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Perfidie di Stefano Torossi

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Messaggi di Marzo 2015

Minuetti e pennelli

Post n°325 pubblicato il 30 Marzo 2015 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

  30 marzo 2015

   MINUETTI E PENNELLI



Bibì e Bibò in Sala Stampa

Chi non conosce Bibì e Bibò può passare direttamente al prossimo capoverso.

Chi invece se li ricorda, sa che si tratta di due monelli che da più di un secolo abitano in un fumetto con la loro mamma, la Tordella, il Capitan Cocoricò (che potrebbe essere il di lei fidanzato, ma nessuno lo sa con precisione) e l'ispettore, un piccolo signore pieno di autorità che dice sempre la sua.

Sala Stampa Estera, martedì 24, presentazione del "Galateo della Corrispondenza". I due autori, Laura Pranzetti Lombadini e Michele D'Andrea, sono Bibì e Bibò. L'Ispettore è invece il moderatore, Claudio Ligas. Per questa volta la Tordella e il Capitano rimangono fuori della storia.

Naturalmente il libro è, al contrario dei due ruspanti ragazzini, il massimo del garbo, con punte di elevata raffinatezza se non di snobismo (la sottolineata superiorità, ora e sempre, della penna stilografica, possibilmente di marca e obbligatoriamente d'annata, rispetto a tutti gli altri arnesi da scrittura). Ovvio, in un manuale che insegna a corrispondere con l'idraulico o con il Presidente della Camera (o la Presidente, forse la Presidentessa, o magari la Presidenta). Comunque la si giri emerge il fatto che, essendo la lingua un organismo ben vivo e agitato, è impossibile tenerla ferma. Magari si accovaccia un momento sulla tua scrivania ma si sa che prima o poi scappa.

Il parallelo con i fratellini terribili prende vita quando i due autori, pungolati e a volte rimessi in riga, sempre garbatamente s'intende, dall'Ispettore - moderatore, nel corso della presentazione cominciano a battibeccare, si danno sulla voce per gioco, mettono finti bronci dopo aver sparato sberleffi e ripetono a pappagallo uno le frasi dell'altra.

Un minuetto elegante, simpatico, un po' narciso e a momenti a rischio leziosità. Ma divertente perché ben condotto, neanche i due fossero attorcomici professionisti. Non abbiamo ancora letto il Galateo, ma siamo certi che, arrivati all'ultima pagina, avremo imparato qualcosa che farà di noi dei cicisbei migliori.

 

Merisi è in città!

Venerdì 27 nel piccolo teatro dell'Associazione ERA DEA, dalle parti del Panteon, cioè precisamente nel quartiere in cui venne ad abitare poco più di quattrocento anni fa, sceso dal nord, il pittore Michelangelo Merisi, è andata in scena la seconda serata del ciclo "Il sotterraneo di Caravaggio". Rosa Di Brigida: idea e narrazione, Francesco D'Ascenzo: regia e recitazione, Rosa Balivo: egregia presenza in scena. Scene e costumi, strepitosi, del Laboratorio Era Dea Studio.    

        All'epoca (come fino a pochi anni fa, prima che esplodessero le ridicole quotazioni di milioni di dollari per squali in formalina o statue iperrealiste di Jeff  Koons e Cicciolina) gli artisti erano dei poveracci che dipendevano dalla nobiltà per commissioni, vitto e alloggio. E protezione, che per il nostro, dato il suo carattere rissoso, era fondamentale. 

       Come latitante per un presunto omicidio, fa una capatina alla metropoli più vicina, Venezia, dove, già che c'è (e ci pare con un certo profitto) studia i grandi pittori del momento.

       Eccolo a Roma; qui si piazza a casa di Monsignor Pucci di Recanati. Per l'alloggio va bene, per il vitto un po' meno, tanto è vero che il pittore soprannomina il prelato "Monsignor insalata".

Dopo non molto cresce di livello e passa al Cardinal Del Monte, ma trova il modo di bruciarsi le amicizie anche qui, prendendo a bastonate un nobiluomo, come lui ospite del Cardinale. E' chiaro che Caravaggio era uno che con il galateo non aveva molta dimestichezza, neanche quando gli sarebbe convenuto. E infatti gli va male perché un artista dell'epoca, per quanto famoso, proprio non si poteva permettere di bastonare un nobile.

Altre risse, altri arresti. Tira un piatto di carciofi in faccia a un garzone di osteria, che lo querela. Nel 1605 ferisce un notaio. I suoi nobili protettori riescono a insabbiare tutto, finché, nel 1606 uccide Ranuccio Tomassoni, con cui aveva già litigato varie volte, pare per i favori di una delle prostitute che frequentavano.

Evidentemente questa è l'ultima goccia, perché lo condannano, fin troppo severamente, alla decapitazione. Curiosamente, dopo questo fatto, nei suoi quadri i vari Oloferne e Golia cominciano ad avere i suoi stessi lineamenti.

Trova ancora la famiglia Colonna che lo protegge nella sua fuga a Napoli, a Malta, in Sicilia; una peregrinazione segnata da altre risse e duelli. Poi sappiamo come va a finire. Un vero spreco di un talento così miracoloso, solo perché il suo proprietario non riusciva a tenere a mente le semplici e utili regole del galateo.

Torniamo alla rappresentazione di venerdì. L'Associazione ERA DEA lavora ad alto livello, con lo stesso sprezzo del pericolo di Caravaggio, scegliendo come lui di rimanere fuori delle regole, pur non ricorrendo alla spada o al pugnale, e sì che ce ne sarebbero i motivi: la costante mancanza di attenzione delle istituzioni, e in più una città che pare abbia perso il nobile spirito giocoso che aveva tirato fuori all'epoca delle indimenticabili estati romane, l'effimero al potere. E chi ne risente di più sono naturalmente i piccoli.

Ma quando il talento c'è, anche se procura solo l'insalata, non bisogna mollare, ecco tutto.

 

 

                                         

 

 

 
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Il buon tempo andato

Post n°324 pubblicato il 22 Marzo 2015 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

 23 marzo 2015

  IL BUON TEMPO ANDATO



 Certo, i polli che arrivavano in tavola erano ruspanti e non di batteria, ma erano in pochissimi a mangiarli. Gli altri, qualche crosta di pan secco e acqua di pozzo. Certo, alle mense dei ricchi c'erano cacciagione, spezie e vini; poi però avevano tutti la gotta. Certo, nei quadri di Caravaggio i cesti sono appetitosi, ma se si guarda bene, sulla mela c'è il buchetto del verme che invariabilmente si trovava dentro ogni frutto.


In questi giorni siamo alle prese con due libri: il "Viaggio in Italia" di Montaigne, del 1580, e "Il profumo" di Süskind, contemporaneo ma ambientato nel '700.

E' quasi incredibile come sono cambiate le cose da allora.

Una citazione dal secondo: "Nel '700 nelle città regnava un puzzo a stento immaginabile per noi moderni. Le strade puzzavano di letame e rifiuti, i cortili interni di urina e feci, le scale di legno marcio e sterco di topi, le cucine di cavolo andato a male e grasso rancido, le camere da letto di lenzuola bisunte e vasi da notte. La gente puzzava di sudore e di vestiti sporchi, le bocche di denti fradici e i corpi di pustole e scabbia; il contadino puzzava come il prete, puzzava tutta la nobiltà. Perfino il re puzzava come un animale e la regina come una vecchia capra, sia d'estate che d'inverno. Insomma, non c'era attività umana che non fosse accompagnata dalla puzza".


La primavera è appena arrivata e con lei i primi richiami pubblicitari a viaggi e vacanze: tutto facile, economico, veloce e tranquillo. Oggi.

Invece, nel sedicesimo secolo, ecco a cosa andava incontro uno sconsiderato come Montaigne che avesse deciso di viaggiare non in territori inesplorati, ma semplicemente dalla Francia all'Italia, due paesi civili della civile Europa del tempo.

Il tempo: non ore o giorni, ma mesi, anni. I mezzi: a piedi, a cavallo, oppure, massimo del lusso, su una portantina a spalle di due uomini, con altri due di scorta. Un calesse o una carrozza erano pensabili solo per brevi percorsi perché le strade erano poche. Il resto, sentieri. E si viaggiava solo di giorno perché il mondo era buio, fuori e nelle case.

Oggi ci piacciono le cenette a lume di candela che ci isolano in un cerchio magico, tutto intorno la penombra. Ma quello che funziona per i nostri momenti romantici non era affatto comodo per la vita quotidiana delle famiglie. Si andava a dormire al tramonto e ci si alzava all'alba. L'unica luce era quella del camino. I pochi che leggevano col moccolo ci rimettevano gli occhi e la salute (vedi Leopardi).

In viaggio, un gentiluomo come Montaigne si portava dietro, oltre al proprio cavallo, un mulo per il bagaglio, un cameriere, un mulattiere e due lacchè a piedi. Più, molto spesso, materassi, biancheria e coperte, stoviglie e provviste. Perché le locande erano infami, gli osti imbroglioni, e non c'era da scegliere. Finestre senza vetri, solo con gli scuri. Piatti di legno o terracotta, spesso sporchi. Tavolacci su cui dormire senza lenzuola, federe o pagliericcio (sistemazione spesso considerata igienica perché scongiurava la presenza di cimici e pulci).

Si stupisce il nostro gentiluomo viaggiante per il lusso di un albergo in cui trova teli smontabili appesi ai muri accanto al letto per "non insudiciare la parete quando si sputa". E' smarrito in una infima locanda dove, avendo chiesto all'oste dove sgravare il corpo, questo gli risponde: "In cortile - sì, ma dove? - dove vuole".

Brevi tappe percorse ogni giorno, per di più calcolate in misure diverse da luogo a luogo: lega di Guascogna, lega di Francia, lega tedesca; miglio italiano (ce ne vogliono 5 per farne uno tedesco), spanne, piedi, braccia, cubiti, lance, passi.

Si viaggia con il contante in borsa (e ne serviva davvero tanto), scambiandolo, chissà con quale criterio, in una girandola di valute locali: scudi, fiorini, soldi, lire, talleri, reali, giuli, zecchini, paoli, grossi, denari, baiocchi. Niente assegni o carte di credito, chiaro, quindi continuo rischio di rapina.

E naturalmente ognuno degli innumerevoli staterelli da attraversare richiede passaporti, bollette di alloggio denuncianti il numero di signori, servitori e bestie in transito, senza le quali non si riesce a trovare da dormire e da mangiare. Qualche volta servono anche le bollette di sanità, se si arriva da dove c'è o si crede che ci sia qualche pestilenza.  E nel bagaglio vengono attentamente controllati, e al caso sequestrati, anche i libri, oggetti rari, costosi e all'epoca molto sospetti, soprattutto di eresia.

Dopo la testimonianza, incredibilmente distaccata per i nostri orecchi (ma all'epoca il fatto doveva essere assolutamente normale) di due esecuzioni capitali a Roma, una per impiccagione e successivo squartamento, l'altra con taglio delle mani, uccisione a colpi di mazza e sgozzamento del colpevole, Montaigne riferisce, con uno stupore che noi avremmo trovato più appropriato ai fatti precedenti, una cena al palazzo di un cardinale, in cui "tutti si sono lavati le mani prima del pasto".

Possiamo chiudere con una sua definizione di Roma, che va bene anche oggi: "tutta nobiltà e corte", e con la citazione, tanto per sapere come regolarsi, della migliore locanda d'Italia, che è "La Posta" di Piacenza, e la peggiore: "Il Falcone" di Pavia, dove si paga a parte la legna per il camino, la biancheria e il materasso. Forse, essendo passati quattro secoli e mezzo non sono più indicazioni tanto attendibili.


Oggi è molto più semplice: il biglietto lo fai on line, viaggi comodo e sicuro. In poche ore giri il mondo. Arrivi bello tranquillo al tuo albergo, ti cambi, doccia, scendi a fare due passi, poi vai al museo, e, certo, può essere che lì trovi qualcuno che ti spara. Ma fino a quel momento è stato tutto molto carino.



                                         


 

 
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Un'orgia di vernici

Post n°323 pubblicato il 15 Marzo 2015 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

   Perfidie di Stefano Torossi

    16 marzo 2015

                                                UN'ORGIA DI VERNICI                                                      


           (Non quelle a smalto che servono per dipingere i mobili; parliamo di inaugurazioni)


Lunedì 9 marzo. "Roma moderna, i Fori e la città". Istituto Nazionale di Archeologia, saletta strapiena: un centinaio di persone. Visto l'argomento, l'ambiente più giusto per la conferenza sarebbe stato forse Piazza Venezia, lo stadio Flaminio, o ancora meglio, l'intera città, perché invece di cento, i presenti dovevano essere tre milioni; insomma tutti gli abitanti di Roma.                                                                                                                                                      

Il progetto caldeggiato dal Sovrintendente Adriano La Regina: smantellare Via dei Fori Imperiali e aprire finalmente a tutti il più grande, il più importante, il più universale parco archeologico del mondo.

In passato: anni di tentativi. Momenti fortunati, piccoli passi avanti con sindaci lungimiranti; altri di oscuramento e fermate obbligatorie a causa della politica ostile. E naturalmente il trimillennario cialtronesco disinteresse dei romani per casa loro. Oggi finalmente, grazie alla progressiva eliminazione del traffico di superficie e alla costruzione della Metro C, forse si capirà che la famosa Via dell'Impero, trofeo del fascismo, non serve più a niente. Noi probabilmente non ci saremo, come ci siamo detti con Adriano, a causa dell'avanzato traguardo anagrafico raggiunto da entrambi, ma siamo stati d'accordo sull'opportunità di lavorare anche per gli eredi della città, che, in fondo, oltre a essere LA nostra e la loro capitale, è anche IL nostro e il loro capitale.


Mercoledì 11. Da Roma antica a quella (relativamente) moderna. Al Museo dell'Ara Pacis: "EUR, una città nuova, dal Fascismo agli anni '60", interessante mostra sul progetto e la realizzazione, forzatamente incompleta, dell'E 42, quella che doveva essere la grande esposizione della Rivoluzione Fascista a celebrazione del ventennio 1922 - 1942.

Invece ci fu la guerra con il capitombolo del Fascio, l'esposizione non si fece e il quartiere cambiò parzialmente destinazione e nome, diventando EUR, Esposizione Universale Roma, più tardi sede di molte manifestazioni delle Olimpiadi del '60.

Cinegiornali dell'epoca completi di voci stentoree e marcette guerresche, plastici, piante, foto, e qua e la l'infido baco della stupidità che sta sempre in letargo nel nocciolo di ogni regime; poi per fortuna si risveglia e a forza di gonfiarsi lo fa scoppiare.

Si legge per esempio, nel bando di concorso, che gli artisti invitati a partecipare devono dichiarare di aderire ai principi ispiratori del progetto (e questo è ovvio e sacrosanto), ma devono anche dichiarare di non appartenere alla razza ebraica (e qui fa capolino il baco).

 

Stesso giorno, Galleria Nazionale d'Arte Moderna - Addirittura quattro mostre di cui una davvero importante e soprattutto attesa e dovuta da tempo. Le altre, puro contorno. Eccole: Uno "Studi d'artista": foto e filmati. Poco interessante. Due "Azioni antiche": libri, fogli, copertine, forse belli da tenere sulla scrivania, ma scarsamente entusiasmanti da guardare in bacheca. Tre "Bengt Kristenson, vibrazioni dal nord al sud": nella confusione non siamo neanche sicuri di averla visitata.

E quattro, "La scultura ceramica contemporanea in Italia": questa sì, una cosa seria. Una rassegna molto ampia di un numero inaspettatamente alto di scultori che lavorano la ceramica, materia tradizionalmente snobbata dalla critica e dal pubblico che la considera roba da souvenir: piattini col ritratto del papa o daviddimichelangelo da vetrinetta.

Molto pubblico, molti nomi, molte opere, molte sale,  una delle quali interamente dedicata a Leoncillo Leonardi, un artista che colpevolmente noi stessi avevamo ristretto nella serie B della scultura, e che finalmente ci ha obbligato a ricrederci, fare il mea culpa e riconoscerlo (per quello che può contare il nostro giudizio) artista di prima grandezza. Un vero scultore, insomma e non "solo un ceramista".


Giovedì 12. Accademia di San Luca. Salone d'onore: soffitto di quercia nera, pareti tappezzate di damasco rosso, pavimento di parquet scuro, una cripta più che una sala. Su Achille Perilli, pittore quasi novantenne, ma ancora vivo, eccome! si proietta un documentario che, al contrario di molti filmati del genere, è divertente per l'arguta grinta del protagonista sulla cui lunga intervista si snoda il racconto di una vita. Ci ha fatto sorridere l'accenno alle tradizionali risse a pugni e schiaffi fra gli astrattisti e i figurativi, e ci ha fatto sogghignare la chiamata in causa dell'odiato Guttuso, da Perilli definito senza tanti complimenti un mafioso siciliano che approfittando del potere che gli dava il PCI di cui era l'artista ufficiale, aveva fatto di tutto (quasi riuscendoci) per tagliargli le gambe.


Venerdì 13. MACRO. "Limits" della spagnola Amparo Sard, che nella nota autobiografica si definisce una "puntinista fisica".

Disegni, video e un enorme oggetto a forma di ciambella appeso al soffitto.

Il tutto pieno di buchi. L'effetto gruviera è garantito, ma il materiale usato, plastica e carta, rigorosamente bianco su bianco dà anche una bella sensazione di leggerezza e di trasparenza: luce e aria attraversano i buchi e traboccano dovunque.

Niente di nuovo, intendiamoci. Ma bello.



                                         

 

 

 
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The Elephants Cemetery Jazz Band

Post n°321 pubblicato il 08 Marzo 2015 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

9 marzo 2915

       THE ELEPHANTS CEMETERY JAZZ BAND


In realtà il nome vero della formazione che il 26 febbraio ha suonato alla Sala Casella della Filarmonica Romana è "New Roman Jazz Orchestra". Ma noi ci siamo permessi la leggera modifica che vedete in alto, e qui di seguito si capisce il perché.

 La serata del secolo (anzi, dei secoli) era organizzata da Adriano Mazzoletti e Mario Cantini.

Ecco la formazione, in ordine di età:

I Seniores: Ivan Vandor, sax: anni 83; Mario Cantini, pianoforte: anni 82; Gianni Sanjust, clarinetto: anni 81.

Gli Juniores: Guido Pistocchi, tromba: anni 78; Giorgio Rosciglione, contrabbasso: anni 76. Di Michele Pavese, trombone e di Lucio Turco, batteria, non abbiamo i dati anagrafici, ma siamo assolutamente certi che non sono minorenni.

Pubblico di fascia alta (di età, naturalmente).

Nella foto vediamo i fiati in pausa (l'altra metà sta lavorando, ve lo garantiamo). Certo, un riposino ogni tanto...A parte gli scherzi, la band ha suonato appassionatamente, con qualche scivolata nella tenuta dell'insieme, soprattutto nel finale dei Marching Saints, che chiudeva anche il concerto. Questo succede a un gruppo che, pur composto di eccellenti solisti, non prova abbastanza. Avranno di meglio da fare.

Ma, come diceva (ci pare) Rubinstein, suonare la nota sbagliata è poco importante, mentre suonare senza passione è imperdonabile. La passione c'era. Quindi, tutto bene; ci siamo molto divertiti, anche nella cena dopo concerto, nella quale si è abbondantemente scherzato su malattie, coccoloni e, inevitabilmente, imminenti funerali.


 

Richiami

Venerdì 6 marzo. Sole scintillante e vento gelido a cento chilometri l'ora. Impavidi ci siamo spinti di buon passo fino al Museo Canonica di Villa Borghese per l'inaugurazione della mostra "Richiami" (il significato del titolo ci sfugge), opere degli allievi dell'Accademia di Belle Arti. Lavori decisamente brutti presentati da studentesse invece graziosissime.

Con questo chiudiamo l'argomento.

Ma lo riapriamo subito per parlare della Fortezzuola, così è chiamato il casale, probabilmente del '600, poi rifatto secondo la moda dell'800 nelle forme di un finto castello medievale. All'epoca era conosciuto come il Gallinaro e serviva per l'allevamento di struzzi e pavoni destinati alle partite di caccia dei principi Borghese.

Finché lo scultore Pietro Canonica, verso il 1930, chiese e ottenne di andarci a vivere donando in cambio, alla sua morte, le proprie opere allo stato perché in quella casa ci facesse un museo. Non si sa chi dei due abbia fatto l'affare, probabilmente lo scultore perché il posto è davvero speciale. Una villa in mezzo ai prati, con un giardino di agrumi circondato da un muro merlato: insomma proprio un piccolo castello in città.

Il museo permanente conserva i suoi marmi, bronzi e gessi, in uno stile retorico ma anche patetico e intimista. Molti, quelli retorici naturalmente, realizzati su commissione degli Zar di Russia; altri, per commemorazioni in giro per il mondo: Queen Victoria a Buckingham Palace, Ataturk in Turchia, Simon Bolivar in Colombia, perfino Don Bosco in Vaticano.

 Insomma, un insieme di cose davvero non memorabili, anche se ricche di una notevole abilità tecnica, e di sicuro aderenti al gusto dell'epoca. Comunque, decisamente gradevole la mattinata, bello il posto (e le studentesse) e gli alberi del giardino pieni di splendide arance mature.



Irresistibile

BRAHMS E SCHUMANN PAPPANO CARBONARE.

Abbiamo trovato e poi sintetizzato questo miracoloso titolo a pag. 8 del programma di marzo del Parco della Musica di Roma. Quando il destino ti offre un simile bocconcino su un vassoio d'argento, sarebbe un vero sacrilegio rifiutarlo.

Calma, sappiamo anche noi che non si tratta di un invito a unirsi ai due famosi musicisti per una degustazione di piatti tipici romaneschi, bensì dell'annuncio di un concerto, il venti marzo alla Sala Sinopoli.

Musiche di Brahms e Schumann, orchestra diretta da Antonio Pappàno (ricordarsi di spostare l'accento) con la partecipazione del noto clarinettista Alessandro Carbonare.

Troppo facile? Forse. Comunque ci autoassolviamo perché siamo sicuri che nessun altro al mondo avrebbe resistito alla tentazione.



                                         

 

 
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Antipatici e simpatici

Post n°320 pubblicato il 01 Marzo 2015 da torossis

 

  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

 2 marzo 2015

ANTIPATICI E SIMPATICI


Tutta colpa di Berio

E' stato piuttosto buffo, mercoledì 18 alla Dante Alighieri, seguire le variazioni di tono dei relatori: all'inizio di rispettosa circospezione, poi (pur esprimendo stima per l'artista) un po' più esplicito, e alla fine francamente critico. Insomma, come musicista sarà stato grande, ma come Sovrintendente dell'Accademia di Santa Cecilia, ha proprio toppato. Stiamo parlando di Luciano Berio, il quale risulta reo confesso del fatto che la "Santa Cecilia" del Parco della Musica, con i suoi 2.800 posti, sia l'unica grande sala del mondo senza un organo da concerto.

L'occasione di questa condanna è stata il convegno "Un organo per Roma" organizzato da Giorgio Carnini. Il maestro Carnini, battagliero organista, lavora da tempo perché anche Roma abbia un vero grande organo laico. Ce ne sono, organi, nelle tante chiese della città, ma in disuso, perché, a quanto pare, al dignitoso, austero, mistico organo i parroci preferiscono le suorine con le chitarrine (integrandole nelle occasioni importanti con formazioni di chierichetti con i bonghetti).

Insomma, il grande organo monumentale a Roma manca, come abbiamo visto, proprio dove dovrebbe esserci. E' successo nel 2002, quando era tutto pronto: Renzo Piano nel suo progetto aveva previsto lo spazio, critici e musici erano in trepida attesa, e pare che ci fossero perfino i contanti. Berio, fresco di nomina, mise il veto, anzi, un arrogante veto (parola di Paolo Isotta). Perché? Nessuno lo sa. Fra le feroci critiche dell'epoca, e forse in loro risposta, spunta una lettera che lui scrisse a Italia Nostra. Sembra la giustificazione di un alunno di prima media.

"Cara Italia Nostra, sì, avrei dovuto spiegare meglio le ragioni che mi hanno portato a sospendere il progetto organo...bla bla...decisione assai sofferta...bla bla...la tragica indifferenza del Vaticano alla musica in genere e all'esecuzione del grande repertorio organistico nelle chiese (vuol dire che era proprio il momento giusto per realizzare un organo laico - nota del Cav. Serp.)...bla bla...l'Accademia sarebbe felice di contribuire alla diffusione del grande repertorio organistico in condizioni più intime di quelle offerte da una spettacolare sala di 2.800 posti concepita per altri usi (in poche parole, secondo Berio la sala è troppo bella e grande per l'organo - altra nota del Cav. Serp.)...bla bla...". Per chi non lo sapesse l'imputato era l'ultimo di una stirpe di organisti.

Naturalmente affrontare il problema adesso, anche lavorando in agosto quando il Parco della Musica è chiuso, o di notte, è non solo molto più costoso ma anche burocraticamente complicato.

Philip Kleis, rappresentante di un'antica ditta di organari, che era presente, ci ha mostrato una serie di progetti uno più fantastico dell'altro. Funzionali e anche decorativamente bellissimi.

In chiusura abbiamo saputo, con un certo brivido, che un organo nuovo costa sui tre milioni...

A questo punto, visto che era il momento di sdrammatizzare, Carnini, confessando la sua appartenenza alla tifoseria giallorossa, ha invitato Totti perché, dopo l'inaugurazione del nuovo stadio della Roma, passi dalle parti dell'Auditorium per dare la sua benedizione anche al nuovo organo.


Ciao Gianni

Venerdì 20 al Teatro Studio, una serata di amici per ricordare Gianni Borgna, morto un anno fa. Elenco foltissimo di invitati. La serata, bisogna dirlo, si è trascinata; un po' per la mosciaggine del presentatore Barlozzetti, un po' per la discutibile idea di affidare ad attori, anche se bravi, lunghe, troppo lunghe letture di poesie e pagine di libri, alcuni dei quali decisamente sul funereo. Basti dire che per ultimo è stato scelto un brano del "Pasticciaccio". Già Gadda in generale è pesante, immaginarsi la dettagliata ricognizione, a inizio romanzo, del commissario Ingravallo sul cadavere della vittima.

Ci sfugge proprio ogni possibile nesso con Borgna e il suo sorriso.

Per fortuna ci ha consolato qualche buon intervento musicale; soprattutto la voce di Miranda Martino, che, anche se ha un'età veneranda che non vi sveliamo, mantiene tutta l'intonazione, il calore, il colore e soprattutto la potenza di una volta.

Ma la curiosità di tutti, fortemente venata di malignità, era di vedere con che faccia si sarebbe presentato il Presidente della SIAE, Gino Paoli, atteso come ospite d'onore per cantare in duo con Danilo Rea. C'era chi sosteneva che mostrandosi avrebbe testimoniato la propria estraneità ai fatti che sappiamo. E chi invece che non farsi vivo era un segno di estrema cautela, se non di vera e propria coda di paglia.

In ogni caso il Maestro non si è fatto né vivo né morto, e Rea ha suonato, peraltro benissimo come il suo solito, ma da solo. Crediamo che nei prossimi giorni ne vedremo delle belle. O delle brutte.


Un fenomeno

Classe 1938. Una voce più precisa di un bisturi. Interpretazione e ironia che sfidano il mezzo secolo, e oltre. Un repertorio di canzoni che avevano già in partenza tutte le doti per diventare quei successi che sappiamo: temi orecchiabili, astuti riferimenti a stagioni e piccoli fatti personali che non perdono mai di attualità. Infatti a ogni estate torna "Abbronzatissima", a ogni inverno "Sul cocuzzolo", e dovunque ci sia una festa, "I Watussi".

Lunedì 23 eravamo al suo concerto al Teatro Roma. Sul palco, anche la ex moglie, ex compagna di successi, ora ritornata a cantare con lui: Wilma Goich, più un bel gruppo di solisti. Due ore intense che ci hanno lasciato senza fiato e pieni di ammirazione.

Il nome? Scommettiamo che non serve.

 

 

                                             

 

 
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