal quale tutti – lui compreso – volevano fuggire. Tutti coloro che erano giunti in quel parco verso le quattro, poco prima che facesse buio, pensavano ad altro e non vedevano l’ora di andarsene. Avevano preso appunti superficiali, cercando immediatamente riparo in un bar, chi a a farsi una cioccolata calda, chi un goccetto, chi a telefonare per sapere se tutta la famiglia era a casa. La realtà era che nessuno aveva prestato attenzione ai dettagli di quello spicchio di parco dove una ragazza di diciassette anni era sparita, apparentemente ingoiata da quel bianco.

Ma a freddo, davanti alla finestra della cucina, qualcosa nel suo cervello aveva fatto riavvolgere il nastro. C’era un fotogramma stonato che in qualche modo era riemerso.

Ma poteva essere troppo tardi.

Si avvicinò alla panchina, per niente certo di cosa dovesse aspettarsi di trovare.

Puntò la torcia. Al centro della panchina, leggermente spostato sulla sinistra, il mucchio di neve era leggermente incuneato. La sensazione era quella di vedere che effetto fa un fantasma seduto.

Si avvicinò ancora, in mezzo al caos più completo, esplorando con la poca luce che aveva, il quadro che aveva davanti ai suoi occhi. C’era qualcosa che doveva aver visto nel pomeriggio.

Sì, ma cosa? E perché doveva essere così rilevante?

Sotto l’incavo, delle impronte quasi scomparse partivano dalla posizione del fantasma fino a confondersi con tutto il resto della terra smossa da mezzo mondo, colleghi compresi.

Altro che ”non inquinare la scena del crimine”. Chi vede i film non sa come vanno le cose nella realtà.

-         Che è già tanto se si riesce a trovare qualcosa che appartenga a quel crimine - si disse a voce alta senza rendersene conto – bestia, che freddo. Ma chi me l’ha fatto fare…

Gli sembrò di vedere un’ombra sulla panchina. Ripassò la torcia sul punto della panchina dove era passato un attimo prima.

-         C’è qualcosa, forse, ma… - aveva ragione. Era tardi. Tentando di ripulire la panchina dalla neve, si accorse che uno strato di parecchi centimetri era congelato. Non sarebbe riuscito a recuperare niente da lì. Cazzo, se erano stati superficiali!

Se era stato superficiale, si corresse.

Ok. C’era poco da fare. Toccava aspettare fino a domani.

Certo, come no. Provò con un ramo a scavare, ma niente. La luce della torcia cominciava ad affievolirsi. E le mani a surgelarsi, nonostante i guanti.

Un’idea pazzesca gli passò per la mente.

Andò alla macchina e prese il blocca-pedali. Tornò di corsa. Puntò la torcia su un trespolo improvvisato e cominciò a spaccare la parte di panchina dove gli sembrava che ci fosse qualcosa.

Faceva un casino d’inferno in quella parte di notte. Era tranquillo. Sicuramente non sarebbe venuto nessuno.

Dopo cinque lunghissimi minuti, il ghiaccio e mezza panchina si arresero.

Aveva ragione. Non sapeva se aveva un senso con quello che forse era successo in quel pomeriggio, ma qualcosa c’era.

Dei petali di rosa gialla apparvero in mezzo al ghiaccio.

E dei pezzi di carta stracciati praticamente illeggibili.

Ma anche qualcosa che poteva essere o non essere quello che sembrava. Anche se la sensazione era che fosse esattamente quello.

Il ghiaccio che prima era neve era sporco di un colore scuro.

Devo portare via tutto, si disse. Già. ma come?

Non aveva una busta, un sacchetto niente.

Alzò gli occhi. Il cappello.

Se riescono ad esaminare questa roba gioco al superenalotto. Minimo cinque lo faccio.

Si rimise al volante. Era congelato. Si scaldò le mani per cinque minuti prima di riuscire a digitare un messaggio.

-         Perdonami, ma devo andare in centrale. Non preoccuparti, torno appena possibile.

Non fece in tempo ad avviare il motore ed inserire la retromarcia che arrivò un bip bip sul cellulare.

-         Vaffanculo.

Poteva andare peggio, pensò.

 

 

 

 

 

 

 
 
 
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