Creato da spiancianonna il 29/09/2006
il blog di un reggino
 

Area personale

 

FACEBOOK

 
 

I palii vinti dalla SELVA

 
Citazioni nei Blog Amici: 3
 

Archivio messaggi

 
 << Marzo 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
        1 2 3
4 5 6 7 8 9 10
11 12 13 14 15 16 17
18 19 20 21 22 23 24
25 26 27 28 29 30 31
 
 
 
 

Ultime visite al Blog

spiancianonnaPilleumadoro_il_kenyastrong_passionsquarthurclaudiomuscisidopaulpsicologiaforensecojsedanfra1cagliostro.ganleonardplatodjlivello2010sacciueu
 

I palii vinti dalla SELVA

 

Ultimi commenti

Chi può scrivere sul blog

Solo i membri di questo Blog possono pubblicare messaggi e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

 

Un saluto da Reggio Calabria

Post n°13 pubblicato il 19 Luglio 2007 da spiancianonna

 
 
 

Stromboli: eruzione, scatta allarme

Post n°12 pubblicato il 09 Marzo 2007 da spiancianonna

La fase eruttiva sullo Stromboli ha fatto registrare un'accelerazione dei crolli nella Sciara del fuoco. La Protezione civile ha disposto l'allontanamento delle persone dalla linea di sicurezza, sotto i 10 metri dal livello del mare. Il provvedimento e' stato disposto dal coordinatore dello stato di emergenza, professor De Bernardinis. L'allarme riguarda sia Panarea sia Stromboli. L'allerta 'giallo' e' invece stato proclamato per Lipari e Vulcano.

ansa

 
 
 

Elezioni, primi riconteggi: all'Unione 177 voti in più

Post n°10 pubblicato il 20 Dicembre 2006 da spiancianonna
 

immagine166 voti in più per Prodi, 11 in meno per Berlusconi. Questo il risultato di un primo "riconteggio" delle schede elettorale relative alla Camera fatto dalla Giunta delle elezioni di Montecitorio. Dopo che è scoppiato l´affaire sui presunti brogli elettorali alle politiche di aprile scorso, lanciato dal documentario di Deaglio e Cremagnani Uccidete la democrazia, sia la Camera che il Senato avevano deliberato un parziale riconteggio delle schede "a campione" per verificare se affettivamente ci fossero stai degli "errori", più o meno voluti.

E adesso arriva un primissimo risultato. Dal controllo delle 26 circoscrizioni fatto in Giunta delle elezioni della Camera una novità esce fuori: all´Unione toccano 166 voti in più. Mentre per la Cdl ce ne sono 11 in meno. Quindi il distacco della maggioranza dal centrodestra aumenta, anche se di poco: 177 voti che si si vanno ad aggiungere ai già noti 24.755. Per arrivare ad una differenza totale tra i due schieramenti di 24.932. A favore dell' Unione.

Ma la variazione così minime, spiegano gli esponenti della maggioranza in Giunta, significa semplicemente che dalle 26 relazioni circoscrizionali non emergono novità o anomalie particolari. I dati in sostanza, combaciano sia con quelli diramati dal Viminale, sia con quelli della Corte di Cassazione.

Quelli attribuiti dal ministero dell'Interno alla coalizione di centrosinistra (19.001.684) risultano leggermente inferiori a quelli risultanti ora alla Giunta (19.002.764) solo perché, spiegano, «a quelli del Viminale mancavano ancora i dati delle schede contestate che sono arrivati solo dopo qualche giorno». Con buona pace di Berlusconi e del centrodestra che hanno continuato a invocare nuove elezioni per i brogli del centrosinistra.

www.unita.it

 
 
 

La misteriosa notte di Pisanu

Post n°9 pubblicato il 25 Novembre 2006 da spiancianonna
 

di Antonio Padellaro

Sabato scorso ci chiedevamo su queste colonne se il mistero delle schede bianche scomparse sarebbe mai stato svelato. Alla luce del gran polverone politico che in queste ore si sta sollevando sul film di Enrico Deaglio «Uccidete la democrazia», inchiesta sui brogli che avrebbero falsato il voto dello scorso aprile, dovremmo concludere che il mistero elettorale come, del resto, tutti gli altri misteri italiani, dolorosi e gloriosi, è destinato a restare tale, coperto da una fitta coltre di dichiarazioni alle agenzie. Nell´attesa comunque fiduciosa che la magistratura faccia, come si dice, piena luce, restiamo anche noi convinti come lo è il portavoce di Romano Prodi, Silvio Sircana, che, brogli o non brogli nella notte tra il 10 e l´11 aprile, la notte del conteggio qualcosa di poco chiaro sia accaduto. Lo scriviamo non facendo nostre ipotesi, sospetti o congetture ma sulla base di fatti oggettivi facilmente riscontrabili. Sappiamo certamente che quel lunedì, verso le ventitré, l´onorevole diessino Marco Minniti varcò il portone del Viminale inviato dalla segreteria del partito in fibrillazione per l´improvvisa interruzione nella trasmissione dei dati. Inutile ricordare come nello stato maggiore dell´Unione la tensione fosse al cardiopalmo dopo l´incredibile altalena che nel pomeriggio annunciava la larga vittoria del centrosinistra (secondo tutti gli exit-poll a conferma di tutti i sondaggi della vigilia) e alla sera, invece, consentiva alla destra una speranza di vittoria.

Mentre dunque la forbice tra Unione e Cdl si andava progressivamente restringendo con la concreta possibilità di un sorpasso sul filo di lana, qualcosa deve essersi inceppato nella macchina del ministero degli Interni e Minniti andava a vedere come mai. Accolto da un gentilissimo prefetto il deputato della Quercia fu subito accompagnato nella decision room elettorale, circostanza che non mancò di colpirlo favorevolmente attendendosi un trattamento più formale. La sorpresa di Minniti aumentò quando scoprì di essere l´unico esponente politico presente al Viminale in ore cruciali per la vita repubblicana. Si stava decidendo il futuro politico del paese in un clima surriscaldato. Era in corso una drammatica partita sul filo dei voti. A piazza Santi Apostoli il popolo di Prodi sempre più sotto choc rumoreggiava aspettandosi il peggio. Centinaia di giornalisti di tutto il mondo erano in elettrica attesa. Ebbene, mentre tutto ciò accadeva, la stanza del ministro degli Interni era deserta. Non c´era Giuseppe Pisanu, e nel palazzo del Viminale non risultava neppure fossero presenti i suoi sottosegretari. Insomma, fatto senza precedenti, come unico testimone politico presente nella stanza dei bottoni (una volta si diceva così) del governo Berlusconi c´era un uomo dell´opposizione. Erano circa le due dell´11 aprile quando Minniti poté comunicare a Fassino che pur mancando alcune sezioni da scrutinare era matematicamente impossibile che la Cdl potesse recuperare il piccolo vantaggio dell´Unione (i famosi 24mila voti). Fassino avvertì Prodi che, pochi minuti dopo, poté dare alla folla incredula, l´insperato annuncio. A quanto si sa, Pisanu, quella notte non rientrò più al Viminale. Dove era andato?

Le cronache del giorno successivo racconteranno un´altra storia che ha dell´incredibile. Verso le ventitré del 10 aprile, a spoglio ancora in corso, proprio mentre stava arrivando Marco Minniti, il ministro degli Interni fu visto uscire dai portoni secondari del Viminale. E fu visto entrare a palazzo Grazioli tre ore prima della fine dello scrutinio dove ad attenderlo c´era il presidente del Consiglio in carica Silvio Berlusconi. Cosa sia avvenuto in quelle ore nessuno lo sa con certezza. Ma sono numerosi i giornali che ricostruiranno quelle concitate ore in maniera assai poco tranquillizzante. Qualcosa di simile a un golpe elettorale. Dunque lunedì notte a scrutinio in corso Pisanu dichiara al Tg2 che «le operazioni di voto sono state regolari». Berlusconi lo convoca e gli chiede di invalidare il voto. A palazzo Grazioli ci sono anche il sottosegretario Gianni Letta, il vicepremier Gianfranco Fini, il presidente del Senato Marcello Pera, il segretario dell´Udc Lorenzo Cesa. Pisanu risponde che non può fare nulla di simile, che bisogna aspettare la fine delle operazioni di scrutinio e contestare semmai, dopo, le schede nulle.

Dicono che da quel momento i rapporti personali tra Berlusconi e il suo ministro si siano bruscamente interrotti. La mattina dopo, martedì, il presidente Ciampi chiama Pisanu, gli chiede una parola definitiva sul voto e la ottiene. Nei giorni successivi sarà Berlusconi a lanciare contro il centrosinistra le accuse di brogli. Le stesse ripescate ora da Forza Italia e da Gianfranco Fini che vedono nel film di Deaglio un insperato grimaldello per pretendere il conteggio non solo delle schede bianche ma di tutti i voti elettorali.

I fatti così esposti mettono al centro della scena Giuseppe Pisanu. La sua è una situazione per certi versi paradossale. Deaglio lo ritiene responsabile di qualcosa di molto grave che sarebbe avvenuto nella trasmissione dei dati elettorali dalle circoscrizioni al Viminale. Addirittura una trasformazione delle schede bianche in schede per Forza Italia. Pisanu reagisce con rabbia e annuncia querele. Si sente ingiustamente diffamato in base a una verità rovesciata. Secondo le ricostruzioni di cui sopra infatti non è stato proprio lui a impedire nella famosa notte l´invalidazione del risultato elettorale così come richiesto dal suo premier e leader di partito? Va ricordato che successivamente all´ex ministro Pisanu giungeranno da molti esponenti del centrosinistra apprezzamento e riconoscimento per aver tenuto in un frangente così difficile un comportamento corretto. A maggior ragione quindi Pisanu dovrebbe rendere un altro servizio alla verità dei fatti.

Sulle vere o presunte manipolazioni di schede bianche si pronuncerà la magistratura. Ma su ciò che è accaduto nella famosa notte è Pisanu che deve dirci qualcosa di più. Rispondendo a molti interrogativi che sorgono spontanei. Perché si allontanò dal Viminale mentre era in corso la fase decisiva dello spoglio? Perché si recò a palazzo Grazioli, residenza privata di Berlusconi con un evidente strappo al ruolo istituzionale e super partes che ogni ministro degli Interni dovrebbe mantenere specie durante le elezioni? Cosa diavolo successe infine nello studio del cavaliere durante quelle tre ore di discussioni a quanto sembra piuttosto animate? È vero che Berlusconi cercò di imporgli un provvedimento di invalidazione elettorale che alla luce anche degli ultimi avvenimenti suona come un tentativo di interruzione della democrazia? Quella di cui ci stiamo occupando è una storia troppo delicata e il silenzio prudente del personaggio chiave potrebbe apparire a questo punto come un silenzio complice.
 
 
 

Misteri d´Italia

Post n°8 pubblicato il 19 Novembre 2006 da spiancianonna
 

di Antonio Padellaro

L´altra sera, «Anno zero» di Michele Santoro ci ha mostrato il vero volto del presidente della regione siciliana Salvatore Cuffaro. Non il bonario «vasa vasa» campione di elargizioni clientelari e di baci elettorali sulle guance. Bensì un personaggio dall´eloquio minaccioso con chiunque osasse ricordargli il suo rinvio a giudizio per favoreggiamento della mafia. Che si definisce «uomo d´onore» e conferma colloqui e abboccamenti nel retrobottega dei negozi con pregiudicati per reati mafiosi. Che con fare obliquo parla di possibili «incidenti» rivolto all´avversario politico che gli siede accanto ben sapendo che si tratta di Claudio Fava, figlio di Giuseppe, giornalista coraggioso assassinato dai killer di Cosa Nostra. Ma vedendolo a un certo punto calarsi in testa una coppola nera in segno di dileggio verso tutti quelli che sulla mafia hanno il torto di non pensarla come lui (e incurante della presenza in studio di gente che ha visto cadere padre e fratelli sotto il fuoco della lupara) veniva da chiedersi come sia possibile che al vertice di una delle regioni più importanti della quinta o sesta potenza mondiale ci sia un politico con queste marcate caratteristiche. Perché un milione e mezzo di siciliani mi hanno confermato la loro fiducia, risponde lui orgoglioso ogni volta che lo si tocca sull´argomento. Ha ragione, ma il mistero è proprio questo.

Del resto, viviamo in uno strano Paese dove le varie forme di potere (politico, finanziario, mediatico) agiscono quasi sempre su piani diversi ma che tendono a confondersi. Quello dell´apparenza e quello della realtà. Le elezioni sono il paradigma perfetto di questa mescolanza di vero e di illusorio costituendo il risultato delle urne la parte emersa di una battaglia che si svolge in profondità, con patteggiamenti e voti di scambio spesso innominabili. Può accadere, tuttavia, che lo stesso scrutinio elettorale venga truccato in corso d´opera attraverso manipolazioni e brogli fino al punto di capovolgere il dato finale.

Ciò è accaduto nella notte dell´11 aprile
, secondo Enrico Deaglio (direttore de «Il Diario») e Beppe Cremagnani, autori del dvd «Uccidete la democrazia» di prossima distribuzione. Le domande sono davvero tante ed alcune ci tornano in mente dalla famosa notte. Per esempio, come è possibile che le schede bianche e nulle siano improvvisamente crollate riducendosi a un terzo di quelle conteggiate solo cinque anni prima? E non è sorprendente che queste schede si siano fermate tutte allo stesso livello (dall´uno al due per cento), e in tutta Italia, dalle Alpi a Pantelleria? E come mai nelle ore cruciali dello spoglio il ministro dell´Interno Pisanu si allontanò improvvisamente dal Viminale per andare nella residenza di Berlusconi? Cosa è accaduto in quelle stanze che possa giustificare la lunga assenza del ministro dal luogo della istituzione garante della corretta conta dei voti, fatto grave e senza precedenti? E come mai, nei giorni successivi, mentre il premier uscente denunciava fantomatici brogli il titolare dell´Interno assicurava che il voto si era svolto regolarmente? E se si torna al pomeriggio dell´11 come si può spiegare il clamoroso tonfo degli istituti di sondaggio, tutti concordi nell´attribuire all´Unione un sostanzioso vantaggio poi polverizzatosi a quota 24mila, cioé a quasi nulla. Infine, giustamente ci si chiede come sia possibile che ancora oggi nessuna istituzione sia in grado di comunicare il risultato definitivo delle elezioni. Qualcuno ce lo dirà mai? Deaglio ipotizza una truffa telematica che avrebbe trasformato le schede bianche in consensi a Forza Italia. Ma se anche le cose fossero andate così, probabilmente nessuno potrà provarlo. E poi, a chi gioverebbe cavalcare l´eventuale scandalo? Non certo alla Cdl che di brogli, infatti, non parla più. Non all´Unione che, comunque, le elezioni le ha vinte punto e basta. Ovvero: chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, scordiamoci il passato. Resta la realtà apparente, quella di una partita vinta, poi persa, poi recuperata in fotofinish. Un esito incerto che ha prodotto una concatenazione di altre incertezze, e un governo appeso a un filo. Debolezza che fa comodo a molti. L´origine dei nostri guai.

Di un altro mistero, occorre parlare. Sta dentro il libro scritto da un bravo giornalista del «Corriere della sera», Massimo Mucchetti, che un brutto giorno scopre di essere illegalmente intercettato. Per conto di un´entità che si presume potente se arriva a piazzare le sue cimici nel cuore del più grande giornale italiano. «Il baco del Corriere», racconta una storia con due facce. Sulla prima - le scalate e i complotti azionari per impadronirsi di via Solferino - poco possiamo dire. Se non che nella sua storia il «Corriere» è stato spesso oggetto di voglie indecenti, dal fascismo alla P2. Poi ci sono le congiure e qui il racconto di Mucchetti si riunisce come un vorticoso affluente al fiume principale. Che è l´Italia dei poteri occulti, dei centomila dossier, delle morti violente. L´autore individua (forse) gli intercettatori. Ma non i mandanti. La cui identità, forse, si può intuire ma che nessuno può toccare. Proprio come nella vicenda elettorale. Qui però i fili sembrano più visibili. Perché le intercettazioni portano agli spioni di Telecom. E gli spioni di Telecom portano agli spioni del Sismi. Servizi al cui vertice continua a sedere, imperturbabile, quel Nicolò Pollari della cui giubilazione si continua a parlare da mesi. Ma nulla accade. Non è questo il mistero dei misteri?
 
 
 

In un documentario i «brogli» del Polo

Post n°7 pubblicato il 17 Novembre 2006 da spiancianonna
 

Nel documentario il racconto di una lite Berlusconi-Pisanu

Deaglio e Cremagnani: anomalie sulle schede bianche

Uccidete la democrazia!, il nuovo film di Beppe Cremagnani ed Enrico Deaglio con la regia di Ruben H. Oliva, non è questione di sindrome da complotto ma di numeri, numeri e ore. Gli autori lo dicono subito, prima che scorrano in anteprima le immagini e Gola Profonda inizi il suo racconto. La notte di lunedì 10 aprile 2006 è ormai sfumata nel martedì e l'Italia è in sospeso, il flusso dei dati elettorali s'è bloccato, «non si riesce a capire che sta succedendo» dice Romano Prodi, l'esito delle elezioni è più che mai in bilico e intanto a Palazzo Grazioli, quartier generale di Berlusconi, è arrivato Beppe Pisanu. Mai successo che un ministro dell'Interno lasciasse il suo posto in un momento così. C'era già stato verso le 19,20. Per convocarlo, alle 23,14 gli telefonano al Viminale, «l'hanno costretto, letteralmente costretto ad andare». Berlusconi è furibondo, «gli grida in faccia, dice che lui non è disposto a perdere per una manciata di voti». Pisanu torna al Viminale e là ci sono quelli dell'Unione. Marco Minniti, Ds, è piombato in sala stampa agitatissimo, ha cercato i funzionari, ha fatto una telefonata. Poi si è rasserenato. Testimonianze. Immagini dei tg. E Gola Profonda che racconta: più tardi, a Palazzo Grazioli, ci sono quattro uomini chiusi in una stanza. Berlusconi, Bondi, Cicchitto e, ancora, Pisanu. Il Cavaliere non ci sta. E il clima si fa pesante, per il ministro. Volano insulti, «vigliacco», «traditore». Sono le 2.44 quando Piero Fassino annuncia alle telecamere: abbiamo vinto. A quanto pare dal film, il grande imbroglio informatico è sfumato in extremis, il programma che nel sistema di trasmissione dati del Viminale trasformava le schede bianche in voti per Forza Italia è stato fermato a ventiquattromila voti dal traguardo, l'esiguo vantaggio dell'Unione. E a questo punto le immagini rallentano, scrutano il volto segnato del segretario Ds, le occhiaie scure, lo sguardo cupo, mai vista una proclamazione così. In via del Plebiscito Berlusconi fa chiamare l'onorevole Ghedini, vuole preparare un decreto che dice farà approvare dal Consiglio dei ministri per sospendere il risultato elettorale fino a un nuovo conteggio e assicura che lo farà firmare a Ciampi.

Ma dal Colle fanno sapere che il Presidente «non vuole neanche sentirla», una richiesta simile. Abbiamo evitato un golpe? «Non s'innamori dei paroloni: guardi i numeri», sorride Gola Profonda, alias uno strepitoso Elio De Capitani, l'ex «Caimano» di Moretti che nel film incarna tutte le fonti riservate dell'inchiesta. Il personaggio che racconta quella notte delle Politiche 2006 è fittizio, «ma i numeri sono veri», spiega Deaglio, «aspettiamo che intervengano i magistrati, che il ministro chiarisca, che il presidente Napolitano ci rassicuri ». Gli autori sono partiti da un libro, Il broglio, firmato da un anonimo «Agente Italiano» e uscito a maggio. Il dvd contiene i dati provincia per provincia. Numeri che il Viminale pubblica di solito «dopo 40 giorni» e fino ad oggi sono rimasti riservati. Perché? «Perché sono impresentabili, ecco perché». Al centro del «docu-thriller», il mistero delle schede bianche. Dalle Politiche 2001 a quelle 2006, per la prima volta nella storia della Repubblica, sono crollate: da 1.692.048 ad appena 445.497, 1.246.551 in meno. Maggiore partecipazione? Ma gli elettori, al netto dei votanti all'estero, sono stati di meno: 39.424.967 contro i 40.190.274 di cinque anni fa. E soprattutto ci sono le «anomalie» statistiche. L'Italia è varia, la percentuale di «bianche» nel 2001 cambiava ad ogni regione, 2,6 in Toscana, 9,9 in Calabria, 5,5 in Sardegna... L'animazione del film fa ruotare lo Stivale come in una centrifuga, nel 2006 i dati sono omologati, «tutto dall'1 al 2%, isole comprese!». Tutto più o meno uguale, e non un posto dove le bianche non siano calate. In Campania, per dire, si è passati da 294.291 bianche a 50.145, meno duecentocinquantamila, dall'8 all'1,4%. E poi c'è la successone degli eventi. Alle 15 il primo exit-poll dà all'Unione cinque punti di scarto, come tutti i sondaggi. Ma alle 15,45 Denis Verdini, responsabile dell'ufficio elettorale di Forza Italia, dice che «alla Camera è testa a testa, lo si vedrà dopo diverse proiezioni».
E infatti: un'animazione mostra la «forbice» tra gli schieramenti che diminuisce «regolare come un diesel», ogni ora la Cdl guadagna mezzo punto e l'Unione lo perde. I primi dati del Viminale arrivano alle 20,19 e proseguono col contagocce. Alle 21,38 l'Ulivo invita a «presidiare i seggi», quando si bloccano i dati manda il segretario provinciale a Caserta. Inizia la lunga notte. Resta da scoprire l'arma del delitto. E Deaglio, nel film, vola in Florida a intervistare Clinton Curtis, programmatore informatico che nel 2001, inconsapevole, preparò un software per truccare le elezioni e poi ha denunciato tutto e ne ha fatto una battaglia. «Qualsiasi broglio le venga in mente, con la matematica si può fare». E al direttore di Diario, in mezz'ora, prepara un programma che distribuisce in automatico le bianche a uno schieramento lasciandone una percentuale tra l'1 il 2, «si può inserire nel computer centrale o a metà della rete, bastano quattro o cinque persone». Deaglio dice che le bianche mancanti e i voti in più di Forza Italia corrispondono: «Sono gli unici risultati sbagliati dagli exit-poll». Problema: se è vero, perché Berlusconi ha perso? La tesi del film è nella domanda che Deaglio fa a Curtis: è possibile interrompere il processo? «In ogni momento». Si torna alla notte di Palazzo Grazioli. Le pressioni su Pisanu. Il «colpo di teatro», l'arresto di Provenzano l'indomani. E l'«antropologia» dei democristiani, il loro fiuto infallibile. Gola Profonda conclude: «Quella sera il ministro ha fiutato. Ha capito subito che Berlusconi era un gatto che si agitava, ma era un gatto morto. E ha agito di conseguenza».
 
 
 

Berlusconi usò l'8 per mille la guerra in Iraq

Post n°6 pubblicato il 11 Novembre 2006 da spiancianonna
 

immagine

«L'otto per mille originariamente doveva essere devoluto tutto agli aiuti al terzo mondo, alla cultura e a cose di questo genere. Poi una parte venne utilizzata per le missioni all'estero. E una parte anche per l'Iraq». Giuseppe Vegas, vice-ministro dell'Economia nell´ultimo governo Berlusconi, conferma candidamente quanto già denunciato il 2 luglio 2005 da l'Unità e adesso riproposto anche da Giulia Maria Mozzoni Crespi, presidente del Fai (Fondo per l´ambiente italiano): l'otto per mille che i cittadini italiani hanno voluto assegnare al restauro dei beni culturali, alla lotta alla fame, all´assistenza ai rifugiati, e alle calamità naturali, è andato invece a finanziare la missione militare in Iraq.

«Era stata sottratta una parte originariamente poi il resto è stato lasciato per le varie scelte che son state fatte sull'otto per mille» spiega il senatore di Forza Italia. Ma, in concreto, quanto andò all'Iraq? Chiedono i giornalisti all´ex sottosegretario «Attorno a un terzo, circa 80 milioni», ammette candidamente Vegas.

La notizia dell´uso improprio dell´8 per mille è stata rilanciata in mattinata dal presidente del Fai: «Mi ha colpito quello che mi ha detto Enrico Letta, e cioè che l'otto per mille che i cittadini italiani hanno assegnato all'arte, alla cultura e al sociale è stato attribuito alla guerra in Iraq e solo una minima parte è stata data per combattere la fame nel mondo – ha detto Giulia Maria Mozzoni Crespi in apertura di un convegno sulla tutela dei beni ambientali – Letta lo aveva detto in una conferenza, ma mi ha riferito desolato che era stato pubblicato solo in un trafiletto da un quotidiano».

In effetti lo scorso 31 agosto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Enrico Letta, al termine di una riunione del Consiglio dei ministri, aveva dichiarato che l´esecutivo, affrontando la questione dell'8 per mille per quel che riguarda la quota statale, aveva scoperto un "buco" di diversi milioni: «Questa quota, all'incirca 110 milioni di euro, con le Finanziarie degli anni scorsi è stata decurtata, e i fondi usati per altri scopi – disse Letta - Per questo abbiamo trovato soltanto 4,7 milioni di euro su gli oltre 100 che dovevano essere disponibili».

www.lunita.it

ROMA - "Sono rimasta strabiliata che l'8 per mille dato dai cittadini italiani per l'arte, la cultura e il sociale sia andato in gran parte per la guerra in Iraq e solo una minima parte per la fame nel mondo". Lo ha detto il presidente del Fai, Fondo per l'ambiente in Italia, Giulia Maria Crespi aprendo a Roma il convegno nazionale sul tema "La riscossa del patrimonio. Beni culturali, paesaggio e rilancio economico". "A rivelarmelo è stato Enrico Letta - ha aggiunto - il quale a suo tempo lo aveva riferito in una conferenza stampa ma era stato riportato solo in un trafiletto di giornale".

Le parole di Letta. "Il Consiglio dei ministri di oggi ha affrontato la questione dell'8 per mille per quel che riguarda la quota statale", disse lo scorso 31 agosto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Enrico Letta. "Questa quota - aggiunse Letta - all'incirca 110 milioni di euro, con le finanziarie degli anni scorsi è stata decurtata, e i fondi usati per altri scopi", rispetto a quelli previsti: restauro dei beni culturali, lotta alla fame, assistenza ai rifugiati, calamità naturali.

Per questo, secondo il sottosegretario, "abbiamo trovato soltanto 4,7 milioni di euro sugli oltre 100 che dovevano essere disponibili". Una scelta, sottolineò Letta a proposito del precedente governo, "che si commenta da sola, e che noi critichiamo".

Questo, proseguì Letta, "a fronte di 1.600 domande per oltre 630 milioni di euro". Una situazione che ha costretto il governo Prodi a fare delle scelte: "Abbiamo deciso di usare i 4,7 milioni di euro solo per un capitolo dei 4 per i quali vengono impiegate queste risorse: l'assistenza ai rifugiati e le calamità naturali".

Legambiente. "Sicuramente quando hanno firmato per l'8 per mille allo Stato non pensavano di andare a finanziare la missione in Iraq. Un grave inganno per gli italiani", afferma Roberto Della Seta, presidente di Legambiente. "Se la denuncia della signora Crespi fosse vera - continua Della Seta - si tratterebbe di un atto gravissimo non solo per l'effetto diretto, e cioè i soldi sottratti ai Beni culturali, ma anche per quello indiretto che si traduce nell'aumento della sfiducia dei cittadini verso le istituzioni".

La replica di Letta. Con la prossima finanziaria l'8 per mille tornerà ad essere utilizzato "per le finalità stabilite dalla legge". Lo ha assicurato in serata il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta da Verona, dove si trova per un foro di dialogo italo-spagnolo. Letta ha confermato che "negli anni scorsi l'8 per mille è stato mal utilizzato". Più in particolare "nella finanziaria del 2005 - ha precisato - è stato dirottato su finalità che non avevano nulla a che fare con l'8 per mille. Ma già con questa finanziaria - ha concluso - abbiamo intenzione di cambiare usanza".

www.repubblica.it

 
 
 

Caro Angius ripensaci

Post n°5 pubblicato il 03 Novembre 2006 da spiancianonna

di Luciano Violante

Caro Gavino, questa lettera è indirizzata anche a Massimo Brutti, Peppino Caldarola e Alberto Nigra che, ho letto su l´Unità di ieri, sono impegnati con te nella redazione di una terza mozione per il nostro Congresso. Leggo che non siete contrari alla nascita di un nuovo partito; intendete discutere a fondo, e senza vincoli pregiudiziali, obiettivi, modalità e tempi. Benissimo. Sono d'accordo. E credo che molte altre compagne e altri compagni concorderanno. Dovremo discutere e scegliere senza vincoli esterni. Ma, mi chiedo, c´è bisogno per questo di presentare una terza mozione? O non è meglio, più utile per le stesse ragioni che intendete sostenere, e che io in gran parte condivido, stare interamente dentro il processo di costruzione della nuova forza per fare in modo che quel processo assuma le caratteristiche volute? Nel porti e nel porvi questa domanda non sono animato da spirito unanimistico. I congressi dei partiti democratici sono i luoghi dove si confrontano, anche con asprezza, posizioni ideali e politiche contrapposte.

L'unanimismo, nei partiti, è la tomba della democrazia. E l'esperienza insegna che ai dirigenti politici arrecano più danno i caporali ossequienti che gli amici critici. Mi muove invece la drammaticità delle condizioni in cui versa il nostro sistema politico e la consapevolezza che il tempo a nostra disposizione si sta esaurendo . Ho contato ventuno partiti, dodici per il centrosinistra e nove per il centro destra; e può darsi che me ne sia sfuggito qualcuno. La frammentazione già propria del nostro paese è stata esasperata da un sistema elettorale varato dalla destra per impedirci di governare. Questa frammentazione indebolisce i governi, delegittima i partiti ed i loro gruppi dirigenti, rende difficile resistere alle lobbies più forti, aumenta la rissosità, fa prevalere l'interesse di partito su quello della coalizione e del Paese, impedisce la selezione delle priorità. Dalla crisi alla decadenza il passo è breve. Il crollo può essere determinato proprio dall'incapacità delle classi dirigenti di affrontare e risolvere i problemi che hanno portato alla crisi. Per molto tempo abbiamo ritenuto che fossero sufficienti le riforme istituzionali. Non sarò certamente io a negarne l'importanza. Ma i mali del sistema politico si curano con le riforme della politica. La costruzione nel centrosinistra di un grande partito che mobiliti al servizio del Paese energie, intelligenze, capacità, oggi divise da superabili steccati, è quello che serve per uscire dalla crisi e per fare le scelte coraggiose che sinora non abbiamo operato con la necessaria determinazione.

Se il progetto comincerà a prendere vita, sarà inevitabile che nasca anche nel centrodestra un disegno analogo: i vantaggi per l'intero sistema politico saranno evidenti. Sul nuovo partito sono dubbiosi quei compagni che temono la cancellazione della loro identità politica. Il nostro partito, con tutti i suoi difetti, ha costituito per milioni di persone, forse anche per te e per me, non una espressione organizzativa ma un orizzonte di vita. Bisogna ascoltare le preoccupazioni dei militanti, rispondere alle loro domande, disegnare un percorso e un traguardo che non significhi per nessuno liquidazione della sua vita politica e dei suoi ideali. Per questo è bene che si lavori tutti insieme per dare alle posizioni che sostengono il progetto caratteri e contenuti capaci di mobilitare iniziative ed entusiasmi, capaci di ricondurre tutti a quel senso di responsabilità nazionale che nei momenti difficili è stata la nostra dote migliore. Non stiamo chiudendo il libro della nostra storia. Ne stiamo scrivendo un nuovo capitolo che può essere decisivo per tutta l'Italia. Se ci presentassimo con tre mozioni, due delle quali divise non dall'obbiettivo finale, ma sul modo di arrivarci e sui contenuti specifici, non aiuteremmo né la riflessione né il dibattito. E poi: chi ci dice che siamo separati su questi aspetti? A me sembra più opportuno lavorare perchè ci sia un'unica mozione dei favorevoli e battersi da ora perchè questa mozione abbia dentro di sé la garanzia che nel nuovo partito i valori ideali e le aspirazioni della sinistra non precipitino in un indistinto contenitore democratico, ma abbiano la loro identità e la loro piena cittadinanza.

Non proponiamo improbabili pretese egemoniche, ma siamo contrari a remissioni subalterne. E' un compito difficile. Dobbiamo trovare un equilibrio tra la necessità di costruire un partito unico e l'esigenza di non disperdere identità, appartenenze e valori di ciascuna delle forze che concorrono all'impresa, antiche e giovani. Un partito non è un insieme di gazebo e primarie sotto lo sguardo paterno del leader, chiunque esso sia. Ma è del tutto superata l'antica forma partito fatta di clero che spiega, interpreta, dirige, santifica, condanna e fedeli che ubbidiscono ed evangelizzano. La soluzione potrebbe consistere in un "partito plurale", costituito attraverso un patto che consenta alle diverse forze che lo compongono di mantenere la propria identità all'interno di un comune disegno strategico. Possiamo discuterne prima della presentazione di una mozione che dividerebbe il campo dei favorevoli all'impresa senza, a mio parere, che se ne intravveda la necessità? Chiedo scusa a te e agli altri compagni per la franchezza; ma decenni di impegno comune ci hanno insegnato a diffidare delle mezze verità.
 
 
 

Darfur, il flop degli aiuti del governo Berlusconi

Post n°4 pubblicato il 02 Novembre 2006 da spiancianonna

L´ospedale non è un ospedale. A dirlo sono i medici mandati ad aprirlo in tutta fretta. E anche la gente del Darfur che aveva preso per buona la promessa degli italiani: «Non è un ospedale, al massimo è un ambulatorio». È questo Avamposto 55, la mano tesa dall´Italia al dolore di questo angolo d´Africa da tre anni divorato da una guerra che ha già creato 2 milioni di rifugiati. La telecamera di «C´era una volta» - «Aiuti, chi aiuta chi?», di Silvestro Montanaro, in programma stasera su Rai 3, intorno alle 23 - si infila nella sala operatoria: quattro pareti nude, nessuna attrezzatura, una fessura alta quattro dita sotto alla porta, barriera insufficiente non solo ai batteri ma anche a topi e serpenti. «Non dovete fare il paragone con gli ospedali occidentali, questa è Africa», si affanna a ripetere un´incaricata che fa da guida. Come se gli africani non morissero di setticemia come qualsiasi altro essere umano.

Avamposto 55. Una bimba morente, ranicchiata accanto ad un avvoltoio in attesa del suo pasto: Bonolis a Sanremo 2005 aveva sintetizzato così l´orrore del Darfur, invitando pubblico e artisti a sostenere una speranza, affidata alle mani di Barbara Contini. Mani esperte: governatrice di Nassiriya nell´Iraq «liberato» dalla coalizione, sponsorizzata dal governo Berlusconi, donna di polso. A lei il compito di portare la solidarietà dell´Italia canora - inariditasi a metà della cifra promessa - e non, trasformandola in qualcosa di utile in un paese di sterminate baraccopoli di rifugiati privi di tutto. Del suo frenetico affannarsi tra decine di progetti, riusciti e no, resta una scuola bianca e azzurra dove ci piove dentro e non si è mai svolta nessuna lezione, perché non ci sono soldi per i maestri. I due guardiani che tengono d´occhio la struttura non sono pagati, si danno il cambio per andare ad elemosinare durante il giorno. C´è anche un parco giochi circondato da filo spinato tinto di verde, nessun bambino ci ha messo piede mesi dopo che è stato ultimato.

Fretta di finire, di avere foto da mostrare, di far vedere quel che si era fatto. Non si accontenterà di foto la missione di verifica spedita dalla cooperazione italiana nelle scorse settimane, come spiegano oggi al Ministero degli esteri, per cercare di fare chiarezza sui soldi spesi, su come siano stati impiegati e anche sul ruolo che ha avuto Contini, spedita in Darfur su mandato del governo di centro-destra e lì rappresentante anche dell´agenzia internazionale Img: una doppia veste i cui contorni andranno ora esaminati.

Barbara Contini è sulle spine. I suoi avvocati hanno diffidato la Rai dal mandare in onda il programma, dove lei appare intervistata a casa sua, in due diverse occasioni. «Tutti mandavano milioni di euro. Noi non ne avevamo, per questo hanno mandato me», spiega nell´intervista: era lei il valore aggiunto, il re Mida capace di trasformare in oro quel che toccava, tessendo contatti con i contendenti per imbastire un piano di pace. Che se non è andato in porto, sostiene, è per la piccineria della diplomazia italiana: una storia di invidie personali e di veleni al Ministero degli Esteri. La versione che racconta a «C´era una volta» l´ex sottosegretario Mantica è un po´ diversa: in breve, senza soldi da spendere, il governo Berlusconi avrebbe spedito la Contini «che nell´immaginario collettivo era un´eroina», per fare un gesto, dare un segnale. La diplomazia dell´immagine, sembra di capire. Quanto al piano di pace, per Mantica l´Italia non avrebbe comunque avuto nessuna voce in capitolo di fronte alle superpotenze che si affrontano intorno alla tragedia del Darfur. Perché visto da vicino, questo conflitto silenzioso, assume un´aria tutta diversa rispetto agli odi tribali o allo scontro di civiltà.

Il Darfur non è solo bimbe stremate e avvoltoi pronti a spolparle. Gli avvoltoi, sia chiaro ci sono, ma volteggiano sopra le risorse di petrolio, oro, argento e uranio che imbottiscono questa regione del Sudan. La Cina si è già assicurata una grossa fetta delle risorse energetiche del paese, che le garantisce l´8% del suo fabbisogno, ma non è la sola a puntare all´Africa per soddisfare la sua sete di petrolio. In ballo ci sono anche gli Stati Uniti e potenze minori dell´Occidente a secco. Più che uno scontro di civiltà, è una lotta tra titani per spartirsi gli ultimi giacimenti, spazzando via qualunque cosa. Così la Cina sostiene il governo e le milizie janjaweed che flagellano il Darfur, gli Stati Uniti appoggiano i ribelli. Lo scontro è arrivato anche in Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove Washington non è riuscita a strappare la definizione di genocidio che implicherebbe l´obbligo per l´Onu di intervenire ed ha ventilato la possibilità di un´azione unilaterale. L´emergenza umanitaria giustificherebbe l´urgenza dell´invio di militari per soccorrere, aiutare, così come doveva accadere nell´Iraq vessato da Saddam e dove invece la prima preoccupazione fu proteggere i pozzi di petrolio. Stavolta sarebbe il genocidio la parola chiave, come a Baghdad furono le armi di distruzione di massa.

www.lunita.it

 
 
 

Dossier Sismi: colpire i nemici di Berlusconi

Post n°3 pubblicato il 27 Ottobre 2006 da spiancianonna

Magistrati come Edmondo Bruti Liberati, Gherardo Colombo e Giovanni Salvi. E poi politici dell´opposizione come Luciano Violante e Massimo Brutti. Tutti membri di una struttura considerata «nemica» del governo Berlusconi e che, per questo motivo, andava «neutralizzata», «disarticolata» al più presto anche «con azioni traumatiche».

È la clamorosa scoperta fatta dalla polizia giudiziaria negli enormi archivi scoperti all´ultimo piano di via Nazionale 230, nell´appartamento-ufficio del funzionario Sismi Pio Pompa. Un piccolo dossier di meno di venti pagine che la procura milanese (sono state le indagini dei pm Armando Spataro e Ferdinando Pomarici sul rapimento dell´ex imam della moschea di viale Jenner Abu Omar a portare fino al cuore della capitale, negli uffici di via Nazionale) ha inviato nella sera di martedì a Palazzo San Macuto nella sede del Comitato di Controllo Parlamentare di Controllo sull´attività dei Servizi Segreti e che i membri del Copaco hanno visionato fra lo stupore generale ieri prima dell´audizione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Micheli.

Un documento cartaceo con tanto di annotazioni a margine scritte a mano, uno delle centinaia di faldoni rinvenuti nel grande attico di via Nazionale fra le carte collezionate dal braccio destro del direttore del servizio segreto militare Niccolò Pollari assieme ai dossier su giornalisti, politici, magistrati e persino sul capo della Polizia Gianni De Gennaro. Poche pagine, una ventina in tutto, divise in due sezioni. La prima una lista di elementi ritenuti membri di una struttura nemica del governo Berlusconi comprendente politici e soprattutto magistrati: fra loro anche l´ex segretario dell´Associazione nazionale magistrati e oggi procuratore aggiunto di Milano Edmondo Bruti Liberati, l´ex pm e oggi consigliere presso la Corte di Cassazione Gherardo Colombo, l´ex vicesegretario generale nonché vicepresidente dell´Anm Giovanni Salvi, l´ex capogruppo diessino alla Camera Luciano Violante e l´attuale vicepresidente del Copaco Massimo Brutti. Personalità, è spiegato nella seconda parte del dossier in un linguaggio criptico tipico delle informative riservate e oscure degli spioni, considerate a diverso titolo membri di una struttura "nemica" del governo Berlusconi e potenzialmente in grado di "creare problemi" all´attività dell´esecutivo di centrodestra. E per questo motivo, una struttura da "neutralizzare", da "disarticolare" anche ricorrendo ad "azioni traumatiche". Un linguaggio allarmante, che aggiunge un inquietante tassello al vecchio e stantio refrain delle toghe rosse politicizzate e del connubio fra magistrati e sinistra uniti in un complotto contro l´ex presidente del Consiglio e leader di Forza Italia. Un documento che rende ancora più inquietante quanto emerso in questi mesi dalle inchieste della procura milanese su intercettazioni abusive, pedinamenti, investigatori privati al soldo di Telecom, servizi deviati, stampa compiacente e operazioni segrete targate Cia.

E se le poche certezze sul documento, almeno per ora, tratteggiano uno scenario ai limiti dell´emergenza democratica, molti sono invece i dubbi che circondano il dossier. Innanzitutto la sua collocazione temporale: perché se quasi certo è che l´inizio del lavoro di dossieraggio è riconducibile ai primi mesi del governo Berlusconi, quasi sicuramente le successive pagine sono state realizzate in un secondo tempo, forse anche a distanza di molti mesi. Difficile per ora anche attribuire una paternità al documento trasmesso dalla procura milanese al Copaco. Perché se le annotazioni scritte a meno margine dei fogli e la sua scoperta negli armadi del grande archivio (parzialmente rimasto ancora inesplorato) di via Nazionale 320 farebbero pensare ad un testo redatto proprio dal braccio destro di Polalri e addetto alla disinformazione Pio Pompa, non è da escludere che la mano nascosta dietro alle pagine del piccolo dossier possa essere quella di un qualche "zelante spione" ansioso di ben figurare con i vertici del Sismi e con il nuovo esecutivo.

Ripetiamo: chi ha dato l'ordine?di Antonio Padellaro

Primo. Lo spionaggio fiscale di cui è stato vittima Romano Prodi con la moglie Flavia Franzoni (ma si parla anche del presidente Napolitano, di Fassino e di altri personaggi delle istituzioni) è avvenuto attraverso 128 accessi abusivi nel sistema dell´anagrafe tributaria del ministero dell´Economia. Tutto ciò violando un sistema blindato di protocolli e procedure. Tutto ciò quando ministro era Giulio Tremonti, responsabile dell´indirizzo e della vigilanza del dicastero. Il quale sostiene adesso essersi trattato di un semplice caso di «guardonismo». Vedremo se il ministro del buco conserverà la stessa vena ironica quando la magistratura avrà completato l´inchiesta su quello che gli stessi inquirenti già definiscono il Watergate italiano.

Secondo. Notizie estratte dalle dichiarazioni di redditi dei coniugi Prodi, e in particolare i termini di una donazione ai figli, sono state pubblicate con grande clamore alla vigilia delle elezioni dai giornali della destra. Solo coincidenze? O un esempio di come è stata condotta la campagna elettorale contro il candidato dell´Unione e di quali metodi sono stati usati per farlo fuori? Metodi simili a quelli usati, neanche a farlo apposta, dagli indagati del cosiddetto Laziogate per spiare e danneggiare gli avversari dell´allora presidente della Regione Storace in corsa per la riconferma.

Terzo. Se aggiungiamo lo spionaggio contro Prodi, in quanto avversario di Berlusconi, ai nomi della lista rivenuta negli archivi Sismi di Pio Pompa - politici e magistrati della sinistra da «disarticolare» e «traumatizzare» perché «nemici» di Berlusconi - una domanda sorge spontanea: chi è, fatte le somme, il vero beneficiario di questa vasta e articolata operazione delinquenziale?
 
 
 
Successivi »
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963