Creato da: semplicecanto il 13/03/2010
sorprendente

Tag

 

Se Dio 

 non fosse Amore...

io non sarei qui

 

 

 

 

Rita Hayworth

Post n°46 pubblicato il 11 Giugno 2010 da semplicecanto
 

Rubato post con consenso ad Andrea.Giorgio
STAR DI HOLLYWOOD: RITA HAYWORTH

 

Il suo nome non può che evocare il periodo aureo della storia del cinema, quando Hollywood era il regno di star quasi sovrumani e divo era sinonimo di mito. E come tutti i grandi miti il suo si nutriva di pochi, piccoli gesti: un guanto nero sfilato con estenuante e sensuale lentezza e le mani tra i capelli a scompigliare quella magnifica cascata rosso fiamma.

Nata a New York nel 1918, Margarita Carmen Cansino era figlia primogenita di Volga Haworth, olandese, ballerina di Zigfield e di Eduardo Cansino, maestro di ballo di origine spagnola. Precoce bambina prodigio, a quattro anni i suoi genitori la inseriscono nel loro spettacolo, riscuotendo grande successo, nei locali degli Stati Uniti. A dodici anni è già una bravissima ballerina, tanto da insegnare i passi di flamenco, fandango e tip tap agli allievi della scuola di ballo di suo padre, a Los Angeles.

Il suo debutto artistico avviene a tredici anni, sui palcoscenici dei night club di ambiente messicano, dove si esibisce come ballerina di ritmi latino-americani. Nel 1935 firma un contratto con la Fox, dopo che un produttore l'ha vista ballare in un night di Agua Caliente, ed appare in alcuni film, ma il cammino verso il successo è difficile e tormentato, e le occasioni per continuare la strada intrapresa le vengono offerte solo dagli immancabili film di serie B, seguiti dalle immancabili delusioni per il successo che non arriva.

Nel 1937,  il primo marito, Edward C. Hudson, un uomo che ha il doppio della sua età, rappresentante di automobili che ben presto si trasforma nel suo intraprendente press-agent, le procura un contratto con la Columbia, il cui presidente, Harry Colin le inventa il nome d'arte, facendolo derivare, con l'aggiunta di una y, dal cognome della madre, Haworth.
Nonostante ciò viene confinata ancora in film di scarso rilievo, fino a quando, nel 1939,  non le viene affidato un ruolo in "Avventurieri dell'aria", che aveva come protagonista maschile Cary Grant. Con questo film l'attrice si avvia a diventare qualcosa di più di una bella a brava ballerina, anche se un giorno fa dichiarare a Fred Astaire: "Impara i passi più rapidamente di chiunque io abbbia mai conosciuto".
Con lui ballerà in "L'inarrivabile felicità" e in "Non sei mai stata così bella", due musical dalle trame alquanto improbabili ma con formidabili numeri di ballo, sfolgoranti coreografie e tante bellissime canzoni. Successivamente interpreta il film "Seduzione", con quello che sarà il suo partner ideale: Glenn Ford.

C'è poi il primo, vero, grande successo in "Bionda fragola", al quale fa seguito "Sangue e arena", dove compare per la prima volta con i famosi capelli color rosso fuoco, nel ruolo di una seducente avventuriera che fa perdere la testa al torero Tyron Power il quale, sopraffatto dalla passione, abbandona moglie e corride. Film spettacolare per lo sfolgorante technicolor e indimenticabile per la prepotente bellezza della Hayworth, che fece letteralmente perdere la testa alle platee maschili di tutto il mondo.

Nel 1942 si separa dal  primo marito per sposare il grande Orson Welles, da cui nel 1946 avrà la figlia Rebecca.

Nel 1944 interpreta due buoni film musicali: "Fascino", con Gene Kelly e "Stanotte e ogni notte", e il  famosissimo "Gilda" con Glenn Ford, nel personaggio   di dark lady mangiauomini, bugiarda a traditrice, ma anche donna bisognosa d'amore e di tenerezza.
Il film le darà notorietà mondiale inimmaginabile e il personaggio le rimarrà attacato addosso come un alter ego che condizionerà non poco le sue future interpretazioni. Rita è  perfetta nel suo primo ruolo drammatico, trionfo della femminilità quando si toglie i lunghi guanti neri, desiderio irrefrenabile quando languidamente sussurra, "Amado mio". Il ciclone  Gilda fu talmente forte che pochi mesi dopo l'uscita della pellicola, la foto della Hayworth e il nome Gilda vennero incollati sulla bomba atomica sganciata nel 1946 sull'atollo di Bikini.

Dopo "Gilda",   finisce anche il suo matrimonio con Orson Welles, ma nonostante ciò i due restano amici anche se, sadicamente e, forse anche volutamente, lui comincia a distruggerne l'immagine quando, dirigendola in "La signora di Shangai", le fa tagliare corti i capelli e tingerli di biondo platino. Il film, però, non ha il successo sperato e la nuova immagine di Rita non piace al pubblico, tanto che i produttori aspettano che le ricrescano i capelli prima di farle girare "Gli amori di Carmen", ancora con Glenn Ford.

Nel frattempo, in Costa Azzurra, conosce il principe Ali Khan, figlio dell'Aga Khan, uno dei capi spirituali dell'Islam, e con una fastosa cerimonia, nel maggio 1949, lo sposa in Francia. Le nozze furono avversate dal "Club delle donne americane", che propose di boicottare i suoi film, e condannate dal Vaticano, che arrivò a scomunicarla per il suo comportamento, definito scandaloso. Lo stesso anno nasce la sua seconda figlia, Yasmine, e intanto Hollywood dimentica la diva.  Dal canto suo non fa nulla per riconquistare il suo pubblico, continua a vivere al di là dell'Atlantico, e per due anni fa solo la moglie e la madre amorevole, finchè, nei primi anni cinquanta, dopo la rottura con Ali Khan,  torna in America e riprende a lavorare, con due buoni film: "Trinidad", con il partner di sempre Glenn Ford, e "Salomè", con la celeberrima scena della danza dei sette veli.

Da un po' di tempo il  male di Rita è l'alcool, e anche se le brucia dentro, riesce comunque a dare il meglio di se in film come: "Pioggia", "Pal Joe" con Frank Sinatra, "Tavole separate" e l'ultimo "Cordura" con Gary Cooper. Ma  in una Hollywood che non appare più interessata a lei,  a sessanta anni si ritira tristemente dalle scene, anche perchè colpita da una terribile malattia, il morbo di Alzheimer. Scompare a sessantanove anni,  a New York nel 1987,  assistita amorevolmente dalla figlia Yasmine. Usciva di scena quella che era stata una grande dispensatrice di sogni.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Annalena Tonelli

Post n°45 pubblicato il 07 Giugno 2010 da semplicecanto
 

 

Annalena Tonelli

(Forlì, 2 aprile 1943 – Borama, 5 ottobre 2003)

è stata una missionaria italiana cattolica. Annalena fu insignita dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati del prestigioso premio Nansen per l'assistenza ai profughi (Nansen Refugee Award), il 25 giugno 2003  volontaria in Africa venne uccisa il 5 ottobre 2003 da un commando islamico nel centro assistenziale che dirigeva in Somalia.

Annalena Tonelli, 35 anni in Africa:

“comunicava entusiasmo a tutti”

*

“Quando è arrivata la prima volta in Africa, nel 1969, sembrava una ragazzina, dimostrava meno dei suoi 23 anni. Annalena veniva in Kenya ad insegnare l’inglese ai bambini del distretto di Thomsfall, dove i Padri della Consolata si occupavano di molte scuole locali. Era in compagnia di altre due volontarie che venivano come lei da Forlì, sembravano entusiaste di compiere questa esperienza missionaria . Entusiasmo:era questo che comunicavano alle persone che le circondavano. Veniva voglia di lasciare il lavoro che stavi facendo per andare ad aiutarla”.
Così suor Orietta Pino, delle Missionarie della Consolata, ricorda l’incontro con una giovanissima Annalena Tonelli, appena arrivata dall’Italia, dove si era impegnata in favore dei poveri della sua città, nella missione di Maralal, nella zona delle tribù ei Samburu, dove le suore gestivano una scuola con internato per 164 ragazze a cui provvedevano per ogni necessità, dai libri ai vestiti.
Negli anni, in quella zona desertica, Annalena torna più volte a visitare le missioni delle Suore della Consolata. Nel frattempo dentro di sé ha capito che la sua missione è al servizio dei nomadi ammalati di TBC. Così, lei che aveva una laurea in legge, comincia a studiare medicina, si specializza in malattie tropicali in Italia e poi torna di nuovo in Africa.
“Annalena era una donna forte, allegra, non guardava alla fatica” ricorda ancora suor Orietta. “Aveva un grosso spirito di sacrificio che la portava a condivivere la povertà dei fratelli a cui dedicava tutte le sue energie. Dormiva sempre su una stuoia, anche se in camera c’era un letto a disposizione, perché il suo spirito di sacrificio era grande come il suo cuore”.
Anche suor Floriana Lano, missionaria della Consolata a Mogadiscio dal 1970 al 1991 ha immagini vive di una Annalena già matura non solo come donna, ma nella sua vocazione laica di totale donazione di se al popolo somalo. “Quando veniva da noi per qualche ritiro spirituale, ci raccontava del suo lavoro presso l’ospedale di Wajir, dove era diventata responsabile di un progetto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Lì era stata anche aggredita e picchiata, e aveva riportato alcune ferite. Quando siamo andate a trovarla all’ospedale per vedere come stava, era lei che faceva coraggio a noi. Era una donna che non aveva paura e non cedeva mai ai ricatti, ci diceva che appena guarita avrebbe ricominciato a lavorare. La sua attività l’assorbiva completamente e la sua energia sembrava inesauribile. Era un esempio di dedizione anche per noi religiose”. (M.F.D’A) (Agenzia Fides 20/3/2004)

Testimonianza:

Mi chiamo Annalena Tonelli. Sono nata in Italia a Forlì il 2 Aprile 1943. Lavoro in sanità da trent'anni, ma non sono medico. Sono laureata in legge in Italia. Sono abilitata all'insegnamento della lingua inglese nelle scuole superiori in Kenya. Ho certificati e diplomi di controllo della tubercolosi in Kenya, di Medicina Tropica1e e Comunitaria in Inghilterra, di Leprologia in Spagna. Lasciai l'Italia a gennaio del 1969. Da allora vivo a servizio dei Somali. Sono trent'anni di condivisione. Ho infatti sempre vissuto con loro a parte piccole interruzioni in altri paesi per causa di forza maggiore.

 

...

Lasciai l'Italia dopo sei anni di servizio ai poveri di uno dei bassifondi della mia città natale, ai bambini del locale brefotrofio, alle bambine con handicap mentale e vittime di grossi traumi di una casa famiglia, ai poveri del terzo mondo grazie alle attività del Comitato Per La Lotta Contro La Fame Nel Mondo che io avevo contribuito a far nascere. Credevo di non poter donarmi completamente rimanendo nel mio paese ... i confini della mia azione mi sembravano così stretti,asfittici ... compresi presto che si può servire e amare dovunque, ma ormai ero in Africa e sentii che era DIO che mi ci aveva portata e lì rimasi nella gioia e nella gratitudine. Partii decisa a gridare il Vangelo con la vita sulla scia di Charles de Foucauld, che aveva infiammato la mia esistenza. Trentatre anni dopo grido il Vangelo con la mia sola vita e brucio dal desiderio di continuare a gridarlo così fino alla fine. Questa la mia motivazione di fondo assieme ad una passione invincibile da sempre per l'uomo ferito e diminuito senza averlo meritato al di là della razza, della cultura, e della fede. Tento di vivere con un rispetto estremo per i "loro" che il Signore mi ha dato. Ho assunto fin dove è possibile un loro stile di vita. Vivo una vita molto sobria nell'abitazione, nel cibo, nei mezzi di trasporto, negli abiti. Ho rinunciato spontaneamente alle abitudini occidentali. Ho ricercato il dialogo con tutti. Ho dato CARE: amore, fedeltà e passione. Il Signore mi perdoni se dico delle parole troppo grandi. Sono praticamente sempre vissuta con i Somali, prima con i somali del Nord-Est del Kenya, dopo con i Somali della Somalia. 

Vivo in un mondo rigidamente mussulmano. Gli unici frati e suore presenti in Somalia dai tempi di Mussolini fino alla guerra civile, scoppiata undici anni fa, furono accettati esclusivamente per il servizio religioso agli Italiani. Ho vissuto gli ultimi cinque anni a Borama, nell'estremo Nord-ovest del paese, sul confine con l'Etiopia e Djibouti. Là non c'è nessun cristiano con cui io possa condividere. Due volte all'anno, intorno a Natale e intorno a Pasqua, il vescovo di Djibouti viene a dire la Messa per me e con me. Vivo sola perché le compagne di strada, che assieme ai poveri fecero della mia vita un paradiso in terra durante i miei diciassette anni di deserto, si dispersero dopo che io fui costretta a lasciare il Kenya. Fu nel 1984. Il governo del Kenya tentò di commettere un genocidio a danno di una tribù di nomadi del deserto. Avrebbero dovuto sterminare cinquantamila persone. Ne uccisero mille. Io riuscii a impedire che il massacro venisse portato avanti e a conclusione. 

Per questo un anno dopo fui deportata. Tacqui nel nome dei piccoli che avevo lasciato a casa e che sarebbero stati puniti se io avessi parlato. Parlarono invece i Somali con una voce e lottarono perché si facesse luce e verità sul genocidio. Sono passati sedici anni e il Governo del Kenya ha ammesso pubblicamente la sua colpa, ha chiesto perdono, ha promesso compensazioni per le famiglie delle vittime. I giornali e la BBC hanno parlato a lungo del mio intervento. E oggi molti dei Somali che avevano remore contro di me mi hanno accettato e sono diventati miei amici. Oggi sanno che ero pronta a dare la vita per loro, che ho rischiato la vita per loro. Al tempo del massacro, fui arrestata e portata davanti alla corte marziale … Le autorità, tutti non Somali, tutti cristiani, mi dissero che mi avevano fatto due imboscate a cui ero provvidenzialmente sfuggita, ma che non sarei sfuggita una terza volta ... poi uno di loro, un cristiano praticante, mi chiese che cosa mi spingeva ad agire così. Gli risposi che lo facevo per Gesù Cristo che chiede che noi diamo la vita per i nostri amici. 

Ora io ho esperimentato più volte nel corso della mia ormai lunga esistenza che non c'è male che non venga portato alla luce, non c'è verità che non venga svelata. L'importante è continuare a lottare come se la verità fosse già fatta e i soprusi non ci toccassero, e il male non trionfasse. Un giorno il bene risplenderà. A DIO chiediamo la forza di saper attendere, perché può trattarsi di lunga attesa … anche fino a dopo la nostra morte. Io vivo nell'attesa di DIO e capisco che mi pesa meno che ad altri, l'attesa delle cose degli uomini. Vivo calata profondamente in mezzo ai poveri, ai malati, a quelli che nessuno ama. Mi occupo principalmente di controllo e cura della Tubercolosi. In Kenya andai come insegnante perché era l'unico lavoro che, all'inizio di una esperienza così nuova e forte, potevo svolgere decentemente senza arrecare danni a nessuno. Furono tempi di intensa preparazione delle lezioni di quasi tutte le materie, per carenza di insegnanti, di studio della lingua locale, della cultura e delle tradizioni di coinvolgimento intenso nell'insegnamento nella profonda convinzione che la cultura è forza di liberazione e di crescita. Gli studenti, molti della mia stessa età o appena poco più giovani di me, e che avevano affrontato il preside quando si era saputo che una donna insegnante sarebbe arrivata assicurandolo che mi avrebbero impedito accesso alla classe, furono profondamente coinvolti e motivati. I risultati furono ottimi tanto che vari studenti di allora oggi occupano splendide posizioni nei vari Ministeri, al Governo, nelle attività private del paese e spesso mi giunge eco che tutti gli studenti del Nord-Est di quei tempi narrano di essere stati miei studenti ed io la loro insegnante ... cosa naturalmente non vera. Ricordo che quasi subito dopo il mio arrivo mi innamorai di un bimbo ammalato di sickle cell e di fame ... erano i tempi di una terribile carestia vidi tanta gente morire di fame. Nel corso della mia esistenza, sono stata testimone di un'altra carestia, dieci mesi di fame, a Merca, nel sud della Somalia, e posso dire che si tratta di esperienze così traumatizzanti da mettere in pericolo la fede. Avevo preso, a vivere con me, quattordici bambini con le malattie della fame. Donai subito il sangue a quel bimbo e supplicai i miei studenti di fare altrettanto ... uno di loro donò e dopo di lui tanti altri, vincendo così la resistenza dei pregiudizi e delle chiusure di un mondo che, ai miei occhi di allora, sembrava ignorare qualsiasi forma di solidarietà e di pietà. E fu forse la mia prima esperienza in cui, anche in un contesto islamico, l'amore generò amore. Ma il mio primo amore furono i tubercolosi, la gente più abbandonata, più respinta, più rifiutata in quel mondo.La tubercolosi imperversa da secoli in mezzo ai Somali. Si pensa che praticamente tutta la popolazione sia infettata.

... http://www.santamariaregina.it/amici/Tonelli/index.shtml

Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. LUI ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonarci sempre ... I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati all'immaginazione di ciascuno di noi. Non aspettiamo di essere istruiti nel tempo del servizio. Inventiamo ... e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra vita. 

dal web

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Octavio Paz

Post n°44 pubblicato il 14 Maggio 2010 da semplicecanto
 

Octavio Paz

(Città del Messico, 31 marzo 191420 aprile 1998)

è stato un diplomatico, poeta e scrittore messicano, premio Nobel per la letteratura nel 1990.

Octavio Paz nasce a Città del Messico il giorno 31 marzo 1914.

Considerato il poeta di lingua ispanica più importante della seconda metà del Novecento, sia come poeta che come saggista, nell'arco dell'intero secolo la sua fama letteraria è seconda solo a quella di Juan Ramón Jiménez, Vicente Huidobro, César Vallejo e Pablo Neruda.

Comincia molto presto a scrivere e nel 1937 partecipa al II Congresso internazionale degli scrittori antifascisti di Valencia (Spagna). Trascorre gran parte della sua esistenza tra Spagna e Francia: in Spagna sostiene la lotta dei repubblicani durante la Guerra civile spagnola - anche se va ricordato che in seguito prenderà le distanze dal comunismo.

Rientrato in Messico, nel 1938 fonda e dirige "Taller", una rivista che segnala la comparsa di una nuova generazione di scrittori messicani. Nel 1943 si trasferisce negli Stati Uniti e si immerge nella poesia modernista anglo-americana.

Nel 1945 Paz entra nel servizio diplomatico messicano: in questi anni scrive "Il labirinto della solitudine", un saggio sull'identità messicana.

Sposa poi Elena Garro, dalla quale ha una figlia.

Viene inviato dal governo messicano in Francia, dove ha modo di avvicinarsi al surrealismo. Durante la sua permanenza in Francia Octavio Paz lavora inoltre a fianco di André Breton e Benjamin Peret.

Ottiene il posto di ambasciatore in Messico e in India nel 1962: lascia l'incarico nel 1968, dopo il Massacro di Tlatelolco (2 ottobre 1968), proprio per protestare contro la sanguinosa repressione avvenuta ai danni degli studenti manifestanti.

In seguito fonda due importanti riviste di cultura e politica: "Plural" (1971-1976) e "Vuelta" (dal 1976).

Tra i riconoscimenti letterari più importanti ricevuti da Octavio Paz ci sono il Premio Cervantes, conferitogli nel 1981 e il Premio Nobel per la Letteratura nel 1990.

Octavio Paz muore a Città del Messico il giorno 19 aprile 1998.

L’Amore è in grado di sacralizzare ogni attimo, annullando l’ossessione del passare del tempo.

“Per realizzarsi l’amore deve infrangere la legge del mondo. Nel nostro tempo l’amore è scandalo e disordine, trasgressione: quella di due astri che rompono la fatalità delle loro orbite e si incontrano a metà dello spazio.”

Bello...

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Suor Lucia

Post n°43 pubblicato il 13 Maggio 2010 da semplicecanto

Lúcia de Jesus Rosa Santos o Lucia dos Santos, meglio nota come Suor Lucia di Fàtima o Suor Lucia di Gesù

(Aljustrel, 22 marzo 1907Coimbra, 13 febbraio 2005)

è stata una monaca portoghese, nota per essere stata una dei tre veggenti protagonisti della vicenda passata alla storia con il nome di apparizioni della Madonna di Fatima.

È stata anche l'ultima sopravvissuta a conoscere per intero i famosi "Segreti di Fatima" che tante polemiche hanno suscitato all'interno della stessa Chiesa cattolica.

Lucia era figlia di Antonio dos Santos e Maria de Jesus, ultima di tre sorelle e un fratello. La famiglia da cui proveniva, dal paese di Aljustrel, era molto povera: l'unica fonte di ricchezza della famiglia era il gregge, e inoltre non andava neanche a scuola.

La famiglia do Santos si spostò molto presto al vicino paese di Fatima, dove altri loro parenti si dedicavano alla pastorizia.

Molto spesso la piccola Lucia badava al gregge. Fu proprio in una di queste occasioni che ebbe le prime apparizioni mistiche. Dapprima le note apparizioni dell'angelo (anni 1915-1916), identificato poi come "angelo della pace" e "protettore del Portogallo".
Poi le celebri apparizioni mistiche mariane del 1917, avvenute insieme ai cugini Francisco e Giacinta Marto, figli di Olimpia dos Santos, la sorella di suo padre Antonio.
Il 13 maggio 1917, insieme ai cugini vide apparire la Madonna. L'evento si ripeté per 6 volte fino al 13 ottobre 1917. Nell'incontro del 13 luglio la Madonna rivelò loro un segreto (diviso in tre parti) che avrebbero dovuto rivelare solo in tempi stabiliti.
La Madonna disse inoltre che Francisco e Giacinta sarebbero morti presto, mentre Lucia sarebbe dovuta restare a lungo sulla Terra.
Nelle prime apparizioni i pastorelli parlarono di una donna vestita con una tunica bianca che scendeva fino ai piedi e con un lungo mantello che le copriva il capo, con la bianca corona del Rosario nella mano destra e con i piedi poggiati su una piccola nube, al di sopra di un elce (albero detto anche leccio).
All'epoca dei fatti Lucia aveva solo 10 anni, del tutto analfabeta, ed era la più anziana dei tre pastorelli.
Suor Lucia morì nel 2005, quasi 98enne, dopo aver passato tutta la vita in clausura, prima delle Dorotee e poi delle Carmelitane. Ebbe dei colloqui privati solo con alcuni Vescovi e Papi.

*

LETTERA DI SUOR LUCIA DI FATIMA A UN SACERDOTE

Caro padre: Pax Christi!

Ho notato nella sua lettera che è molto preoccupato per il disorientamento del tempo presente. È nella verità quanto lei lamenta che tanti si lascino dominare dall’onda diabolica che schiavizza il mondo e si incontrano tanti ciechi che non vedono l’errore.

Ma il principale errore è che questi abbandonarono la preghiera, allontanandosi da Dio e senza Dio tutto gli viene meno, perché “senza di me non potete fare nulla” Gv 15,5.

Ora, ciò che soprattutto raccomando è che ci si avvicini al Tabernacolo e si faccia orazione. Li si incontrerà la luce e la forza per nutrirsi e donarsi agli altri. Donarsi con umiltà, con soavità e, nello stesso tempo, con fermezza. Perché coloro che esercitano una responsabilità hanno il dovere di tenere la verità nella dovuta considerazione, con serenità, con giustizia e con carità. Per questo, hanno bisogno ogni giorno di più pregare, di stare vicino a Dio, di trattare con Dio di tutti i problemi, prima di affrontarli con le creature. Continui per questa strada e vedrà che vicino al Tabernacolo troverà più sapienza, più luce, più forza, più grazia e più virtù che giammai potrà incontrare nei libri, negli studi, ne presso creatura alcuna. Non giudichi mai perduto il tempo che passa nell’orazione e vedrà come Dio le comunicherà la luce, la forza e la grazia di cui ha bisogno, e anche quello che Dio le chiede. È questo che importa: fare la volontà di Dio, rimanere dove Egli ci vuole e fare ciò che Egli ci chiede. Ma sempre con spirito di umiltà, convinti che da soli non siamo niente, e che dece essere Dio a lavorare in noi e servirsi di noi per tutto quello che Lui domanda.

 

Per questo abbiamo tutti bisogno di intensificare molto la nostra vita di interiore unione con Dio e tutto ciò si consegue per mezzo della preghie­ra. Che a noi manchi il tempo per tutto, meno che per la preghiera, e vedrà come in meno tempo si farà molto!

Tutti noi, ma specialmente chi ha una responsabilità, senza la pre­ghiera, o che abitualmente sacrifica la preghiera per le cose materiali è come una penna d'oca di cui ci si serve per sbattere l'albume delle uova, elevando castelli di schiuma che, senza zucchero per sostenerli, in seguito si disgregano e disfanno trasformandosi in acqua putrida. Per questo Gesù Cristo disse: "Voi siete il sale della terra, ma se questo perde la forza, a nient'altro più serve se non per essere gettato via".

E, siccome questa forza sola da Dio la possiamo rice­vere, abbiamo bisogno di avvicinarci a Lui, perché ce la comunichi e questa vicinanza si realizza solo per mezzo della preghiera, che è il luogo in cui l'anima si incontra direttamente con Dio.

Raccomandi questo a tutti i suoi fratelli e lo sperimen­teranno. E poi mi dica se mi sono ingannata. Sono ben certa di quale sia il principale male del mondo attuale e la causa del regresso nelle anime consacrate. Ci allonta­niamo da Dio, e senza Dio inciampiamo e cadiamo. II demonio è astuto per sapere qual è il punto debole e attraverso il quale ha da attaccarci. Se non stiamo atten­ti e non ci premuriamo con la forza di Dio, soccombia­mo, perché i tempi sono molto cattivi e noi siamo molto deboli. Solo la forza di Dio ci può sostenere.

Veda se può portare avanti tutto con calma, confidan­do sempre in Dio e Lui farà tutto quello che noi non pos­siamo fare e supplirà alla nostra insufficienza.

 

Suor Lucia, s.c.c.

A Mons Pasquale Mainolfi

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

12 maggio 2010

Post n°42 pubblicato il 12 Maggio 2010 da semplicecanto

scusate se "rubo" un post... ma rimetto una piccola parte.. di Leopoldo Mandic..

oggi è la sua festa!

San Leopoldo Mandic

Leopoldo da Castelnuovo, al secolo Bogdan Ivan Mandić

(Castelnuovo di Cattaro, 12 maggio 1866Padova, 30 luglio 1942),

è stato un presbitero croato dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini;

Ventiquattro anni dopo la sua morte, la salma di padre Leopoldo venne riesumata e risultò completamente intatta. Papa Paolo VI ne ha celebrato la beatificazione nel 1976; Papa Giovanni Paolo II lo ha canonizzato nel 1983. La festa liturgica è il 12 maggio.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963