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Diario di Tig.
 
trafaredire

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Messaggio n° 10 26-12-2003  
 

Post N° 10

Prendi questa mano, zingara
dimmi pure che futuro avrò,
ora che il vento porta in giro le foglie
e la pioggia fa fumare i falò.
E c'è uno che dice:"Guarda!",
uno che dice:"Dove?", uno che dice:"Chissà".
E c'è acqua che è ferma, acqua che si muove
acqua che se ne và.

Prendi questa mano, zingara
leggila fin che vuoi,
leggila fino all'ultimo,
leggila come puoi.

Prendi questa mano, zingara
dimmi ancora quanta vita ci và.
Di quanti anni sarà fatto il tempo
e il tempo cosa sembrerà.
Saranno macchine o fili d'erba
saranno numeri da ricordare
saranno barche da ridipingere
saranno alberi da piantare

Prendi questa mano, zingara,
raccontami il buio com'è,
la notte è lunga da attraversare,
fammi spazio vicino a te.

I tuoi occhi risplendono nel buio,
la tua bocca e le tue dita parlano,
e il tuo anello rovesciato si illumina.
Alla luce dell'insegna dell'albergo di fronte,
i tuoi denti e la tua schiena brillano,
mentre i tuoi sensi scintillano,
nell'oscurità.

I tuoi occhi sorridono nell'ombra
e le tue carte si aprono,
le nostre mani si mischiano.
E il presente e l'infinito
nel buio si confondono,
mentre i tuoi sensi rispondono
nell'immensità.


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Messaggio n° 9 15-12-2003  
 

Post N° 9

Oggi è tempo d'incendi,
organizziamo presepi
dalle stelle Tu scendi
e ci senti e ci vedi
addormentati in panchina
o indaffarati a far niente
ed il freddo che arriva,
ci brucia e ci spegne.

Non c'è nessun segreto,
nessuna novità
non c'è nessun mistero,
nessuna natività.
Io ti regalo una foglia
da masticare col pane
e Tu una busta di vino
per passare la fame.

Sior Capitano
aiutaci a attraversare
questo mare contro mano.
Sior Capitano,
da destra o da sinistra non veniamo
e questa notte non abbiamo
Governo e Parlamento non abbiamo
e ragione,
ragione o sentimento non conosciamo
e quando capita ci arrangiamo
con documenti di seconda mano.

Oggi è tempo d'attesa,
organizziamo qualcosa
mentre balla sul marciapiede,
“la vita in rosa”
che ci guarda e sorride
e non ci tocca mai
ultimi di tutto il mondo,
piccoli fiammiferai.
Non c'è nessun perdono
in tutta questa pietà
non c'è nessun calore,
nessuna elettricità
oggi che parlano ai “cani”
per sentirsi più buoni
e intorno al nostro fuoco
cantano canzoni.


COMMENTI: 0   Inviato da tiguardodentro @ 16:37
Messaggio n° 8 21-11-2003  
 

Post N° 8

L’oblio del bene
Nelle epoche di crisi, transizione e confusione di elementi positivi e negativi, non si sa più – si lamentano tutti – “ cosa è bene e cosa è male”. Però chi ancora lo sa viene chiamato “vecchio”, e biasimato o ridicolizzato. In queste epoche si scambia il nuovo con il buono e l’antico con il cattivo, confondendo nuovo e attuale (= ciò che è valido sempre) antico e vecchio.
Il bene diventa un “ cui prodest”, ciò che giova a qualcuno, e pochi si sognano di pensare che il vero bene, oltre che in profondità desiderabile e attraente, sia sempre meno impegnativo, faticoso e spesso anche doloroso. Il vero bene. Ciò accade perché, appunto, il bene si separa dal vero, e anche dal bello (ridotto a gusto individuale arbitrario), e perciò non traluce più, nel bene, l’essere.
Il bene diventa erratico, vagabondo, compare, scompare qui, là, assume l’evanescenza di un miraggio, tanto più rabbiosamente inseguito quanto meno effettivamente posseduto.
A queste purtroppo ben verificabili considerazioni, si deve aggiungere un corollario importantissimo. Il buono e il bello nell’esperienza umana di tutti i tempi (fino ad oggi), e nel linguaggio filosofico e artistico sono intimamente uniti, anche etimologicamente. Il biblico tòb (<< E Dio vide che era cosa buona-bella…>>), il bello-buono dei Greci (Kalos Kai agathos), lo testimoniano, come in latino la metamorfosi reciproca dei due valori (bonus-bonulus-benulus-benlus-bellus ). L’eclissi del bello, perciò, e quella del bene, non possono che implicarsi reciprocamente, e produrre risultati comuni.
Poiché nelle epoche di crisi, più del solito, “tutti”, come dire la famosa battuta “ pensano a sé, e solo io penso a me”, il bene, diventato il “ mio” bene, perde letteralmente l’essere universale e integrale, non esiste più se non come illusione. Nella centrifugazione della concretezza dell’essere (vero-buono-bello) diventa non vero, cioè falso, e non bello, cioè brutto. Una cosa falsa e brutta e propriamente ripugnante, e tale purtroppo appare il “bene” sbandierato dalla pubblicità, dalla moda, dal costume prevalente e repressivamente dominante. Ripugnante perché individualizzato egoisticamente, deformato esteticamente, distorto moralmente.
Anzitutto questo “bene” impone il primato della vita fisica, identificata senz’altro con la Vita (se qualcuno continua a vedere la differenza viene considerato un marziano): fitness, “qualità della vita”, culto di una bellezza-benessere meramente epidermica; che si rovesciano però, con logicissimo paradosso, nel loro contrario, cioè nella cultura della morte: favore di opinione nei confronti dell’aborto, dell’eutanasia, della manipolazione genetica senza regole, della denatalità, e persino spirito suicidario (se non riesco a vivere come voglio io, mi ammazzo) sono nient’altro che l’effetto rovesciato ma, costatiamolo, logicissimo, del primato della vita fisica.
Poi ci sono gli effetti diretti: la pavidità, che è la mancanza del coraggio di rischiare, all’occorrenza, la vita fisica divenuta valore assoluto; e la pigrizia spirituale, un tempo chiamata ignavia o accidia, con parole che oggi non sono popolari, e che produce effetti disastrosi ma poco immediatamente visibili, tanto che gli interessati dal fenomeno sono definiti in genere “brave persone”. Pavidità e pigrizia formano il grosso di quello che gli psicologi giustamente definiscono il complesso di Peter Pan, cioè il rifiuto di crescere. Il quale a sua volta genera il rifiuto del matrimonio, o la fuga da esso, con le sue conseguenze (ultima la proposta involontariamente umoristica, ma ricca di futuro, del matrimonio a termine. Due anni, cinque anni, dieci – ma già son troppi). Come ulteriore conseguenza, la singleness (è un neologismo?), la scelta/moda di essere e fare il single, manna per psicoterapeuti e supermercati.
Tutto ciò muove una potente spinta al consumismo, già tecnologicamente dominante, sull’ala di quella che il biblico libro della sapienza definisce “fascinatio nugacitatis”, seduzione della frivolezza e dei vizi che ne derivano.
Ma un mondo in cui il bene, dissociato, si muove come una scheggia impazzita o se si preferisce una variabile indipendente (dal bene universale e comune), non che organizzarsi in base a una sola, selvaggia, legge: quella dell’ economicismo e del politicismo amorale: tutto è denaro, tutto è potere.
Allora cadremo davvero nell’irrimediabile sconforto, sentiremmo con struggente sofferenza di essere minacciati alle radici stesse della vita, e non solo per non poter condividere il “nostro” bene con quelli altrui; ma proprio per non sapere più cosa è bene e cosa è male: per non potere neppure sbagliare, e correggerci…; se a questo punto ci rivolgessimo seriamente e intensamente a quel bene che nessun “bene” falso e brutto può sostituire, surrogare, simulare.
Quel bene è l’essere di cui è autore l’Essere, Dio. Infatti il bene diventa male quando perde il suo rapporto con l’essere diventato un bene che non è, un falso bene. Come accade al pessimismo moderno su cui fonda l’ingratitudine disperata del costume materialista e consumista, che non riconosce il bene come dono di Dio.
La scelta del bene è la più ardua e la più spiacevole al momento storico che viviamo, non dà ne vantaggi materiali né gratificazioni psicologiche di superficie, non garantisce né fama né onore, spesso il contrario. Ma, guidata dalle correlate vocazioni al bello e al vero, è l’unica che, pacificando la coscienza in tutta la sua profondità, dimostra, anche a chi ne farebbe a meno, di averne una.


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Messaggio n° 7 18-11-2003  
 

Post N° 7

L'oblio del "bello" o la bellezza separata dall’essere. Qual è il suo destino?
L’essere non si vede, come la vita, non si suppone in una pianta se non attraverso il verde della sua linfa; che succede allora quando la costellazione dell’essere esplode centrifugando, con il bene e la verità, anche il bello?
Non è difficile visualizzare e concettualizzare ciò che abbiamo sott’occhio e nella mente: l’estetismo è la prima conseguenza necessaria di un’estetica separata: in cui, cioè, il bello allontanandosi dall’integrità dell’essere diventa non-buono (cattivo) e non vero (falso).
L’esteta vive di sensazioni gradite, evita il confronto impegnativo ed esigente con il bene e con la verità, svuota l’essere; cerca il piacere (edonè), e così nasce l’edonismo. Guarda solo a se stesso e così da origine al narcisismo, che consiste nel non riconoscere gli altri come altri, e la realtà come oggettiva. E poiché non può non continuare a cercare il bene da cui si è staccato, anche se non lo sa, lo cerca nel piacere, ad esempio esasperando l’erotismo, inventando quel tragico e grottesco equivoco da macelleria sessuale che è la pornografia, squilibrandosi nel sadismo (piacere che strumentalizza l’altro fino alla crudeltà) o nel masochismo (che rivolge a se stesso quella strumentalizzazione crudele); e rotolando nelle altre perversioni possibili.
In forma più lieve, ma alla lunga non meno distruttiva, l’estetismo si fissa nel giovanilismo e nel disprezzo della vecchiezza. E infine, per quanto riguarda tutte le arti, si traduce – fenomeno grandiosamente complesso e drammatico – “in perdita del centro”: e infatti l’arte moderna rappresenta e testimonia con particolare efficacia la centrifugazione-frantumazione dell’essere: è arte della crisi anche quando non esprime la crisi dell’arte.
Come il ragno esposto a radiazioni atomiche non costruisce più l’architettura mirabile e perfetta della sua tela, ma un caotico disordine di fili intrecciati, così opera il bello “impazzito”: staccandosi dal bene diventa cattivo, e staccandosi dal vero diventa falso. Attraverso un tale relitto del bello non risplende l’essere; la luce propria , di cui esso pretende di brillare, soltanto acceca e consuma. Invece del riposo illuminante e della chiarezza trasfigurante che potrebbe donare, comunica stimoli ciechi e violenti, impulsi divoranti e disperati come nostalgie impossibili, rimpianti inguaribili e cocenti che, se non cambia strada, hanno come sbocco la disgregazione, la morte.
All’estremo, c’è il diabolico rovesciamento del bello nel brutto (e viceversa) già intuito dal genio di Shakespeare, che fa dire alle streghe del Macbeh: "Il bello è brutto, il brutto è bello (fair is foul, and foul is fair)". Perciò dice Dostoevskij: "l’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più niente da fare al mondo! Tutto il segreto è qui, tutta la storia e qui. La scienza stessa non resisterebbe un minuto senza bellezza".
Ma anche nelle sue tracce più smarrite, in un’epoca di oblio, l’orma dell’essere non si cancella e continua insopprimibilmente a cantare il suo richiamo, il suo appello, anche in un tramonto.


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Messaggio n° 6 16-11-2003  
 

Post N° 6

Guardavo sotto una fitta pioggia un tramonto bellissimo: il fondo grigio del cielo, che si apriva poco sopra l’orizzonte a un fulgore arancio rossastro, si era tutto velato come di un grandioso tendaggio viola-rosato, spandendo una luminosità diffusa e come interiore per tutta la sua altezza; due uomini che passavano in fretta portando insieme qualcosa decisero di non vedermi, perché ai matti si dice sempre di sì, e oggi i matti sono quelli che guardano i tramonti sotto la pioggia.
In due minuti il tramonto si spegneva, e cominciai a dipanare un gomitolo filosofico (ma non per filosofi di professione). Perché oggi ci si vergogna del bello, o gli si è almeno indifferenti? Perché il bello si è dissociato dall’essere, e la ragione purtroppo è semplice e storicamente documentabile.
Nel 1750 il tedesco Baumgarten pubblicò un trattato di Estetica, termine da lui coniato sulla base di una radice verbale greca. Ma invano cercheremmo la parole “estetica” nell’antica Grecia, perché allora e ancora dopo molto tempo, fino a tutto il Medioevo, non esisteva una estetica separata, dissociata dalla poetica (conoscenza), dall’etica, dalla politica, ecc.
Fu il Rinascimento che cominciò a dividere le conoscenze fra loro e tutte insieme dalla religione, mettendo in moto il processo che poi, per quanto riguarda il bello, culminò nel 1750 con la nascita di un’estetica separata.
Ora, bisogna considerare che noi per tutta la vita facciamo bene o male l’esperienza dell’essere (che è noi stessi, gli altri, le cose, il mondo; e le facciamo anche se non lo sappiamo); non dell’essere in astratto, ma in concreto, nelle sue proprietà percepibili (che i filosofi chiamano “ trascendentali”): l’uno (che qui tralascio), il vero, il buono, il bello.
Eccoci: verità, bene, bellezza sono le nostre vie all’essere, sono i suoi aspetti inseparabili da esso e tra loro.
L’essere è vero-buono-bello, e senza verità-bene-bellezza non lo si sperimenta, non se ne sa nulla. Il che, in termini immediati, significa che la vita si svuota, morde il nulla esistenziale, cade nella tristezza e nell’oblio, perde coscienza di sé, perde i valori che la rendono degna di essere vissuta; e la sua ragione e il suo scopo, dal momento che l’esperienza dell’essere ci introduce a quella dell’Essere (Dio).
Di conseguenza, ancora, il mondo diventa brutto, e la bruttezza di tanta parte del mondo attuale è la prova troppo evidente di quanto dico.
(segue)


COMMENTI: 0   Inviato da tiguardodentro @ 18:20

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